Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-02-2011) 10-03-2011, n. 9844

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 23.12.2008, il Tribunale di Siracusa dichiarò C.Z.A., Z.G. e Z. S. responsabili di vari reati di estorsione aggravata, tentata estorsione, ricettazione, porto e detenzione illegale di arma clandestina, aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, unificati sotto il vincolo della continuazione i reati a ciascuno ascritti, condannò:

C.Z.A. alla pena di anni 12 di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa;

Z.G. alla pena di anni 9 mesi 6 di reclusione ed Euro 4.500,00 di multa;

Z.S. alla pena di anni 8 mesi 8 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia gli imputati, le parti civili ed il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte territoriale propose gravame e la Corte d’appello di Catania, con sentenza in data 2.2.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, escluse l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e ridusse le pene, determinandole per:

C.Z.A. in anni 10 mesi 8 di reclusione ed Euro 5.200,00 di multa;

Z.G. e Z.S. in anni 7 mesi 8 di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa ciascuno.

Condannò altresì gli imputati al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili.

Ricorre per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte territoriale deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’esclusione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che agli imputati fosse stata contestata solo l’appartenenza ad associazione mafiosa e non anche l’utilizzo del metodo mafioso.

Dalla imputazione emerge invece che agli imputati era stato contestato l’uso del metodo mafioso sia sotto il profilo delle espressioni usate che sotto quello del riferimento al capo clan N.S..

In tal modo avrebbero indicato la loro contiguità all’associazione ed inteso intimidire le vittime con la forza di intimidazione promanante dal sodalizio.

Il ricorso è fondato.

La Corte territoriale ha escluso la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 sull’assunto che tale circostanza aggravante fosse stata contestata in ragione della ritenuta loro partecipazione al clan Nardo, appartenenza mai accertata, mentre non era stato contestato l’uso del metodo mafioso.

Il presupposto dal quale muove la Corte territoriale non corrisponde nè alle imputazioni nè alla motivazione della sentenza di primo grado.

Nelle imputazioni è contestato agli imputati di "avere commesso il fatto avvalendosi della forza di intimidazione e del vincolo di omertà che ne consegue posseduti dall’associazione mafiosa denominata clan Nardo di Lentini".

Nella sentenza di primo grado si era dato atto che nessuno degli imputati apparteneva al clan mafioso Nardo (p. 2 motivazione sentenza di primo grado), ma che erano state poste in essere condotte che rientravano nel modus operandi tipico delle associazioni mafiose, con riferimenti a soggetti supposti appartenenti ad associazioni mafiose, come tale L. che ora comanderebbe a Melilli, a somme destinate ai carcerati, che le cose erano cambiate, che stavano pagando tutti, che le vittime avrebbero sentito del freddo se non avessero pagato e così via. Il Tribunale ha anche precisato che non vi era immutazione del fatto nelle valutazioni espresse.

La Corte territoriale non ha minimamente preso in considerazione tali argomentazioni, ma questa Corte ha affermato che "Il giudice di appello è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato ed il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento, obbligo che, in caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado, impone anche l’adeguata confutazione delle ragioni poste a base della sentenza riformata". (Cass. Sez. 1A sent. n. 4333 del 9.2.1990 dep. 29.3.1990 rv 183848).

Peraltro le linee argomentative del Tribunale sono in linea con quanto ritenuto da questa Corte e cioè che è configurabile il delitto di tentata estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso, nel caso in cui si costringa la persona offesa a stipulare un contratto per essa non vantaggioso, quanto al prezzo e alle modalità, con l’attivo intervento nella trattativa di un pregiudicato ben noto per la sua caratura criminale. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5783 del 22.1.2010 dep. 12.2.2010 rv 246626).

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catania per un nuovo giudizio in ordine alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e – nel caso ne venga ritenuta la sussistenza – alla rideterminazione della pena.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catania per un nuovo giudizio in ordine alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e – nel caso ne venga ritenuta la sussistenza – per la rideterminazione della pena.

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