T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 09-03-2011, n. 433 Piano regolatore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Deduce la ricorrente L.V. di essere amministratrice della società "Azienda Agricola e Forestale di V.L. & C.", proprietaria dei terreni ubicati in località "Contrada Chiaire" del Comune di Avellino, identificati al catasto N.C.T. al foglio 19, p.lle 82, 196, 198, ed al foglio 20, p.lle 224, 520, 521, 522, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 172, 84, 96, 97, 100, 101, 519 (già 511 ex 80), 523, 81, 85, 86, 87, 103, 573, 550, 551, 552, per una superficie complessiva di circa mq. 190.000.

Allega altresì che sui menzionati terreni, con permesso di costruire n. 10100 del 18.2.2002 e successive varianti, è stata assentita la realizzazione di una azienda agrituristica con annessi campi di equitazione, campi da tennis e calcetto, clubhouse e un edificio ricettivo.

Evidenzia che il P.U.C. adottato dal Comune di Avellino con deliberazione consiliare n. 518 del 13.10.2005 classificava l’area di proprietà della società ricorrente come zona agricola, prevedendo un’unica zona di trasformazione di "Nuovo impianto a destinazione turisticoricettiva" nelle adiacenze del borgo storico di Bellizzi, così compromettendo la capacità turisticoricettiva delle aree suindicate.

Deduce quindi di aver presentato, nella qualità di amministratrice della menzionata società, l’osservazione n. 316, chiedendo la modificazione della destinazione urbanistica dei suoli predetti da zona agricola a zona di trasformazione – Nit 02 – zona di nuovo impianto per destinazione turisticoricettiva, e che il Consiglio comunale, nel pronunciarsi (con le delibere n. 18 sub 13 del 23.1.2006 e n. 18 sub 11 del 22.1.2006) su alcune osservazioni (fra le quali la n. 316), sembra aver deciso di accogliere parzialmente quella suindicata, limitatamente cioè ad una estensione di mq. 30.000, a fronte di una richiesta formulata per mq 190.000.

Per l’ipotesi che quella esposta corrisponda alla effettiva volontà deliberativa espressa dal Consiglio comunale, vengono formulate, al fine di conseguire l’annullamento dei provvedimenti impugnati, le seguenti censure di illegittimità: 1) l’accoglimento dell’osservazione n. 316 limitatamente a mq. 30.000 scaturisce dall’erroneo presupposto, riferito nel corso della discussione consiliare dall’assessore Rotondi, secondo cui "la richiesta è per una estensione, misurata sulla carta, di circa 30.000 mq", laddove la predetta osservazione proponeva la modifica delle "previsioni del P.U.C. relativamente all’area in oggetto con una superficie territoriale pari alla consistenza di tutte le particelle oggetto della richiesta", dettagliatamente indicate mediante gli estremi catastali, per una superficie complessiva di circa mq. 190.000, come si può evincere anche dalla planimetria allegata all’osservazione, la quale delimita un’area di mq. 190.000, individuando nell’ambito di tale area una zona più ristretta destinata alla "concentrazione dell’edificato nell’ambito della zona di trasformazione in oggetto"; 2) la deliberazione impugnata è affetta dal vizio di disparità di trattamento, dal momento che, accogliendo l’osservazione n. 53, consente di edificare mq. 424 di s.l.p. su una consistenza di mq. 4.240, accogliendo l’osservazione n. 325 sub 1 consente di realizzare circa mq. 3.000 di s.l.p. su una consistenza di circa mq. 30.000 ed accogliendo l’osservazione n. 316 consente di edificare mq. 3.000 di s.l.p. su una consistenza di mq. 190.000: l’amministrazione intimata ha quindi conferito al terreno oggetto dell’osservazione n. 53 un indice edificatorio pari a 0,1 mq/mq di solaio lordo su superficie fondiaria, ha conferito al terreno oggetto dell’osservazione n. 325 sub 1 un indice edificatorio pari a 0,1 mq/mq di solaio lordo ed al suolo di proprietà della parte ricorrente un indice pari a 0,016 mq/mq (a tale misura riducendosi l’UF 0,1 mq/mq, applicato a soli mq. 30.000, a fronte della superficie complessiva del lotto di mq. 190.000); 3) gli atti impugnati sono contraddittori: invero, nel dispositivo della delibera n. 18 sub 11 e di quella n. 18 sub 13, l’osservazione risulta accolta integralmente, mentre dal prospetto riepilogativo allegato alla delibera n. 18 sub 13 e dalla discussione riprodotta nella parte motiva della delibera n. 18 sub 11 la suddetta osservazione risulta accolta limitatamente ad una estensione di mq. 30.000; 4) la delibera n. 18 sub 11 del 22.1.2006 è carente di adeguata motivazione a sostegno dell’accoglimento solo parziale dell’osservazione proposta dalla parte ricorrente; 5) le delibere impugnate sono illogiche perché sarebbe sufficiente frazionare la proprietà entro i limiti di mq. 30.000 per conseguire l’obiettivo che con l’osservazione proposta ci si prefiggeva di realizzare.

Con i motivi aggiunti depositati in data 17.4.2008, la parte ricorrente ha impugnato, tra gli altri provvedimenti, il decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 1 del 15.1.2008, recante l’approvazione del Piano Urbanistico Comunale.

Le censure formulate, oltre a reiterare quelle articolate con il ricorso introduttivo, si prefiggono di dimostrare l’invalidità dei provvedimenti impugnati sulla scorta dei seguenti ulteriori profili di illegittimità: 1) il P.U.C. ha disposto l’obbligo di cessione gratuita del 60% delle aree oggetto di trasformazione urbana, adducendo di doverle destinare a standards, così dettando una prescrizione immotivata, irragionevole, sproporzionata rispetto alla natura ed all’entità degli insediamenti consentiti così come rispetto alle effettive esigenze di dotazione di standards del Comune di Avellino e non funzionale a realizzare opere pubbliche e di interesse pubblico da localizzare attraverso gli strumenti di pianificazione urbanistica, essendosi il Comune illegittimamente fatto cedere aree al solo fine di costituire un patrimonio pubblico quale riserva da utilizzare eventualmente in futuro; 2) premesso che l’art. 16, punto 10, delle NTA del P.U.C. impugnato evidenzia che "le schede normative allegate alla presenti norme definiscono in particolare (…) le aree da cedere per servizi pubblici" e prescrive, per la zona di proprietà della ricorrente, che "una quota del 50% della capacità insediativa totale è riservata al Comune", aggiungendo che "le prescrizioni vincolanti che non possono essere modificate in fase attuativa sono precisate al precedente art. 5 comma 6", che la scheda normativa Nit 03, concernente il terreno della ricorrente, determina a sua volta le aree da cedere, disponendo che sono tali le "aree minime per servizi e viabilità: 15.000,00 mq – pari al 50% della St complessiva", che la predetta scheda determina inoltre il fabbisogno minimo delle aree a standards pari a 1 mq/1 mq SLP per attrezzature turisticoricettive, stabilendo la loro cessione al Comune, che l’art. 5 settimo comma, delle NTA, infine, prevede che le prescrizioni contenute nelle schede normative, in particolare quella relativa alla "quantità minima da cedere per servizi", sono vincolanti e non possono essere modificate, la parte ricorrente allega che la pretesa comunale avente ad oggetto la cessione gratuita delle suddette aree, nel momento in cui la società ricorrente intraprende qualsiasi iniziativa edificatoria, è del tutto sproporzionata rispetto ai parametri normativi ed alla consistenza dell’insediamento da assentire, integrando la violazione del principio giuridico che esige che l’amministrazione, qualora pretenda di superare gli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968 ed alla legislazione regionale, fornisca una motivazione specifica, diversa ed ulteriore rispetto a quella desumibile dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano; 3) premesso che, nella relazione esplicativa alla parte II e III della relazione illustrativa del Piano, il Comune giustifica il sovradimensionamento degli standards con l’esigenza di rimediare al deficit pregresso, non essendo stati realizzati gli standards previsti dagli strumenti urbanistici generali approvati nel 1971 e nel 1991, evidenzia la parte ricorrente che dalla Tabella riassuntiva n. 4.7 della Relazione esplicativa alla parte II e III della Relazione illustrativa di Piano (pag. 107) si desume che lo standard prescritto dal d.m. n. 1444/1968 e dalla l.r. n. 14/1982 è pari a 20 mq/ab, che lo standard esistente è di 11 mq/ab e che la carenza di standards su abitanti attuali è pari a 9 mq/ab, mentre il P.U.C. incrementa la aree da destinare a standards fino a 40 mq/ab, senza supportare tale incremento con alcuna giustificazione; 4) la gran parte delle aree da destinare a standards viene reperita in zona C, nella quale ricade la proprietà della ricorrente, ed in particolare nelle aree perequate, nelle quali le aree destinate a standards per servizi raggiungono la percentuale pari a 209 mq/ab, il tutto per sopperire ad una carenza determinata dalla cattiva gestione pluriennale del territorio, le cui conseguenze dovrebbero essere sostenute dagli attuali proprietari terreni, integrando ciò una disparità di trattamento rispetto ai proprietari che, in passato, non hanno sopportato alcun sacrificio per dotare il Comune degli standards prescritti; 5) la cessione è stata prescritta in previsione di un forte incremento demografico, ma, come riconosciuto dalla stessa amministrazione, le "previsioni dei Piani del 1971 e del 1999, che stimavano un recupero di aree per attrezzature e verde pubblico tali da soddisfare le necessità di una popolazione che avrebbe dovuto attestarsi intorno ai 75.000 abitanti, non hanno avuto riscontro nei dati acquisiti" (cfr. relazione esplicativa alla parte II e III della relazione illustrativa di piano, pagg. 43 de 44); 6) per l’acquisizione delle aree da destinare a standards il P.U.C. prevede due diverse modalità, ovvero l’esproprio e la cessione gratuita (art. 16, comma 17, delle NTA): il Piano appone così di fatto un vincolo preordinato all’esproprio sull’intera area di pertinenza della società ricorrente, in modo generico e senza procedere alla localizzazione dell’opera pubblica e degli stessi tracciati viari, senza indicare le finalità alla base dell’apposizione del vincolo e quindi senza consentire di sapere alla realizzazione di quale opera pubblica esso è preordinato; 7) quanto invece alla modalità acquisitiva della cessione gratuita, l’amministrazione si riserva l’acquisizione di una ingente quantità di aree private senza riconoscere alcun corrispettivo al privato; 8) la scheda Nit 3 prescrive due volte la cessione gratuita di aree da destinare a standards, ora qualificandole "aree minime per servizi e viabilità", ora denominandole "aree a standard", nel cui ambito rientrano sia le aree destinate a servizi e viabilità, sia quelle destinate a standards; 9) la pretesa di cessione gratuita di aree da destinare a standards è eccessiva rispetto alla tipologia e all’entità dell’insediamento consentito al titolare dell’area oltre che in misura sproporzionata rispetto alla effettiva esigenza comunale di aree da destinare a standards, in violazione della l.r. n. 14/1982, allegato A, titolo II, che prescrive che la dotazione degli standards urbanistici debba essere proporzionata in relazione all’entità degli insediamenti: la sproporzione censurata si desume in particolare dal fatto che la società ricorrente, per realizzare una superficie lorda di solaio di mq 3.000, deve cedere gratuitamente al Comune mq 18.000, su di una superficie complessiva di mq. 30.000; 10) il carattere ingiustificato della pretesa comunale si evince altresì dall’art. 4, comma 19, delle NTA, nella versione scaturita dalla conferenza di servizi dell’8.11.2007, secondo cui le aree che i privati dovranno cedere ospiteranno un albero che verrà piantato per ogni bambino che nascerà o verrà adottato; 11) la previsione contenuta nella scheda Nit 3, laddove impone alla ricorrente la cessione gratuita del 60% di tutta l’area di proprietà, configura una forma di espropriazione del tutto atipica, in violazione dell’art. 42 Cost. e senza rispettare le prescrizioni procedimentali dettate dal legislatore nella materia espropriativa: in particolare, è stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento; 12) non può ritenersi che, una volta concentrato lo ius aedificandi su di una parte limitata dell’area, la residua porzione, concorrendo alla quantificazione del diritto edificatorio, perda ogni valore, con la conseguenza che la cessione non potrebbe che essere gratuita, trascurando tale ragionamento di considerare che lo ius aedificandi è solo una delle facoltà del diritto di proprietà immobiliare; 13) la previsione di cui all’art. 2, comma 2, lett. b), laddove dispone che "la residenza è compatibile con la destinazione turistico ricettiva e non viceversa", è illegittima se e nella misura in cui precluda il mutamento di destinazione d’uso da turistico ricettivo a residenziale, contrastando con la disposizione di cui all’art. 2, comma 5, l.r. n. 19/2001, secondo cui "il mutamento di destinazione d’uso senza opere, nell’ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee, è libero": l’illogicità della disposizione si coglie agevolmente ove si consideri che, ai sensi dell’art. 16, comma 7, delle NTA, obiettivo di tutte le zone di trasformazione, tra le quali le NIT – zone di nuovo impianto a destinazione turisticoricettiva" (cfr. art. 10, comma 5, delle NTA), è quello di "realizzare nuovi interventi residenziali, terziari e di servizio".

Con gli ulteriori motivi aggiunti, depositati in data 10.7.2008, è stata impugnata la deliberazione del Consiglio comunale n. 27 dell’11.4.2008, avente ad oggetto "atti di programmazione degli interventi art. 25 legge regionale n. 16/2004", con la quale – deduce la parte ricorrente – è stato modificato ed integrato il contenuto del PUC, sono state adottate prescrizioni estranee al contenuto tipico degli atti di programmazione degli interventi, è stata preclusa alle ricorrenti la possibilità di attuare le previsioni del PUC per un triennio ed è stata prevista l’espropriazione di mq. 30.000, ovvero di tutta l’area oggetto della Nit 3.

Le censure formulate, oltre a reiterare quelle articolate con il ricorso ed i precedenti motivi aggiunti, si propongono in particolare di evidenziare che: 1) gli atti di programmazione degli interventi sono stati adottati senza assicurare la partecipazione degli interessati; 2) in contrasto con la loro natura di atti di programmazione temporale delle previsioni degli strumenti urbanistici generali ed attuativi, sottoposti alla disciplina dei programmi pluriennali di attuazione e privi di ogni attitudine modificativa del P.U.C., gli atti di programmazione approvati dal Comune intimato, derogando al contenuto tipico fissato dall’art. 25 l.r. n. 16/2004, stabiliscono l’obbligo per i privati di redigere il p.u.a. entro dodici mesi anche per le Nit (come la Nit 3) rimaste fuori dall’ambito di operatività dell’azione urbanistica oggetto dei medesimi atti di programmazione, fissano l’obbligo di cessione di aree per servizi pari al 60% della superficie territoriale per le zone Nit (8.3, pag. 58), precisando che si tratta di obbligo di cessione e non di vincolo di destinazione, come era stabilito, invece, dalle N.T.A., prescrivono che la cessione gratuita delle aree per servizi non può essere inferiore all’80% della S.T. (pag. 48), stabiliscono la localizzazione dell’edilizia residenziale pubblica "prioritariamente nelle zone di sostituzione e ricomposizione urbana, nonché nelle zone di trasformazione di proprietà pubblica", quindi nelle parti di suolo privato da cedere al Comune, così localizzando l’e.r.p. su area con destinazione diversa da quella residenziale, prescrivono, relativamente alla zona Nit 3, l’espropriazione di tutta l’area con destinazione agrituristica, dal momento che l’art. 10, recante la tabella dei costi relativi alle aree da espropriare, stabilisce per la zona Nit 3 come area da espropriare quella di mq. 30.000 (pag. 62); 3) mentre ai sensi dell’art. 25 l.r. n. 16/2004 gli oneri finanziari a carico del Comune per la realizzazione delle opere di urbanizzazione vanno calcolati solo per gli interventi da realizzare nell’arco di tre anni, gli atti di programmazione impugnati hanno determinato il costo di esproprio anche con riferimento all’area Nit 3 (pagg. 83 ed 85), in violazione delle norme disciplinatrici del procedimento espropriativo che richiedono il rispetto delle garanzie partecipative ed in relazione ad un procedimento ablativo che non potrà essere avviato prima del decorso di tre anni; 4) inoltre, gli atti di determinazione dell’indennità di esproprio riportano solo gli esiti delle elaborazioni da cui sono stati desunti, ma non i dati di partenza né le fonti di tali dati; 5) se le priorità stabilite nella parte quarta, pag. 68, degli atti di programmazione degli interventi vanno intese come preclusione per il triennio di attuare ogni forma di intervento anche nella zona Nit 3, siffatta determinazione è illogica, dal momento che tra le strategie territoriali contemplate dagli atti di programmazione vi è quella di "promuovere imprenditorialità e occupazione"; 6) gli stessi parametri formulati dall’amministrazione per la scelta delle priorità sono funzionali alla realizzazione delle opere pubbliche e allo sviluppo dell’attività di trasformazione del territorio per finalità residenziali, e non sono pertinenti alle finalità di sviluppo dell’imprenditorialità e dell’occupazione; 7) la misura (60%) di superficie territoriale da destinare a standards e, quindi, oggetto di cessione o espropriazione, è eccessiva e non trova giustificazione in concrete e specifiche esigenze dell’amministrazione; 8) gli atti di programmazione prevedono la facoltà dell’amministrazione di monetizzare le aree suddette, in alternativa alla cessione, senza ancorare siffatto potere a precisi parametri normativi: in tal modo, è manifesto l’intento dell’amministrazione di procurarsi disponibilità finanziarie e non di reperire suoli necessari per la realizzazione degli standards; 9) nel pronunciarsi in ordine alle osservazioni presentate, il Comune di Avellino ha regolato diversamente situazioni soggettivamente ed oggettivamente identiche, riservando un trattamento di favore alla pratica presentata dalla Sirc (n. 325): invero, questa è stata inserita, in contrasto con quanto deliberato con il provvedimento n. 18 sub 11 del 22.1.2006, invece che in zona Nit, nelle zone omogenee B di impianto recente e classificata come "zona per attività turistico ricettive di previsione Uf 0,1 mq/mq", con i benefici previsti dall’art. 14 delle N.T.A.; 10) la disparità di trattamento emerge anche dal fatto che l’area di proprietà della società ricorrente è già urbanizzata e sede di un centro agrituristico perfettamente attrezzato ed autorizzato, circostanza questa che avrebbe giustificato la qualificazione dell’area medesima fra le zone turistico ricettive di cui all’art. 14 N.T.A..

I difensori del Comune di oppongono all’accoglimento del ricorso (del quale eccepiscono anche l’inammissibilità, assumendo che i ricorrenti, non avendo gravato il P.R.G. adottato con deliberazione consiliare n. 9 del 23.1.2003, avrebbero prestato acquiescenza alle previsioni con le quali esso, analogamente al P.U.C. adottato con la delibera impugnata, ha impresso destinazione agricola al suolo di loro proprietà) e dei motivi aggiunti.

Analoghe conclusioni sono state rassegnate dalla Provincia di Avellino.

Il Tribunale, con ordinanza n. 227 del 4.11.2010, ha disposto incombenti istruttori, che sono stati puntualmente eseguiti dall’amministrazione incaricata.

Il ricorso ed i motivi aggiunti quindi, dopo la discussione delle parti, sono stati trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, la parte ricorrente, proprietaria di terreni ubicati nel Comune di Avellino aventi una superficie complessiva di mq. 190.000 e sui quali è insediata un’azienda agrituristica regolarmente assentita, lamenta che l’osservazione dalla stessa presentata relativamente alla proposta di Piano Urbanistico Comunale, nella parte in cui destinava la suddetta proprietà a zona agricola, ed intesa ad ottenerne la destinazione a "zona di trasformazione – Nit. 02 – zona di nuovo impianto per destinazione turisticoricettiva" con i medesimi parametri urbanistici della Nit 01 (quindi con possibilità di attuazione mediante intervento diretto, indice territoriale massimo mq s.l.p./mq St = 0.1 mq/mq e con superficie territoriale pari alla consistenza di tutte le particelle oggetto della richiesta) è stata accolta solo parzialmente, ovvero relativamente a mq 30.000 (e non ai mq 190.000 corrispondenti alla totale consistenza della suddetta proprietà).

Deve in primo luogo esaminarsi, per respingerla, l’eccezione di inammissibilità formulata dai difensori del Comune di Avellino, sulla scorta dell’acquiescenza asseritamente prestata dalla parte ricorrente alle previsioni contestate, siccome riproduttive di quelle contenute nel P.R.G. adottato con la delibera consiliare n. 9 del 2003, nei confronti delle quali la stessa non ha attivato alcun mezzo di tutela.

Invero, il P.U.C. adottato, rinnovando le previsioni urbanistiche lesive contenute nel P.R.G. oggetto della richiamata delibera, di cui è stata nel contempo disposta l’abrogazione, integra una fonte autonoma del pregiudizio lamentato dalla parte ricorrente, in relazione alla quale l’inerzia serbata nei confronti dello strumento urbanistico precedentemente adottato (ed ormai abbandonato) non preclude, quindi, l’attivazione dei mezzi difensivi consentiti dall’ordinamento.

Nel merito, la doglianza dianzi sinteticamente richiamata è meritevole di accoglimento.

Giova premettere che la società ricorrente, con l’osservazione n. 316 da essa proposta, ha chiesto all’amministrazione comunale intimata "di voler modificare le previsioni del PUC relativamente all’area in oggetto, da Zona agricola in "Zone di trasformazione – Nit 02 – Zona di nuovo impianto per destinazione turisticoricettiva" con i medesimi parametri urbanistico/edilizi della Nit 01, con procedura di attuazione con intervento diretto, con indice territoriale massimo (mq SLP/mq St) = 0,1 mq/mq, con superficie territoriale pari alla consistenza di tutte le particelle oggetto della richiesta e con destinazione d’uso per attività turisticoricettive": alla suddetta osservazione è allegata una planimetria "con la proposta di individuazione dell’area di concentrazione dell’edificato nell’ambito della zona di trasformazione in oggetto".

E’ noto che "le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante" (cfr. Consiglio di Stato, Sez..IV, 15 settembre 2010, n. 6911).

Non vi è dubbio, tuttavia, che quando l’amministrazione abbia ritenuto di assolvere in termini più ampi ai suoi oneri motivazionali, palesando il percorso logicogiuridico sotteso al provvedimento impugnato, il sindacato giurisdizionale può, attraverso l’esame dei passaggi argomentativi in cui tale percorso si è sviluppato, porre in rilievo gli eventuali vizi di illogicità e/o erroneità dei presupposti di fatto che ne inficino la correttezza ricostruttiva ed attendibilità valutativa.

Con particolare riguardo alle determinazioni adottate dagli organi collegiali, inoltre, deve richiamarsi l’orientamento giurisprudenziale più recente (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa, 19 ottobre 2010, n. 1279) nel senso che "la motivazione dell’atto deliberativo collegiale può legittimamente essere desunta dalle opinioni espresse dai singoli componenti dell’organo, le quali costituiscono esplicazione delle ragioni addotte per suffragare il contenuto della votazione nel corso della trattazione di ciascun affare sottoposto all’esame dell’organo collegiale. La votazione costituisce, infatti, strumento di manifestazione finale della volontà del collegio, qual è maturato attraverso l’enunciazione degli elementi di valutazione e comparazione degli interessi che formano oggetto della discussione, preordinata al confronto delle posizioni dei singoli membri per una più ponderata deliberazione".

L’analisi della motivazione della deliberazione impugnata, desumibile dalla discussione preparatoria, si rivelerà decisiva, peraltro, anche al fine di individuare l’esatta portata dispositiva della stessa.

Ebbene, l’esame della deliberazione consiliare impugnata n. 18 sub 11 del 22.1.2006 consente di rilevare che l’assessore Rotondi propone di:

– "fare un ragionamento unico e trattare unitariamente le osservazioni nn. 53, 316 e 325 sub 1, in quanto tutte e tre le richieste prodotte sono afferenti ad azzonamenti turisticoricettivi";

– "recepire il criterio del progettista del piano, Cagnardi, che è quello di classificare le tre zone con le tre casistiche secondo l’indice 0,1 da lui già utilizzato per le attività turisticoricettive, così come da Nit 01";

– "accogliere le osservazioni, con l’applicazione dell’indice UF 0,1 così come indicato dal progettista nelle tavole di Piano", facendo presente, "per quanto concerne la consistenza, che se egli ha una richiesta di azzonare o stralciare un fondo di 20.000 mq – con l’indice che è dello 0,1 – sa che ho 2.000 mq di superficie utile lorda di pavimento realizzabile, con la destinazione turisticoricettiva".

Con distinto riferimento alle tre osservazioni menzionate, il medesimo Assessore Rotondi fa quindi presente che:

– "per quanto concerne la prima pratica – Del Gaudio Amalia – stiamo parlando di 4.240 mq di superficie territoriale e, quindi, potendo realizzare il 10% saranno 424 mq realizzabili";

– "per quanto concerne l’osservazione n. 316, stiamo parlando di un agriturismo che ha una estensione complessiva di 190.000 mq di superficie e (secondo quello che mi dice il presidente Genovese) la richiesta è per una estensione, misurata sulla carta, di circa 30.000 mq";

– "noi potremmo poter stabilire – sulla consistenza dei 190.000 mq – la superficie che riteniamo di poter dare. Se partiamo dal presupposto che il cons. Genovese ha fornito un dato metrico di 30.000 mq, possiamo fare un ragionamento sui 30.000 mq";

– "per quanto concerne la terza osservazione – stiamo parlando della zona di Picarelli e di una indicazione che nella osservazione risulta essere afferente alla particella 1035 e 98 del foglio 5 – la consistenza catastale non la conosco, da dati sempre metrici probabilmente è parente ai 30.000 mq, saranno 26.000 – 27.000 mq";

– "sulla seconda e terza osservazione si potrebbe fare un ragionamento che verte il turisticoricettivo nell’azienda agrituristica – la quale ha già una sua ricettività – ragionando un limite di consistenza di terreno soggetta all’indice territoriale 01".

Per quanto concerne poi la determinazione adottata dall’amministrazione intimata in ordine all’osservazione presentata dalla parte ricorrente, la stessa è desumibile dalla delibera n. 18 sub 13 del 23.1.2006, con la quale il Consiglio comunale ha disposto di "recepire e confermare le determinazioni già espresse con singole votazioni sulle osservazioni pervenute, come si evince dal prospetto riassuntivo complessivo che si allega quale parte integrante e sostanziale del presente provvedimento": dal prospetto richiamato, a sua volta, si ricava che l’osservazione n. 316 è stata "parzialmente accolta" e che "si classifica l’area turisticoricettiva con Uf 0,1 mq/mq".

Tanto premesso in punto di fatto, deve in primo luogo rilevarsi che il coordinamento tra il dispositivo della deliberazione impugnata (formulato nel senso del carattere solo parziale dell’accoglimento dell’osservazione della parte ricorrente), la motivazione del provvedimento (dalla quale si evince che l’osservazione è stata accolta limitatamente ad una superficie di mq 30.000, a fronte della estensione complessiva della proprietà di mq 190.000) ed il contenuto dell’osservazione stessa (che fa espressamente riferimento alla previsione di una "superficie territoriale pari alla consistenza di tutte le particelle oggetto della richiesta, con destinazione d’uso per attività turisticoricettive") induce ad affermare il valore deliberativo, e non meramente casuale, dell’avverbio "parzialmente" utilizzato nel dispositivo della deliberazione gravata: con esso, in altri termini, l’amministrazione ha inteso rimarcare che l’attribuzione della destinazione turisticoricettiva, e la determinazione della Superficie Territoriale rilevante ai fini dell’applicazione dell’Indice di Utilizzazione Fondiaria (Uf = 0,1 mq/mq), riguarda la proprietà della società ricorrente solo per una estensione di mq 30.000, a fronte di quella catastale complessiva di mq. 190.000.

Ebbene, in tale contesto interpretativo, come anticipato, la determinazione impugnata non si sottrae alle censure di illegittimità articolate dalla parte ricorrente.

Emerge infatti, dalla lettura della componente motivazionale della deliberazione impugnata, l’erroneità dei presupposti di fatto dalle quali essa ha preso le mosse: come già rilevato, l’Assessore Rotondi, nel riferire in ordine al contenuto dell’osservazione, ha affermato che "per quanto concerne l’osservazione n. 316, stiamo parlando di un agriturismo che ha una estensione complessiva di 190.000 mq di superficie e (secondo quello che mi dice il presidente Genovese) la richiesta è per una estensione, misurata sulla carta, di circa 30.000 mq".

Deve per contro rilevarsi che la superficie di "circa 30.000 mq", ricavabile dalla planimetria allegata alla predetta osservazione, è quella oggetto della "proposta di individuazione dell’area di concentrazione dell’edificato nell’ambito della zona di trasformazione", laddove l’osservazione fa riferimento, nel richiedere la modifica della destinazione dell’area da Zona agricola a Zona di trasformazione, alla complessiva estensione della proprietà, pari ad una superficie di mq. 190.000.

Del resto, anche ipotizzando che la limitazione dell’accoglimento dell’osservazione alla superficie suindicata sia derivata (non dall’erronea interpretazione dell’osservazione stessa, ma) da una consapevole valutazione discrezionale operata dall’amministrazione intimata, non potrebbe che rilevarsi, a dimostrazione sotto altro profilo della illegittimità della determinazione impugnata, che non è dato percepire le motivazioni logicogiuridiche sottese alla suddetta limitazione quantitativa della operazione di riclassificazione.

In particolare, le stesse non potrebbero essere ravvisate nell’intento dell’amministrazione di assimilare la situazione della società ricorrente a quella del soggetto proponente l’osservazione n. 325 punto 1, concernente una superficie complessiva di circa mq 30.000.

Basti osservare che, seguendo tale ragionamento, al fine di escludere la sussistenza del dedotto vizio di disparità di trattamento (integrato prima facie dal fatto che l’osservazione n. 325 punto 1 è stata accolta per intero, mentre quella presentata dalla società ricorrente solo nella misura corrispondente alla superficie oggetto della prima), occorrerebbe anche dimostrare, alternativamente, che:

– l’amministrazione, sulla scorta di autonome valutazioni urbanistiche (delle quali, però, non vi è traccia nella motivazione della deliberazione impugnata), abbia assunto a misura massima di S.T. riconoscibile quella di mq 30.000 (e che questa solo casualmente coincida con la superficie oggetto dell’osservazione n. 325 punto 1, accolta per intero);

– l’osservazione n. 325 punto 1 concerna una proprietà avente una estensione maggiore di mq 30.000 e che i suoi proponenti abbiano inteso limitare a questa superficie la loro richiesta, con la conseguenza che quella che nel caso dell’osservazione n. 325 punto 1 si presenterebbe coma una spontanea autolimitazione dei proponenti, nel caso dell’osservazione n. 316, la quale fa riferimento ad una superficie notevolmente più ampia, si sarebbe resa necessaria la limitazione unilaterale e perequativa dell’amministrazione (ricorrendo tali presupposti, l’intervento dell’amministrazione sarebbe servito ad assicurare, in senso inverso alla prospettazione della parte ricorrente, proprio la parità di trattamento di situazioni affini).

Tuttavia, mancando, allo stato, la dimostrazione del ricorrere di una di tali astratte possibilità giustificative, la quale non può che emergere dalla motivazione del provvedimento, la domanda di annullamento proposta, con il ricorso introduttivo, dalla parte ricorrente non può che essere accolta.

Né riveste carattere ostativo la circostanza, dedotta dalla difesa comunale con la memoria dell’8.10.2010, in base alla quale la parte ricorrente, all’atto di richiedere il permesso di costruire n. 10100/2002 e le successive varianti, ha apposto un vincolo di inedificabilità alla superficie di mq. 44399,99, a servizio della struttura assentita, dal momento che la deduzione concerne solo una parte della superficie complessiva (pari, si è già detto, a mq. 190.000) e della stessa l’amministrazione comunale potrebbe tenere eventualmente conto in occasione del riesercizio, conseguente alla presente sentenza di annullamento, dei suoi poteri pianificatori.

Vengono adesso all’esame del Tribunale le censure proposte dalla società ricorrente con i motivi aggiunti depositati in data 17.4.2008.

Mediante gli stessi, la parte ricorrente si duole, essenzialmente, del carattere irragionevolmente sproporzionato, rispetto alle effettive esigenze di dotazione di standards urbanistici, delle prescrizioni contenute nella scheda relativa alla zona Nit 03, laddove, in particolare, prevedono una superficie di mq. 15.000 quali "aree minime per servizi e viabilità" ("pari al 50% della St complessiva") ed un "fabbisogno minimo di aree a standard" pari ad "1 mq/1mq SLP per attrezzature turisticoricettive".

I suddetti motivi aggiunti sono, in massima parte, inammissibili.

Come eccepito dai difensori del Comune di Avellino, invero, mediante l’osservazione proposta, e parzialmente accolta dall’amministrazione comunale, la società ricorrente ha chiesto di "voler modificare le previsioni del PUC relativamente all’area in oggetto, da Zona agricola in "Zone di trasformazione – Nit 02 – Zona di nuovo impianto per destinazione turisticoricettiva" con i medesimi parametri urbanistico/edilizi della Nit 01".

Ebbene, è agevole rilevare, a fondamento della anticipata conclusione di inammissibilità dei motivi aggiunti in esame, che i parametri urbanistici ed edilizi dettati dal P.U.C., con riferimento all’area di proprietà della società ricorrente, classificata come Nit 3 a seguito del parziale accoglimento della predetta osservazione, corrispondono esattamente a quelli definiti dallo strumento urbanistico con riferimento all’area (Nit 1) oggetto di richiamo da parte della medesima osservazione.

Ne consegue che la parte ricorrente non può dolersi, inammissibilmente agendo contra factum proprium, della illegittimità delle suddette prescrizioni, che essa stessa ha chiesto di applicare all’area di sua proprietà, previa modifica della destinazione urbanistica agricola alla stessa originariamente impressa dall’amministrazione intimata.

Quanto poi alla doglianza – l’unica, tra quelle formulate con i suddetti motivi aggiunti, ad essere immune dalla predicata causa di inammissibilità – rivolta avverso la prescrizione di cui all’art. 2, comma 2, lett. b), delle N.T.A., laddove dispone che "la residenza è compatibile con la destinazione turistico ricettiva e non viceversa", la parte ricorrente ne afferma l’illegittimità se e nella misura in cui precluda il mutamento di destinazione d’uso da turistico ricettivo a residenziale, contrastando con la disposizione di cui all’art. 2, comma 5, l.r. n. 19/2001, secondo cui "il mutamento di destinazione d’uso senza opere, nell’ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee, è libero".

La doglianza è infondata: invero, la disposizione legislativa evocata a parametro della lamentata illegittimità prevede la facoltà di mutare la destinazione d’uso "nell’ambito di categorie compatibili con le singole zone territoriali omogenee", laddove l’esercizio della medesima facoltà con riferimento alla zona de qua, avente connotazione turisticoricettiva, al fine di introdurre una destinazione d’uso di carattere residenziale si porrebbe in contrasto con la caratterizzazione urbanistica alla stessa attribuita dallo strumento urbanistico.

Né varrebbe addurre la contraddittorietà della prescrizione censurata rispetto all’altra, dettata dall’art. 16, comma 7, delle N.T.A., secondo cui obiettivi di tutte le zone di trasformazione, tra le quali le NIT – "zone di nuovo impianto a destinazione turisticoricettiva", è quello di "realizzare nuovi interventi residenziali, terziari e di servizio", atteso che tale previsione concerne indistintamente le zone di trasformazione, a prescindere dalla specifica connotazione urbanistica alle stesse attribuita dalle relative "schede normative".

In conclusione, quindi, i motivi aggiunti depositati in data 17.4.2008 devono essere dichiarati in parte inammissibili ed in parte infondati.

Inammissibili sono altresì gli ulteriori motivi aggiunti, depositati in data 10.7.2008, con i quali è stata impugnata la deliberazione del Consiglio comunale n. 27 dell’11.4.2008, avente ad oggetto "atti di programmazione degli interventi art. 25 legge regionale n. 16/2004".

Deve invero rilevarsi, come fondatamente obiettato dai difensori dell’amministrazione comunale intimata con la menzionata memoria dell’8.10.2010, che la deliberazione impugnata ha ad oggetto "la disciplina degli interventi di tutela, trasformazione e riqualificazione del territorio comunale da realizzare nell’arco temporale di tre anni", conformemente alla disposizione di cui all’art. 25 l.r. 22 dicembre 2004, n. 16.

Ebbene, basta esaminare l’elenco dei "comparti e dei subcomparti potenzialmente attuabili con iniziativa pubblica con priorità nel triennio di riferimento" (pag. 68 degli A.P.I., acquisiti dal Tribunale), per verificare che il comparto in cui ricade la proprietà della società ricorrente (come, del resto, dalla stessa riconosciuto con i motivi de quibus) non rientra tra gli interventi da realizzare nel triennio, compatibilmente con le risorse finanziarie di cui l’amministrazione prefigura la disponibilità ed alla stregua delle valutazioni dalla stessa operate circa l’importanza strategica degli interventi di trasformazione previsti dal P.U.C.: ne consegue che esso è estraneo alla disciplina introdotta dai menzionati atti di programmazione degli interventi, i quali non possono quindi esplicare alcuna efficacia pregiudizievole per gli interessi della parte ricorrente.

Né, del resto, la suddetta attitudine lesiva potrebbe essere desunta dal fatto che, non contemplando gli impugnati atti di programmazione il comparto di interesse della società ricorrente, la lamentata omissione impedirebbe la realizzazione degli interventi di trasformazione, in chiave turisticoricettiva, alla stessa consentiti dal P.U.C.: è sufficiente osservare, a tal fine, che la delibera approvativa degli atti di programmazione ha ad oggetto, come già evidenziato, i P.U.A. di iniziativa pubblica, laddove, in mancanza di questi ultimi, la trasformazione programmata può essere realizzata mediante lo strumento del comparto edificatorio, di cui all’art. 33 l.r. n. 16/2004, nel rispetto della disciplina attuativa di cui al successivo art. 34, come del resto previsto anche dall’art. 16, comma 14, delle N.T.A. del P.U.C. (l’art. 4, comma 17, delle N.T.A. prevede, a tale riguardo, la possibilità di realizzare la trasformazione a prescindere dall’approvazione degli atti di programmazione degli interventi quando "sia prevista la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria nel successivo triennio, da parte del Comune o da parte dei soggetti privati attuatori").

Irricevibile, invece, deve essere dichiarata la censura, formulata con i predetti motivi aggiunti, con la quale la parte ricorrente lamenta che l’amministrazione intimata, nel pronunciarsi in ordine alle osservazioni presentate dagli interessati, ha regolato diversamente situazioni soggettivamente ed oggettivamente identiche, riservando un trattamento di favore alla pratica presentata dalla Sirc (n. 325): trattasi infatti di censura che avrebbe dovuto tempestivamente proporsi avverso gli atti deliberativi impugnati con il ricorso introduttivo.

I suddetti motivi aggiunti, in conclusione, devono essere dichiarati in parte inammissibili ed in parte irricevibili.

La complessità della controversia, e la parzialmente reciproca soccombenza delle parti, giustifica la statuizione di compensazione delle spese di giudizio dalle stesse sostenute.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1351/2006 e sui relativi motivi aggiunti:

– accoglie il ricorso ed annulla per l’effetto i provvedimenti con esso impugnati;

– dichiara in parte infondati ed in parte inammissibili i motivi aggiunti depositati in data 17.4.2008;

– dichiara in parte inammissibili ed in parte irricevibili i motivi aggiunti depositati in data 10.7.2008.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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