Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-01-2011) 10-03-2011, n. 9669 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 17.12.2008 il Tribunale di Lagonegro condannava L.B. e P.F. alla pena di anni 1, mesi 10 di reclusione ciascuno per i reati di cui agli artt. 110, 48 e 479 c.p. (capo a) e art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (capo b), unificati sotto il vincolo della continuazione, e B.A. alla pena di mesi 9 di reclusione per il reato di cui all’art. 323 c.p. (capo c), dichiarando le pene inflitte interamente condonate ai sensi della L. n. 241 del 2006.

La Corte di Appello di Potenza, con sentenza dell’11.12.2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti del L. e del P. in ordine al reato loro ascritto al capo b) perchè estinto per prescrizione, rideterminando la pena ad essi inflitta in primo grado in anni 1, mesi 6 di reclusione ciascuno e confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Ricordava la Corte territoriale che in data 2.12.2003 il L. aveva chiesto ed ottenuto il rilascio, da parte del Comune di Maratea, di un permesso di costruire un fabbricato ad uso abitativo sul terreno in catasto al foglio 30 particella n. 248, previa demolizione e successiva ricostruzione di un vecchio rudere. A seguito di richiesta di accesso agli atti da parte della proprietari di un fabbricato sito nelle vicinanze, il B., pur non ricoprendo più a partire dal 4.12.2003 la qualifica di responsabile dell’Area tecnica del Comune, sospendeva in data 31.12.2003 il permesso di costruire, assumendo che vi era divergenza della posizione del fabbricato rispetto alla documentazione catastale. Il successivo 12.1.2004 il B. medesimo rilasciava permesso di costruire in sanatoria al centro della particella n. 249. Tanto premesso, nel disattendere le doglianze difensive, rilevavano i giudici di appello che dall’istruttoria dibattimentale era emerso in modo incontrovertibile che sulla particella n. 248 non era mai esistito alcun rudere e che quello raffigurato nelle foto ed oggetto del permesso di costruire del 2.12.2003 era stato realizzato recentemente. Sicchè sussisteva il reato di cui agli artt. 48 e 479 c.p. essendovi stata una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi nella planimetria allegata al permesso di costruire, che aveva indotto il Comune in errore nel rilascio del permesso medesimo. La falsità ideologica era ascrivibile sia al L. quale proprietario e committente, che al P., quale progettista e direttore dei lavori.

Sussisteva, poi, il reato di cui all’art. 323 c.p. a carico del B., avendo il predetto, benchè non più competente, disposto prima la sospensione, in data 31.12.2003, del permesso di costruire n. 79 e poi, in data 12.1.2004, la revoca del provvedimento di sospensione ed il contestuale rilascio del permesso in sanatoria.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante si era in presenza di una ipotesi di incompetenza relativa, prevista dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, che configurava la violazione di legge quale elemento costitutivo del reato di cui all’art. 323 c.p.. Il dolo intenzionale era poi desumibile non solo dalla illegittimità del provvedimento, ma anche da una serie di circostanze (rapidità nella emanazione, difformità di decisioni in casi analoghi), rivelatrici della volontà di favorire il L..

Infondate erano, infine, le censure in ordine al trattamento sanzionatorio.

2) Ricorrono per Cassazione tutti gli imputati.

2.1) B.A., a mezzo dei difensori, denuncia, con il primo motivo, la violazione di legge in relazione all’art. 522 c.p.p. Presupposto per l’integrazione del reato di cui all’art. 323 c.p. è l’individuazione della norma violata. Nella imputazione non è stata indicata tale norma, che solo nella sentenza di primo grado è stata individuata nell’art. 21 del regolamento degli uffici del Comune di Maratea. Tale mancata contestazione ha leso il diritto di difesa e determina la nullità della sentenza.

Con il secondo motivo denuncia la erronea applicazione dell’art. 323 c.p. nonchè il vizio di motivazione. Il B. non rivestiva più la qualifica di responsabile del settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Maratea. Nel rilasciare il permesso in sanatoria egli, quindi, agiva al di fuori dell’esercizio delle funzioni. La sua condotta non è pertanto sussumibile nella previsione di cui all’art. 323 c.p., a nulla rilevando che non si trattasse di incompetenza assoluta. In ogni caso evidente è il vizio di motivazione, non avendo la Corte territoriale spiegato perchè, nonostante la rilevata incompetenza, il B. agisse nell’esercizio delle funzioni piene di p.u..

2.2) L.B., a mezzo del difensore, denuncia la manifesta illogicità della motivazione. L’elemento soggettivo del reato deve essere rigorosamente provato. I giudici di merito hanno ritenuto che il ricorrente, quale proprietario e committente dei lavori, non potesse non essere a conoscenza della rappresentazione fraudolenta dello stato dei luoghi, anche in considerazione di quanto accaduto con la sanatoria successiva alla sospensione dei lavori. Il rudere insistente sulla particella 149 all’epoca dell’acquisto del terreno era già esistente; nè era possibile dedurre la sua edificazione in tempi recenti. Nè poteva ricavarsi l’esistenza del dolo dalla condotta tenuta successivamente alla sospensione dei lavori, essendosi egli limitato, dopo essere stato informato dell’errore dall’arch. P., a richiedere il permesso in sanatoria.

2.3) Infine, il P. eccepisce, preliminarmente, la prescrizione dei reati. Denuncia poi il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di falsità ideologica. Il ricorrente ha agito nella più perfetta buona fede. Per mero errore materiale il rudere era stato indicato sulle carte catastali come esistente sulla particella n. 248 anzichè sulla particella n. 249. Deduce infine che la Corte territoriale non ha valutato la congruità della pena.

3) I ricorsi sono infondati.

3.1) In relazione al primo motivo di ricorso del B., va ricordato che è assolutamente pacifico che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. La verifica dell’osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato cui il principio stesso è ispirato.

Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta – che realizza l’ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione – venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6^, 8.6.1998 n. 67539). Sicchè "non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, stano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d’effettiva difesa" (cfr. sez. 6 n. 35120 del 13.6.2003). Anche di recente questa Corte ha ribadito il principio che "si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa" (cfr. Cass. sez. 6 n. 12156 del 5.3.2009).

Al B. era stato contestata, specificamente, la modalità della condotta ("dopo aver sospeso il 31 dicembre 2003 il permesso di costruire n. 79 del 2 dicembre 2003 sul presupposto che il fabbricato era stato rappresentato in una posizione diversa da quella che risultava dai dati catastali, il successivo 12 gennaio 2004 revocava il provvedimento di sospensione e rilasciava il permesso in sanatoria pur non avendone competenza assoluta essendogli stato revocato l’incarico di responsabile settore urbanistica ed edilizia privata con delibera del 4 dicembre 2003, e per tale fatto è stato condannato. Quanto alla denunciata omessa indicazione della norma di legge violata, nella imputazione si faceva riferimento alla sua "incompetenza" e la Corte territoriale ha ritenuto tale "incompetenza relativa, prevista dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, suscettibile di configurare la violazione di legge, quale elemento costitutivo del delitto di abuso di ufficio".

Il ricorrente quindi ha avuto modo di apprestare compiutamente la sua difesa. Che poi il Tribunale abbia specificato in motivazione che, oltre a non avere competenza ad emettere i provvedimenti contestati, il B. agiva anche in violazione dell’art. 21 del Regolamento dei Servizi e degli Uffici del Comune di Maratea costituisce ulteriore "precisazione" che non determina certo la "immutazione" del fatto contestato.

Ha, poi, correttamente rilevato la Corte di merito che i provvedimenti emessi dal prevenuto, pur essendo di competenza di altro dirigente, il geom. A., rientravano pur sempre nelle funzioni di pertinenza dell’amministrazione Comunale, per cui non ci si trovava in presenza di difetto assoluto di attribuzione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, "Integra l’elemento oggettivo del delitto di abuso d’ufficio la violazione delle norme di legge inerente al vizio di incompetenza cosiddetta "relativa", prevista dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, che determina l’illegittimità del provvedimento adottato e non la sua nullità, che si verifica nell’ipotesi di difetto assoluto di attribuzione (Fattispecie relativa all’approvazione, da parte della Giunta comunale, di un atto riservato al consiglio ai sensi dell’art. 42 TU. Enti locali, e all’adozione, da parte di un assessore comunale, di un provvedimento di competenza del dirigente a norma della L. n. 127 del 1997, art. 6)" cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 7105 del 29.1.2009).

3.2) In ordine al reato di cui all’art. 479 c.p., ascritto al L. ed al P., i giudici di merito hanno, con motivazione ineccepibile, evidenziato che nella richiesta originaria del permesso di costruire il rudere era stato indicato sulla particella n. 248 e che alla richiesta del permesso di costruire era stata allegata una documentazione fotografica che non consentiva di individuare l’esatta ubicazione del manufatto. Significativamente, solo a seguito della richiesta di integrazione della documentazione da parte della Commissione edilizia, la ubicazione del rudere era stata spostata sulla particella n. 249. Ha sottolineato la Corte territoriale come non possa parlarsi nè di falso grossolano, nè tanto meno di buona fede, dal momento che la fraudolenta rappresentazione del luogo di ubicazione venne attuata "con modalità capziose ed insidiose"; tanto che, senza la denuncia della proprietaria confinante, siffatta falsa rappresentazione difficilmente sarebbe stata scoperta.

Inoltre, già nella motivazione della sentenza del Tribunale, a cui rinvia per relationem la Corte di Appello, era stato evidenziato, sulla base della precisa e puntuale analisi delle risultanze istruttorie (test. N.F. e B.G.), che, contrariamente a quanto rappresentato, sulla particella n. 249, non esisteva alcun rudere e che, come emergeva chiaramente dalle fotografie, il manufatto (con tegole non fissate al resto della costruzione con malta cementizia) era stato "confezionato" per indurre in errore il Comune.

I ricorrenti L. e P. ripropongono, in ordine alla loro "buona fede", le medesime deduzioni, già disattese, con argomentazioni adeguate ed immuni da vizi logici, dai giudici di merito. Sono, invero, proprio le modalità e le correzioni apportate alla originaria istanza (resesi necessarie a seguito della richiesta di integrazione della documentazione) ad attestare che, sia da parte del progettista che del proprietario, vi fu una consapevole immutazione dello stato dei luoghi.

3.2.1) Il reato ascritto al capo b) è stato già dichiarato prescritto dalla Corte di Appello. Certamente non è maturata, invece, la prescrizione del reato di cui all’art. 479 c.p.. Il termine massimo di prescrizione, pur applicando la normativa più favorevole di cui alla L. n. 251 del 2005 (essendo il processo pendente in primo grado alla data di entrata in vigore della predetta legge), è, infatti, di anni 7 e mesi 6 (essendo stato il reato commesso il (OMISSIS), sarebbe maturata il 2.6.2011).

3.2.2) Infine i giudici di merito hanno fatto corretto e motivato uso (peraltro contestato genericamente dal P.) del potere discrezionale nella determinazione della pena. Ha evidenziato infatti la Corte territoriale che le doglianze, peraltro generiche, in ordine al trattamento sanzionatorio non meritano considerazione, "essendo la pena irrogata dal Tribunale commisurata alla gravità oggettiva e soggettiva dei fatti", "desumibili dalle modalità subdole con cui sono state commesse le condotte criminose".
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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