Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-03-2011) 11-03-2011, n. 9903 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 11.6.2004, il Tribunale di Perugia dichiarò A.A. responsabile del reato di usura continuata e – concesse le attenuanti generiche – lo condannò alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, pena sospesa e non menzione.

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio con una provvisionale di Euro 5.000,00) ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile B.A.M..

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Perugia, con sentenza in data 24.11.2009, confermò la decisione di primo grado, condannando l’imputato alla rifusione a favore della parte civile delle ulteriori spese di giudizio.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo contraddittorietà ed insufficienza della motivazione in quanto la decisione si fonderebbe su fatti non pienamente accertati, come si evincerebbe dalla sentenza di primo grado, dove si da atto che il perito non ha potuto ricostruire tutte le singole operazioni di rinnovo dei titoli in quanto parte di essi non sono stati reperiti, sicchè non sarebbero stati ricostruiti i rapporti economici tra l’imputato e la parte civile. Non sarebbe perciò provata la sussistenza di interessi usurari e sarebbe stato violato il principio del superamento del dubbio ragionevole.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il superamento o meno del dubbio ragionevole non può che essere rilevato dalla motivazione della sentenza e non integra violazione della legge processuale.

La Corte territoriale ha confermato la affermazione di responsabilità sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa, riscontrate dalle dichiarazioni della figlia della stessa.

Inoltre sia il consulente del P.M. che il perito hanno comunque concluso per un rilevantissimo tasso di interesse applicato.

In proposito la Corte territoriale ha sottolineato che, a fronte di un originario debito di L. 8.000.000, A. si è inserito nell’esecuzione immobiliare a carico della debitrice per L. 69.900.000.

In tale motivazione non si rileva alcuna contraddittorietà nè alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di ammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente alla rifusione a favore della parte civile delle spese per questo di giudizio liquidate in Euro 1000,00 per onorari (come indicati nella nota spese essendo liquidabili nel giudizio di Cassazione solo gli onorari, oltre rimborso forfettario delle spese, C.P.A. ed I.V.A..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Condanna altresì il ricorrente alla rifusione a favore della parte civile B.A.M. delle spese per questo grado di giudizio, liquidate in Euro 1.100,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese, C.P.A. ed I.V.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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