Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 11-03-2011, n. 9908 Reati fallimentari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brindisi, con provvedimento in data 12/7/2010, rigettava la richiesta, formulata nell’interesse di S. L. diretta ad ottenere la modifica del provvedimento emesso in data 17/3/2010, confermato in data 22/4/2010, con il quale il giudice delegato autorizzava l’amministratore a richiedere al proposto, previa stipula di un contratto di locazione, il canone di Euro 1000 mensile per il godimento dell’immobile sito in (OMISSIS), sottoposto a sequestro preventivo.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore di S.L. deducendo violazione di legge con riferimento alla L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies e art. 47, L. Fall. e art. 560 c.p.p., evidenziando come l’incremento della redditività dei beni sottoposti a sequestro non riguarda indistintamente tutti i beni del proposto, dovendo escludersi la possibilità di un canone a carico dello stesso gravante sulla propria abitazione.

Evidenziava, inoltre, come non fosse stata richiesta alcuna indennità con riferimento all’immobile, in comproprietà del proposto con la prima moglie dello stesso, a quest’ultima concesso in uso perchè abitato sin dall’epoca del matrimonio e che l’immobile in questione era inserito nel fondo patrimoniale a tutela dei figli minori.

Lamentava, infine, in via subordinata, come il canone sia stato ipotizzato in base al valore dell’immobile e non con riferimento alle capacità reddituali del proposto.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

La L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-sexies introdotto dal D.L. 14 giugno 1989, n. 230, art. 1 convertito con modificazioni nella L. 4 agosto 1989, n. 282, ha previsto, con una tecnica mutuata dalla legge sul fallimento, quali organi dell’amministrazione dei beni sequestrati a soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso nel periodo intercorrente sino al momento della definitiva confisca, la figura del giudice delegato e dell’amministratore, con compiti e procedure analoghi a quelli stabiliti nel procedimento fallimentare. La L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies richiama l’art. 47, L. Fall. (che, al comma 2, dispone che la casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui e necessaria alla abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione dell’attivo) al fine di garantire la tutela di fondamentale interessi del proposto e dei suoi familiari, consentendogli di mantenere il diritto di abitazione sulla casa, anche se l’immobile è oggetto di provvedimento cautelare finalizzato alla ablazione e fino alla definitiva confisca, prevedendosi anche l’assegnazione di un sussidio, tutte le volte che le condizioni economiche del predetto siano tali da render ciò necessario per l’assolvimento delle primarie necessità di vita.

Trattasi di norme ( L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies e art. 47, L. Fall.) che hanno finalità e scopi diversi, in quanto mentre il proposto è privato temporaneamente della disponibilità dei soli beni che si sospettano provenire dalle attività illecite, il fallito è, invece, privato della disponibilità e dell’amministrazione di tutti beni esistenti al momento della dichiarazione di fallimento e anche di quelli che pervengono successivamente. Diversa è anche la finalità dell’attività dell’amministratore nominato L. n. 575 del 1965, ex art. 2 sexies rispetto a quella degli organi fallimentari.

Nel procedimento di prevenzione il bene sequestrato (che può essere un’attività imprenditoriale, un immobile o un bene comunque fruttifero) è attratto al patrimonio dello Stato per finalità che prescindono dalla sua redditività in rapporto al proposto e, quindi, deve essere fatto fruttare nell’interesse dello Stato, destinatario del bene e non nell’interesse del proposto.

Quindi non vi è alcuna coincidenza necessaria tra il patrimonio del proposto e i beni oggetto di sequestro ai fini di prevenzione, potendo il proposto continuare a godere, senza alcuna interferenza con il procedimento di prevenzione, di beni o di redditi provenienti anche da diverse attività, non necessariamente lavorative, anche di entità tale da soddisfare ogni esigenza di vita del nucleo familiare.

Nel fallimento,invece, a seguito dello stato di decozione, la continuazione dell’attività del fallito è un evento raro, condizionato al fatto che dall’esercizio temporaneo dell’impresa non possa derivarne un danno grave e irreparabile, subordinando l’esercizio temporaneo dell’impresa al parere favorevole del comitato dei creditori, nel cui interesse le ulteriore attività potranno essere intraprese.

Tuttavia, gli interessi e i principi sottesi al riconoscimento del diritto di abitazione del proposto o del fallito e della loro famiglia sono simili in entrambe le normative citate.

Si tratta di stabilire, nella specie, se rientri nei poteri dell’amministratore giudiziario, espressamente autorizzato all’uopo dal giudice delegato, di richiedere un canone, dietro regolare stipula di un contratto di locazione, per l’immobile avuto in custodia ed adibito ad uso di abitazione da parte del proprietario dell’appartamento.

Il Collegio non ignora il diverso orientamento espresso da questa Corte, con riferimento, tuttavia, ai familiari del proposto, che ritiene legittimo il pagamento di un canone locativo, a fronte di regolare stipula contrattuale, in quanto, tra le possibilità di incrementare la redditività dei beni di cui all’art. 2-sexies, comma 1, della citata Legge, rientra quella di concedere in locazione un immobile, così da poter ricavare un corrispettivo dalla sua utilizzazione, poichè l’art. 2-septies consente l’alienazione di immobili, come il compimento di altri atti di amministrazione straordinaria, richiedendo soltanto che l’amministratore sia autorizzato per iscritto dal giudice delegato (Sez. 1, Sentenza n. 41690 del 15/10/2003 Cc. (dep. 31/10/2003 ) Rv. 226479; Cass. Sez. 1, 5 giugno 1995, Giuliano, in Cass. pen. mass. ann., 1996, n. 949, p. 1600).

Nè risulta limitato alle sole aziende l’intervento dell’amministratore giudiziario al fine di incrementare la redditività dei beni oggetto di sequestro, risultando legittima, in via generale, ma con le eccezioni che saranno evidenziate, l’iniziativa di pretendere un canone per gli immobili in custodia, previa stipula di un contratto di locazione, al fine di incrementare la redditività dei beni, atteso che il legislatore, nel prevedere il conferimento all’amministratore giudiziario di poteri di gestione, ha inteso rapportare l’esercizio di tali poteri alle necessità del singolo caso, non potendosi ritenere che tale modalità di gestione del bene sia possibile solo per i beni confiscati, in quanto la confisca diventa esecutiva soltanto con la definitività della relativa pronuncia ( L. n. 575 del 1965, art. 3-ter, comma 2), alla quale consegue la devoluzione del bene allo Stato ( L. n. 282 del 1989, art. 4, comma 1) e la cessazione delle funzioni del giudice delegato, poichè la direzione passa al direttore generale delle entrate.

Tuttavia tali considerazioni non valgono per il proprietario dell’appartamento e per i componenti della sua famiglia, per tali dovendosi intendere il coniuge, i figli e gli ascendenti, quest’ultimi se conviventi nel medesimo nucleo familiare del figlio.

Deve, infatti, ritenersi non consentito, in forza della interpretazione letterale e costituzionalmente orientata della L. Fall., art. 47, che possa essere richiesto un canone di locazione per l’immobile avuto in custodia ed adibito ad uso di abitazione da parte del proprietario dell’appartamento o della sua famiglia, gravando sul diritto di abitazione dei predetti che l’ordinamento, con interpretazione sistematica, costituzionalmente e comunitariamente orientata, pone a titolo di gratuità a favore del proposto o fallito, in nome di principi costituzionali che non soffrono limitazioni nemmeno in caso di misure di prevenzione reali.

La casa di abitazione è e resta a disposizione del proposto fino alla confisca e non può essere ritenuta posseduta "sine titulo", come se fosse divenuta di proprietà dell’amministrazione dei beni.

Contravviene a tali principi l’ordinanza impugnata che ha sviluppato il criterio subordinato della vantazione delle condizioni economiche e reddituali del preposto – conformemente alla interpretazione del Giudice delegato – per gravarlo del canone locativo per il riconoscimento del diritto alla abitazione dell’immobile.

L’art. 47, L. Fall. non prevede testualmente la possibilità di richiedere un canone di locazione al proprietario dell’appartamento che non può ritenersi ricompreso, nella logica dell’incremento, tra i beni del patrimonio del proposto che devono essere "gestiti" dall’amministratore. Trattandosi di norma di favore, l’interpretazione sistematica porta a ritenere, unitamente alla interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata, che il proposto/fallito abbia il diritto, unitamente alla sua famiglia, di abitare l’immobile di sua proprietà, senza la corresponsione di alcun canone. Il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell’interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale.

In forza di tale interpretazione il diritto all’abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, dovendosi ricomprendere tra quelli individuabili ex art. 2 della Costituzione, la cui tutela "non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana …" (Cass., SS.UU civ., 11.11. 2008 n. 26972/75 cit.). Il diritto all’abitazione è, quindi, protetto dalla Costituzione entro l’alveo dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. (Corte cost. 28 luglio 1983, n. 252; Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 217; Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404; Corte cost. 14 dicembre 2001, n. 410;

Corte cost. 21 novembre 2000, n. 520; Corte cost. 25 luglio 1996, n. 309).

Alla luce di tali considerazioni deve escludersi che il proposto debba corrispondere il canone di locazione relativamente alla propria abitazione, ancorchè bene fruttifero, indipendentemente se sia in grado di far fronte con il suo patrimonio o con il suo reddito a tale spesa, non potendo, ex art. 47, comma 2, L. Fall., essere privato della propria abitazione, senza che possa essere imposto allo stesso il pagamento di un canone locativo, indipendentemente dalla sua solvibilità. Va, conseguentemente, annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, nonchè i provvedimenti del giudice delegato con i quali è stato autorizzato l’amministratore a richiedere un canone mensile di Euro 1.000,00 al proposto S.L. per il godimento dell’abitazione sita in (OMISSIS).
P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato nonchè i provvedimenti del giudice delegato con i quali è stato autorizzato l’amministratore a richiedere al proposto S.L. un canone mensile di Euro 1.000,00 per il godimento dell’abitazione sita in (OMISSIS).

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