Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 11-03-2011, n. 9899

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 19/02/2009, la Corte di Appello di Napoli, derubricava il reato di cui all’art. 416 bis c.p. in quello di cui all’art. 416 c.p. e rideterminava la pena, riducendola, nei confronti di L.Q. – H.S. – C.D. – R.Y. – S.H..

2. Avverso la suddetta sentenza, tutti gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.

2.1. C.D. ha dedotto violazione degli artt. 81 e 62 Bis c.p., per avere la Corte territoriale omesso la motivazione in ordine alla "richiesta di diminuzione della pena ed in particolare quelli relativi alla richiesta di concessione della attenuanti generiche con un minimo aumento di pena nell’applicare la continuazione ex art. 81 c.p.". 2.2. L.Q. – R.Y. hanno dedotto carenza di motivazione in ordine alla congruità della pena "escludendo sulla base delle scarne risultanze processuali non sussistere i presupposti per la pronuncia di una sentenza ex art. 129 c.p.p.";

2.3. H.S. ha dedotto omessa motivazione in ordine alla richiesta di disporre come misura di sicurezza la libertà vigilata in vece di quella della misura di sicurezza detentiva pur avendo evidenziato "elementi favorevoli all’imputato ed incompatibili con una pericolosità sociale concreta". 2.4. S.H. ha dedotto:

1. Nullità della misura cautelare – dell’avviso ex art. 415 bis c.p. e del decreto Di citazione per essere stati i suddetti atti notificati non nella lingua madre ma in italiano;

2. inutilizzabilità delle intercettazioni essendo i decreti autorizzativi privi di motivazione da parte del g.i.p. e del P.M. in ordine all’uso di impianti diversi da quelli della Procura;

3. violazione dell’art. 416 c.p. per avere la Corte territoriale motivato in modo carente in ordine alla partecipazione del ricorrente alla pretesa associazione. Infatti "che tipo di prestazione e che tipo di effettivo contributo, anche minimo e di qualsiasi forma e contenuto, abbia offerto il S. non è dato comprendere".
Motivi della decisione

3. C.D..

Il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale, in ordine al trattamento sanzionatorio, ha così motivato: "condivisa pienamente, con riferimento a tutti gli imputati ai quali non sono state concesse le attenuanti generiche la motivazione della sentenza impugnata relativa al diniego delle medesime attenuanti, non essendo ravvisabile in alcun caso, a fronte dell’obiettiva gravità dei fatti, alcuna circostanza rilevante ex art. 62 bis c.p., le pene vanno rideterminate, con equa applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p.(…)".

Non è vero, quindi, che la Corte non abbia motivato. Al contrario, rinviando alla motivazione di primo grado e rilevando che la gravità dei reati e la mancanza di alcuna circostanza rilevante ai fini della valutazione di cui all’art. 62 bis c.p., non consentiva la concessione delle richiesta attenuanti generiche, ha mostrato di avere preso in esame la richiesta e di averla motivatamente disattesa esercitando così, in modo insindacabile in questa sede, il potere concesso dalla legge in ordine al trattamento sanzionatorio e, quindi, anche in ordine al concreto aumento da applicare per la continuazione.

4. L.Q. – R.Y..

Anche la suddetta censura è manifestamente infondata per genericità a fronte della motivazione con la quale la Corte ha ritenuto che "all’esito delle espresse rinunce degli appellanti, non permangono motivi riguardanti il giudizio di responsabilità (…)" (pag. 23 sentenza). I ricorrenti, infatti, non chiariscono sulla base di quali elementi a loro favorevoli, a fronte della rinuncia del motivo in ordine alla responsabilità, la Corte avrebbe dovuto proscioglierli ex art. 129 c.p.p..

5. H.S..

Il ricorso è fondato perchè, come dedotto dal ricorrente, la Corte territoriale, pur a fronte di uno specifico motivo di doglianza, ha omesso ogni motivazione in ordine alla richiesta di disporre come misura di sicurezza la libertà vigilata, invece di quella della misura di sicurezza detentiva. La Corte territoriale, quindi, dovrà pronunciarsi solo ed esclusivamente sul punto, essendo la responsabilità e la pena irrogata diventate ormai irrevocabili.

6. S.H..

6.1. violazione del diritto di difesa per mancata traduzione di alcun atti: la censura è infondata.

In punto di diritto, vanno ribaditi i seguenti principi:

– "il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero "status" di straniero o apolide, ma richiede l’ulteriore presupposto, in capo a quest’ultimo, dell’accertata ignoranza della lingua italiana": SS.UU. 25932/2008 Rv. 239693;

– "la mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 143 c.p.p. come interpretato da Corte cost. 12 gennaio 1993 n. 10, integra una nullità generale di tipo intermedio ( art. 178 c.p.p., lett. C) e art. 180 c.p.p.) la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte": SS.UU. 12/2000 Rv. 216259.

In punto di fatto, va osservato che la Corte territoriale, fattasi carico della doglianza l’ha disattesa rilevando che "il diritto di difesa, garantito dalla regola dell’art. 143 c.p.p., comma 1 che attribuisce all’imputato che non conosce la lingua italiana il diritto di farsi assistere da un interprete per poter comprendere l’accusa e seguire il compimento degli atti cui partecipa, risulta, nella specie, pienamente salvaguardato con l’avvenuta traduzione nella lingua madre del prevenuto degli atti sopra menzionati".

A fronte di tale motivazione, l’imputato si è limitato ad obiettare che "il diritto di farsi assistere da interprete semmai sorge successivamente ma anche in questo caso tale diritto non è stato assolto atteso che durante la fase preliminare e fino all’impugnato avviso, anzi fino alla nomina dell’interprete unico e per tutti operato dal Tribunale di primo grado il S. non pare essere stato assistito". Al che deve replicarsi che la doglianza è generica, perplessa e non autosufficiente, non avendo l’imputato chiarito:

– se ignora(va) la lingua italiana;

– se aveva chiesto la traduzione degli atti;

– se, a tutto concedere, l’eccezione era stata tempestivamente sollevata;

– per quale motivo il suo diritto alla difesa era stato leso atteso che la Corte ha scritto che gli atti erano stati tradotti.

6.2. intercettazioni telefoniche: la censura è assolutamente generica a fronte della motivazione addotta dalla Corte territoriale (pag. 11).

6.3. motivazione illogica: si tratta di mera censura di fatto, che in modo surrettizio tenta di ottenere una nuova valutazione di quegli stessi elementi fattuali già presi in esame dalla Corte territoriale (pag. 11- 21- 24) con motivazione congrua, logica ed adeguata.

7. In conclusione, l’impugnazione dei ricorrenti L.Q. – C.D. – R.Y. – S.H. deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 ciascuno. Fondato, nei limiti di cui si è detto, deve, invece, ritenersi il ricorso proposto da H.S..
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa motivazione sui presupposti applicativi della misura di sicurezza detentiva nei confronti di H.S. e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.

Dichiara inammissibili i ricorsi di L.Q. – C.D. – R.Y. – S.H. che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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