Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 11-03-2011, n. 9898 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el Dott. Antonio Gialanella che ha concluso per l’inammissibilità.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 25/06/2010, la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del 4/03/2009 nella parte in cui il Tribunale di Pistoia aveva ritenuto N.C. responsabile del delitto di ricettazione di un assegno denunciato smarrito.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. Illogicità della motivazione per avere la Corte territoriale, da una parte, ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dall’imputato in ordine al contestato reato di ricettazione di un bancomat (nel senso che, a seguito delle suddette dichiarazioni, il delitto di ricettazione fu derubricato dalla Corte territoriale in fiuto dichiarato prescritto) e non quelle rese in ordine alla ricettazione dell’assegno per il quale l’imputato aveva confessato di averlo rubato.

2. violazione dell’art. 648 c.p., comma 2 per avere la Corte territoriale denegato la suddetta attenuante sulla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p., criteri, però, poi, utilizzati a favore dell’imputato per la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4. 3. Violazione dell’art. 81 c.p. per avere la Corte territoriale omesso ogni motivazione in ordine alla richiesta continuazione con la sentenza irrevocabile del tribunale di Pistoia in data 4/12/2003.
Motivi della decisione

3. Illogicità della motivazione: la doglianza, nei termini in cui è stata dedotta è manifestamente infondata per la semplice ragione che non sussiste alcun automatismo fra l’attendibilità che il giudice ritiene di dare ad una parte delle dichiarazioni dell’imputato ed altre parti delle dichiarazioni che, ben possono, invece, essere ritenute inattendibili.

Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal N. in ordine al possesso dell’assegno fossero inattendibili perchè:

– l’imputato aveva partecipato alle udienze dove aveva avuto modo di apprendere "vuoi dagli atti processuali vuoi dalla viva voce dei testi esaminati precedentemente dati preziosi per effettuare dichiarazioni, peraltro non certo dettagliate e precise" e, solo dopo, nel corso del dibattimento, per la prima volta, aveva confessato di aver commesso il furto dell’assegno rendendo, peraltro, sul punto, dichiarazioni contraddittorie (cfr. pag. 2 sentenza impugnata);

– perchè il tempo trascorso fra la sottrazione (27/11/1998) e l’utilizzazione dell’assegno (20/12/1998) era tale da giustificare più la ricettazione che il furto.

La suddetta motivazione, non è illogica in quanto entrambi i giudici di merito hanno evidenziato una serie di contraddizioni che non facevano ritenere attendibili le dichiarazioni rese dall’imputato in ordine al furto dell’assegno.

4. violazione dell’art. 648 c.p., comma 2: la Corte ha motivato la reiezione della richiesta attenuante "avuto riguardo alla pericolosità sociale dell’attuale giudicabile, palesata dalla reiterate sentenza di condanna in giudicato per reati contro il patrimonio". Costituisce principio di diritto consolidato quello secondo il quale la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2 dev’essere valutata con riguardo a tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto e cioè non solo con riguardo alla qualità della res provento da delitto, ma anche alla sua entità, alle modalità dell’azione, ai motivi della stessa, alla personalità del colpevole e, in sostanza, alla condotta complessiva di quest’ultimo. Infatti, l’aspetto patrimoniale non è nè esclusivo nè decisivo: ex plurimis Cass. 9/4/1997 Hassan – 19/11/1997 Favari – 23/3/1998 Canteruccio.

La suddetta motivazione, deve, quindi, ritenersi congrua ed in linea con l’enunciato principio di diritto, sicchè la doglianza proposta (che fa leva, sostanzialmente, sulla contraddittorietà della motivazione) dev’essere disattesa perchè, in realtà, l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 è stata concessa in quanto la Corte ha tenuto conto del valore cartaceo dell’assegno.

La suddetta attenuante, poi, unitamente a quelle generiche, è stata ritenuta equivalente "alla luce dei criteri tutti di che all’art. 133 c.p.": nel che non è ravvisatale alcuna contraddittorietà con il fatto che quegli stessi criteri erano stati utilizzati per negare l’attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2. Infatti i parametri di cui all’art. 133 c.p. sono stati utilizzati due volte: una volta per negare l’attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2 ed un’altra volta per il giudizio di comparazione delle attenuanti e, quindi, per due operazioni fra di loro non configgenti.

5. violazione dell’art. 81 c.p.: la censura deve ritenersi manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate. A pag 2 dell’impugnata sentenza, la Corte territoriale chiarisce che il Tribunale non aveva ritenuto di applicare la continuazione fra i reati di cui al presente processo (commessi il (OMISSIS)) e quelli giudicati con la sentenza del 4/12/2003 (fatti commessi in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS)) perchè quest’ultimi riguardavano fatti "verificatesi ad una distanza cronologica incompatibile con la unicità del disegno criminoso". Con il motivo di appello, il N. aveva censurato la decisione del Tribunale in modo assolutamente generico su quello che era l’elemento principale della impugnata decisione e cioè sulla distanza cronologica fra i due fatti incompatibile con la unicità del disegno criminoso.

Di conseguenza, la decisione della Corte di Appello di confermare, sia pure implicitamente, la sentenza del tribunale, non si presta ad alcuna censura, proprio perchè il motivo di appello va ritenuto generico e privo di specificità.

6. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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