Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 11-03-2011, n. 9897 Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

vv.to Carchia Domenico che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 5/11/2009, la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del 2/10/2006 nella parte in cui il g.u.p. del Tribunale del medesimo tribunale aveva ritenuto, fra l’altro, C. C. e S.L. responsabili rispettivamente dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ( C.: capi sub 2b – 2d – 8; S.: capi sub 5 e 7:) e art. 74 (capo sub 1 : il solo C.).

2. Avverso la suddetta sentenza, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione.

2.1. S. ha dedotto i seguenti motivi:

1. CAPO D’IMPUTAZIONE SUB 5: ad avviso del ricorrente, la motivazione con la quale la Corte territoriale aveva ritenuto la sua responsabilità, sulla base delle dichiarazioni di Sa.Pa., sarebbe illogica perchè "se l’intenzione del Sa. era quella di alleviare le sue responsabilità avrebbe potuto evitare di spiegare il significato di quel termine (…) sarebbe bastato al Sa., se non avesse voluto essere coinvolto in un’imputazione più grave tacere: egli, infatti, era un coindagato non un testimone".

Il ricorrente, poi, sostiene, che le dichiarazioni del Sa. non sarebbero attendibili alla stregua dei criteri indicati dalle SS.UU..

2. Capo d’imputazione sub 7: sostiene il ricorrente che i giudici del gravame avrebbero ritenuto la sua responsabilità facendo riferimento "ad un tono di voce o della conversazione che si ignora quale sia stato perchè non hanno provveduto a descriverlo o hanno omesso di considerare le dichiarazioni del Sa.. Dichiarazioni che peraltro, se si considera che gli assuntori sentiti hanno affermato di avere acquistato soltanto droghe leggere e le cui dichiarazioni sono state riportate nelle sentenze, sono confortate in questo caso anche dai riscontri";

3. Trattamento sanzionatorio: si duole il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe elevato, da una parte, il minimo edittale di sei mesi e, dall’altra, concesse le attenuanti generiche non nella loro massima estensione, senza alcuna motivazione.

2.2. C. ha dedotto i seguenti motivi:

1. Capo d’imputazione sub 1: in ordine alla condanna per la violazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, il ricorrente sostiene che non vi fossero i presupposti di legge perchè la Corte addivenisse ad una condanna. Sostiene, infatti, il ricorrente che il numero degli episodi (dieci) ed il periodo limitato (7/3/2002 – 20/04/2002) non consentiva di ritenere la sussistenza di un’associazione. Non attendibili, poi, dovevano ritenersi le dichiarazioni rilasciate dal coimputato Sa.Pa., alla stregua dei criteri indicati dalla stessa Corte di legittimità (pag.

4/11 ricorso). La motivazione della Corte territoriale, poi, era illogica e contraddittoria relativamente all’esistenza della struttura e al vincolo che legava i vari imputati (pag. 11/20).

Infine il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non aveva fornito alcuna risposta per spiegare quali fossero i soggetti che il C. aveva aggregato e quali poteri di gestione aveva esercitato (pag. 24 ricorso);

2. Capo d’imputazione sub 2 b: lamenta il ricorrente la violazione dell’art. 533 c.p.p. che prevede la sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio: il che non era nella fattispecie essendosi la Corte espressa in modo perplesso;

3. Capo d’imputazione sub 2 d: il ricorrente contesta la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui fa riferimento alle intercettazioni telefoniche delle ore 17,29 e 18,22 del 25/03/2002 sostenendo che la conversazione telefonica delle ore 17,29 non era avvenuta e che quella delle ore 18,22 non aveva alcuna valenza probatoria;

4. Capo d’imputazione sub 8: sostiene il ricorrente che l’interpretazione che i giudici di merito avevano dato delle conversazioni telefoniche intercettazione, e sulle quali era stato fondato il giudizio di responsabilità, era errata ed illogica.
Motivi della decisione

3. S.:

3.1. Capo d’imputazione sub 5 (motivo sub 1): il reato addebitato al ricorrente si riferisce ad un acquisto, da tale Ca., di cinque confezioni da cinque bustine di cocaina che poi provvedeva a vendere.

L’episodio è trattato a pag. 23 della sentenza impugnata dove la Corte territoriale spiega, in modo articolato, logico e coerente con gli evidenziati elementi fattuali, che l’acquisto avvenne e che la droga non era per uso personale ma destinata alla vendita. In questa sede il ricorrente sostiene che le dichiarazioni del Sa. non sarebbero attendibili. Sennonchè si deve replicare non solo che la valutazione di attendibilità espressa dalla Corte territoriale sul Sa., è puntuale e non si presta alla generica censura dedotta dal ricorrente, ma che la responsabilità è stata desunta anche dalle intercettazioni telefoniche ritenute inequivoche dalla Corte (quelle in cui si programmava l’acquisto e quella fra Sc. e tale Mi. in cui si comprendeva che parte della droga era a disposizione di chi ne facesse successiva e non preordinata richiesta) e da considerazioni di natura logica (mancata prova che gli acquirenti fossero dediti al consumo di cocaina).

3.2. Capo d’imputazione sub 7 (motivo sub 2): trattasi, ancora una volta, di un episodio di acquisto di cocaina dal Ca. al fine di smercio, che la Corte territoriale analizza a pag. 24 della sentenza e che ritiene provato sulla base di una serie di intercettazioni telefoniche. La Corte, poi, si fa carico anche della tesi difensiva che, però, disattende in modo articolato, logico e coerente rilevando che l’asserito uso personale non si evinceva dal tono delle conversazioni intercettate ed era escluso dal fatto che lo S. (insieme agli altri coimputati) era un assuntore di hashish e non di cocaina. In questa sede, il ricorrente, lungi dal segnalare vizi di legittimità, si limita, a ben vedere, solo ad offrire un’alternativa lettura del compendio probatorio: il che è inammissibile.

3.3. trattamento sanzionatorio (motivo sub 3): la doglianza, nei termini in cui è stata dedotta, va ritenuta generica ed aspecifica:

infatti, la Corte, avendo assolto l’imputato dal reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, non ha fatto altro che rideterminare la pena in quella ritenuta congrua ex art. 133 c.p..

4. C.;

4.1. capo d’imputazione sub 1 (motivo sub 1): il suddetto capo d’imputazione è relativo al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, ossia di un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti nell’ambito della quale al C. è stato attribuito il ruolo di promotore ed organizzatore.

La Corte territoriale, ha ritenuto provato il suddetto reato sulla base dei seguenti elementi:

– i reati fine furono reiterati e non isolati;

– nell’ambito dell’organizzazione vi erano ruoli stabili rivestiti dai sodali (fornitori – corrieri) ed una predisposizione di mezzi (auto – sala giochi (OMISSIS) gestita dal C. – cellulari etc);

– dichiarazioni del Sa. che aveva dato ampie indicazioni in ordine alla struttura ruotante intorno alla persona del C. e avente il suo fulcro nella sala giochi di (OMISSIS);

– intercettazioni telefoniche;

– assistenza legale agli associati in difficoltà;

– il ruolo del C. come promotore ed organizzatore dell’associazione era stato illustrato nella "motivazione del g.u.p. a fronte della quale la difesa si limita a genericamente riferire che il ruolo attribuito a C. non troverebbe conferma nelle intercettazioni e che Sa. non sarebbe credibile".

In questa sede, il ricorrente, avverso la suddetta motivazione, ha proposto, sostanzialmente le seguenti critiche:

– il traffico di droga accertato (dieci episodi) ed il limitato periodo di attività, erano troppo modesti per ritenere la sussistenza di un’associazione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74;

– le dichiarazioni del Sa. erano inattendibili;

– la Corte aveva motivato in modo illogico in ordine ai requisiti materiali della pretesa organizzazione ed alle ragioni per le quali esso ricorrente era stato ritenuto organizzatore e/o promotore.

La doglianza è manifestamente infondata.

In ordine al primo profilo, correttamente la Corte territoriale ha osservato che il fatto che i reati fine – commessi in modo reiterato e non isolato – fossero stati realizzati in un arco di temporale di alcuni mesi monitorato dalle indagini, non consentiva di escludere il reato di associazione, essendo stato provato che i rapporti tra gli imputati avevano un carattere di stabilità anche a prescindere dalla commissione della singola operazione di acquisto e che vi erano ruoli stabili rivestiti dai sodali.

Infatti, ciò che rileva ai fini della sussistenza del reato associativo non è tanto la commissione dei singoli reati fine – che, ove commessi, indubbiamente, costituiscono un utile ed importante elemento di riscontro – ma la prova che l’associazione sia stata costituita. E, nel caso di specie, la Corte ha chiarito sia il ruolo che ciascuno dei sodali rivestiva all’interno di essa sia la struttura che si avvaleva di mezzi e di un locale: tanto basta per la configurabilità del reato in questione essendo, quindi, del tutto irrilevante che i reati fine siano stati commessi in un breve arco temporale. Quanto alle dichiarazioni del Sa. – alle quali il ricorrente dedica le pagine da 4 a 11 del ricorso – va osservato che la Corte territoriale (cfr pag. 8 ss della sentenza impugnata), alla stregua dei criteri di valutazione indicati da questa Corte di legittimità, ne ha ritenuto l’attendibilità essendo state le suddette dichiarazioni riscontrate sia intrinsecamente che estrinsecamente. La Corte, in particolare, si è fatta carico della tesi difensiva nella parte in cui tendeva di minare la credibilità del .Salza p.c.a.c.d.s.i.s.

c.e.p.a.r.d.i.m.g.

m.h.c.e.s.l.r.p.l.q.i. S. doveva ritenersi ugualmente credibile (pag. 9 sentenza), con motivazione che, per logicità e coerenza con i dati fattuali indicati, non si presta alla censura del ricorrente il quale non fa altro che ribadire la sua tesi non evidenziando vizi di legittimità nell’iter motivazionale ma limitandosi ad opporre, in modo surrettizio, sotto il preteso vizio di illogicità, una propria alternativa versione dei fatti (cfr pag. 7 ss del ricorso): il che deve ritenersi inammissibile. Comunque, va rilevato che, come si è già osservato, la decisione della Corte non si basa solo sulle dichiarazioni del Sa. ma anche e soprattutto su un compendio probatorio ben più imponente e solido.

Quanto alle prove in ordine alla struttura dell’organizzazione ed al ruolo svolto dal C., la Corte ha ampiamente motivato laddove si consideri che:

– ha individuato il luogo dove l’organizzazione aveva il suo punto di riferimento: la sala giochi (OMISSIS) gestita dal C. che provvedeva anche allo spaccio a singoli tossicomani (cfr pag. 22 sub capo 11);

– ha indicato i soggetti fornitori ( Ca.Lu. – Co.

L.) e coloro che si prestavano all’acquisito ed al trasporto della droga per conto del C. (cfr pag. 14 ss) avvalendosi di auto e cellulari per i vari contatti;

– ha rilevato – sulla base di precise emergenze processuali desunte da inequivoche intercettazioni telefoniche – che l’organizzazione si faceva carico dell’assistenza legale agli associati in difficoltà (pag. 26 sentenza).

Di conseguenza, corretta deve ritenersi la conclusione alla quale è pervenuta la Corte territoriale non essendovi alcun dubbio che il compendio probatorio illustrato ed evidenziato dalla Corte sia tale da far ritenere, sul piano giuridico, la configurabilità dell’associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 ed il ruolo di organizzatore e promotore del C. atteso che a lui gli altri sodali facevano sempre capo. A fronte di tale compendio probatorio, il ricorrente (pag. 11 – 20 del ricorso), ha obiettato che:

– l’affermazione della Corte, secondo la quale l’attività di spaccio avveniva nell’autolavaggio dello S., era illogica perchè costui era stato assolto dal delitto di associazione: al che si deve replicare che si tratta di un’obiezione di poco momento perchè non è vero che la Corte ha fatto questa affermazione. La Corte (pag. 6 della sentenza) ha solo scritto che le indagini "erano inizialmente state focalizzate su una segnalata attività di spaccio, asseritamente svolta presso l’autolavaggio gestito in (OMISSIS) dallo S. ove era stata notata la presenza, tra gli altri, del C.";

– l’affermazione secondo la quale dalla trattazione dei reati fini emergerebbe una ramificata struttura facente capo al C., sarebbe in contraddizione con il fatto che gli unici episodi di cessione che vendevano coinvolto il C. sono quelli di cui al capo 11 d’imputazione: al che si deve obiettare che, a parte i singoli episodi di cessione, ciò che rileva è che gran parte dei reati fine furono commessi per conto del C. il quale, non a caso, è stato ritenuto concorrente;

i mezzi adoperati non fornirebbero la prova di una struttura organizzata perchè le auto erano di proprietà degli acquirenti, così come le utenze telefoniche. Inoltre non era vero che la sala giochi era diventata un approdo di tossicodipendenti. Sul punto deve replicarsi che, per la configurabilità dell’associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 è sufficiente anche una semplice e rudimentale struttura organizzativa e, di certo, non è richiesta che i mezzi utilizzati, siano intestati all’associazione. Ciò che rileva è che l’organizzazione abbia la disponibilità e, quindi, possa far affidamento su mezzi che servano allo scopo (acquisto di sostanza) essendo del tutto irrilevante chi ne abbia la materiale disponibilità. Quanto alla sala giochi, vi sono le testimonianze dei tossicodipenti, sicchè la censura, nella parte in cui tende a minimizzare i vari episodi, va disattesa;

non era vero che vi fosse uno stabile rapporto tra i partecipi al sodalizio ed il C. e ciò perchè i vari sodali "sono stati coinvolti in acquisti di sostanza stupefacente soltanto in pochissime occasioni e in un arco di tempo limitato" (pag. 15 ss ricorso): la circostanza indicata dal ricorrente è poco significativa e fuorviante, perchè, lo si ripete, ciò che rileva non è tanto la commissione dei singoli reati fine (dei quali i singoli sodali sono stati riconosciuti responsabili) quanto il far parte dell’associazione ossia l’essere a disposizione della medesima nel momento in cui se ne presentava la necessità: e, sul punto, la Corte territoriale ha evidenziato come tutti i singoli acquisti effettuati dai vari sodali erano sempre effettuati per conto del C. e sempre dai medesimi fornitori, ossia due elementi comuni che portavano a ritenere per la sussistenza di una comune organizzazione alla quale i vari sodali faceva riferimento;

– non era vero che l’organizzazione provvedeva all’assistenza legale:

ma si tratta di una censura che si limita da una diversa ed alternativa versione dei fatti che non intacca quella della Corte territoriale.

4.2. Capo d’imputazione sub 2b: la censura, nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata in quanto non è affatto vero che la Corte si sia espressa in termini dubitativi in ordine alla colpevolezza del ricorrente: sul punto è sufficiente la lettura della pag. 15 dell’impugnata sentenza.

4.3. Capo d’imputazione sub 2 d: anche la suddetta doglianza, nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata essendo generica e aspecifica rispetto all’ampia motivazione addotta dalla Corte a pag. 16 e 17 dell’impugnata sentenza. Il fatto addebitato si riferisce alla restituzione al Ca., ad opera del R. e su richiesta del C., di un panetto di hascish di qualità scadente.

Il fatto che la Corte abbia fatto riferimento ad ulteriori consegne di hascish al C., è del tutto irrilevante perchè, come scrive la stessa Corte, si tratta di "riferimenti che ulteriormente confermano, pur non essendo direttamente collegati all’imputazione sub 2d), la fondatezza della prospettazione accusatoria a carico del C.". In altri termini, la Corte ha ritenuto provato l’episodio contestato non tanto sulla base delle intercettazioni del 25/03/2002 ma di quelle del 20/03/2002. E’ fuorviante, quindi, la censura essendo basata tutta sulla contestazione delle intercettazioni del 25/3/2002. 4.4. capo D’imputazione SUB 8: si tratta dell’episodio che la Corte territoriale tratta a pag. 21 della sentenza impugnata. Sostiene il ricorrente che l’interpretazione che i giudici di merito avevano dato delle conversazioni telefoniche intercettazione, e sulle quali era stato fondato il giudizio di responsabilità, era errata ed illogica.

Sennonchè si deve replicare che la motivazione è congrua, logica e coerente, sicchè la censura va ritenuta nulla più che una lettura alternativa del fatto e, quindi, un modo surrettizio di ottenere una nuova valutazione di quegli stessi elementi fattuali già valutati dalla Corte territoriale: il che deve ritenersi inammissibile.

5. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.

Dichiara Inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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