Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 11-03-2011, n. 9893 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 7/05/2010, la Corte di Appello di Bari, confermava la sentenza del 29/02/2008 con la quale il Tribunale di Trani – sezione distaccata di Molfetta – aveva ritenuto Z. G. responsabile di due episodi di truffa (capi c – f).

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo difetto di motivazione per avere la Corte territoriale recepito acriticamente la sentenza di primo grado senza motivare sui motivi di gravame ed in particolare sulla dedotta mancanza dell’elemento psicologico.

3. Il ricorso è manifestamente infondato per le ragioni di seguito indicate.

Secondo la ricostruzione dei fatti, così come effettuata dalla Corte territoriale (e non contestata neppure dell’imputato), lo Z., unitamente a tale D.T. (giudicata separatamente) e a suo figlio minore, si presentò in tre negozi dove acquistò dei capi di vestiario che pagò la donna compilando assegni (provento di furto) e fornendo ogni volta una carta d’identità intestata falsamente a tale M.D..

La Corte territoriale ha ritenuto che l’imputato fosse consapevole del fatto che la D.T. stesse perpretando delle truffe "non soltanto perchè tra i capi di vestiario acquistati vi erano anche capi maschili per sè e per il figlio minore, ma soprattutto perchè egli, vedendo che la donna forniva false generalità, non poteva assolutamente dubitare della sostanziale fraudolenza dell’intera manovra di volta in volta attuata in danno della controparte negoziale (…) tale comportamento sicuramente illecito della donna non può non averlo reso consapevole, quanto meno in quel momento, che il pagamento avveniva in modo truffaldino, e cioè mediante assegni che non avrebbero avuto alcuna possibilità di essere monetizzati da parte dei negozianti".

La suddetta motivazione è congrua, logica ed adeguata agli evidenziati elementi fattuali, sicchè la censura va ritenuta, da una parte, aspecifica (nulla essendo stato dedotto avverso la puntuale motivazione con la quale la Corte ha evidenziato l’atteggiamento psicologico dell’imputato) e, dall’altra, come un tentativo di introdurre in modo surrettizio, in sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli stessi elementi fattuali va ampiamente analizzati e presi in esame dalla Corte territoriale.

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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