Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-05-2011, n. 10734 Danno da infortunio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 22.11.2008, confermando la decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da F.V., guardia giurata, volta ad ottenere il risarcimento dei danni (danno patrimoniale differenziale, biologico e morale) da parte del proprio datore di lavoro, srl Nuova Invincibile, per un infortunio, che assumeva essergli accaduto in occasione del lavoro prestato.

Nel pervenire a tale decisione, il giudice d’appello osservava che nella fattispecie in esame doveva escludersi che potesse configurarsi un infortunio accaduto per causa o in occasione di lavoro.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il F., affidando l’impugnazione a quattro motivi.

Resiste con controricorso la società, la quale ha anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo e secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., in combinato disposto con il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10 (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè vizio della motivazione, assumendo in sintesi che nel caso di specie l’infortunio era avvenuto in occasione del lavoro. Ed invero, esso ricorrente sostiene che, come emergeva anche dalla istruttoria espletata, un suo collega, anch’esso guardia giurata, tale B., nello smontare dal lavoro dopo avere parcheggiato l’auto di servizio all’interno dell’Istituto di Fisica sito nella Università di Catania di Ingegneria nucleare, per avere completato il suo turno lavorativo, aveva preso la sua auto e si era recato all’uscita dell’università.

Successivamente, lo stesso B. aveva dato le consegne ad esso ricorrente, il quale, non allontanandosi dalla guardiola, ma rimanendo nelle immediate vicinanze, era stato attinto accidentalmente da un colpo di pistola partito dall’arma da fuoco del collega, mentre parlava con quest’ultimo. Ribadisce, ancora, il F. di non avere abbandonato il posto di vigilanza, ma di essere rimasto a tre metri dallo stesso per guardare un dettaglio indicato dal B., che si trovava in quel luogo per ragioni di lavoro, dal momento che rassegnava le consegne. Evidenziava, infine, che, versandosi in tema di responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., incombeva sul datore di lavoro l’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno procurato, onere che non era stato assolto dal momento che doveva rispondere anche ai sensi dell’art. 2049 c.c., per la condotta messa in atto dal B., anche esso suo dipendente.

I due motivi da esaminarsi congiuntamente in ragione della connessione tra le questioni da affrontare, vanno rigettati perchè infondati.

Ed infatti, a seguito dell’accertamento di quanto accaduto e di una completa ed attenta valutazione delle risultanze processuali, e nell’esercizio, quindi, dei compiti spettanti esclusivamente al giudice di merito, la Corte territoriale ha dato una diversa ricostruzione dei fatti di causa, affermando che i F. era stato attinto accidentalmente ad un braccio da un colpo d’arma da fuoco partito dalla pistola del B., che, a conclusione del servizio – e dopo avere posteggiato l’auto aziendale nel piazzale a ciò destinato – aveva lasciato l’istituto di fisica nucleare dell’Università di Catania presso il quale aveva lavorato, e si era fermato in uscita, in prossimità della guardiola ove prestava il servizio il F..

I due avevano intrapreso un dialogo personale sulle caratteristiche di una nuova marmitta dal B. installata sulla propria macchina. Nel fare ciò, il F. si era allontanato dalla guardiola e pure restandovi nei pressi era rimasto ferito, a seguito della caduta dell’arma del collega, presumibilmente verificatasi nell’atto, appunto, di mostrare la nuova marmitta.

Non era, dunque, ravvisabile nè una causa, nè una occasione di lavoro, dal momento che la condotta posta in essere dal F. si era concretizzata nel fatto, che per ragioni del tutto estranee al servizio, aveva lasciato la propria postazione di lavoro, soffermandosi a discutere con l’altra guardia giurata, determinando così il venir meno di quel vincolo di occasionante lavorativa, che costituisce condizione imprescindibile per la responsabilità datoriale, si da configurare un rischio elettivo.

Nè si poteva, infine, addebitare alcunchè alla società in ragione della condotta tenuta dal B., atteso che questi, al momento dell’avvenuto infortunio, aveva cessato il suo lavoro giornaliero.

Per concludere, i motivi esaminati non valgono ad invalidare la sentenza impugnata per essere questa supportata da un iter argomentativo del tutto corretto sul piano logico, nonchè su quello giuridico, per avere fatto puntuale applicazione dei principi più volte affermati dai giudici di legittimità (cfr. al riguardo, tra le altre, Cass, 4 luglio 2007, n. 15047, secondo cui in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, aggiungendo al riguardo che tale genere di rischio – in grado di incidere, escludendola, sull’occasione di lavoro – si connota per il simultaneo concorso di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive, della direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali ed infine, della mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa).

Il rigetto dei primi due motivi porta all’assorbimento di tutte le restanti censure, con le quali si addebita alla sentenza impugnata di non avere individuato nella condotta della società la colpa per non avere apprestato le necessarie cautele in ossequio alle norme infortunistiche – che, tra l’altro non si specificano in alcun modo – nè per avere riconosciuto i danni, che il F. ha lamentato di avere subito.

A rigetto del ricorso consegue, in base al principio della soccombenza la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 21,00 per esborsi, Euro 2.500.00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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