Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 11-03-2011, n. 9892 Associazioni mafiose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 8/04/2010, la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del 15/07/2003 con la quale il Tribunale della medesima città aveva ritenuto A.C. responsabile del delitto di cui alla L. n. 646 del 1982, artt. 30 e 31 e, per l’effetto, lo aveva condannato alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 15.000,00 di multa ed aveva disposto la confisca dei beni oggetto delle compravendite di cui all’imputazione.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, in proprio, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi: 1. violazione della L. n. 646 del 1982, artt. 30 e 31: sostiene il ricorrente che l’indagine processuale effettuata da entrambi i giudici di merito, si era basata solo su asserzioni di carattere presuntivo "non consentendo di rinvenire, oltre che la materiale realizzazione dell’omissione tipica, alcun elemento sintomatico della deliberata volontà di occultare il mutamento patrimoniale che risulta anzi smentita dalle forme di pubblicità" immobiliare e dal fatto che i beni erano stati ceduti alla propria moglie. In altri termini, la Corte di Appello aveva ritenuto provata la sussistenza dell’elemento psicologico sulla base del ed dolus in re ipsa e cioè per il semplice fatto che esso ricorrente aveva effettuato la cessione di un bene alla propria moglie: il che doveva ritenersi illegittimo anche alla stregua della giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n 10024/2002 riv 221494);

2. Violazione degli artt. 133 e 62 bis c.p.: si duole il ricorrente della carenza di motivazione in ordine alle richieste attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale argomentato in modo laconico ed assertivo.
Motivi della decisione

3. Violazione della L. n. 646 del 1982, artt. 30 e 31: il fatto che ha dato origine al presente procedimento è il seguente: A. C., sottoposto alla misura di sorveglianza speciale di PS, omise di effettuare la prescritta comunicazione al nucleo di P.T., della cessione di un immobile, del valore di L. 50.000.000, in favore della propria moglie avvenuta quattro mesi dopo la definitività del decreto con il quale era stato sottoposto alla suddetta misura di sorveglianza. La ratio della norma in esame, consiste nel prevenire il pericolo di utilizzo di fonti patrimoniali illecite.

3.1. L’elemento materiale del reato è integrato quando, una persona condannata per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. o sottoposta, con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione ex L. n. 575 del 1965, omette di comunicare, per dieci anni ed entro trenta giorni dal fatto, al Nucleo di P.t. "tutte le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore agli Euro 10.329,14". La circostanza che la norma faccia riferimento, in modo assolutamente generico, alle "variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio", consente di ritenere che la legge non pone alcuna limitazione, sicchè, nell’obbligo della comunicazione rientrano anche le cessioni immobiliari essendo del tutto irrilevante che le medesime abbiano un regime di pubblicità che permette a chiunque di verificare i passaggi di proprietà. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. 37408/2006 riv 235142; Cass. 25862/2006 riv 235263; Cass. 14332/2006 riv 234248; Cass. 12433/2009 riv 243486;

Cass. 36595/2008 riv 241951), che questo Collegio condivide perchè fondata su una corretta interpretazione letterale e logico – sistematica delle norme in discussione, il reato de quo è ravvisabile anche nel caso in cui l’omissione riguardi la stipulazione di atti pubblici, che in quanto tali sono soggetti ad un regime di pubblicità, perchè questi non sono comunque destinati ad essere portati a conoscenza del Nucleo di Polizia tributaria competente nè ad opera del pubblico ufficiale rogante nè di altri.

Nessun rilievo ha poi il fatto che la Polizia Tributaria possa, di sua iniziativa, accedere alla consultazione degli atti medesimi nei luoghi in cui questi sono conservati, perchè la legge non prevede alcun obbligo della polizia giudiziaria, e di quella tributaria in particolare, di effettuare accertamenti periodici nei confronti di tutti coloro che risultano essere stati condannati per associazione per delinquere di stampo mafioso. D’altra parte il legislatore ha previsto l’obbligo della comunicazione proprio per garantire una conoscenza tempestiva delle variazioni patrimoniali di soggetti ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico e consentire interventi immediati da parte della Polizia Tributaria, finalità che verrebbero rese non possibili dalla interpretazione delle norme suggerita dal ricorrente. Quanto appena detto consente, quindi, di ritenere infondato il ricorso (pag. 5) del ricorrente nella parte in cui adombra l’insussistenza del reato in quanto la cessione aveva avuto per oggetto un immobile soggetto alla pubblicità. 3.2. Il dolo è quello generico e consiste nella volontà di non ottemperare all’obbligo di comunicare la variazione del patrimonio.

In relazione a tale requisito, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il dolo va provato in concreto potendo essere desunto da indici storici del fatto, legati alle vicende di acquisizione del bene, al valore dello stesso ed alla consapevolezza in capo all’imputato di trovarsi nella condizione soggettiva di adempiere all’obbligo (ex plurimis: Cass. 27196/2010 riv 247842;

Cass. 6334/2010 riv 246569; ass. 37408/2006 cit.). Ciò significa, quindi, che, per la giurisprudenza di questa Corte, non è legittimo il ricorso al c.d. dolus in re ipsa proprio perchè l’elemento psicologico va provato in concreto sicchè vanno esclusi automatismi sia a sfavore dell’imputato (dolo desumibile dalla semplice condotta omissiva) che a favore (insussistenza del dolo nell’ipotesi di vendita di immobile soggetto a pubblicità: Corte Cost. n 442/2001 – Corte di Cass. 10024/2002 riv 221494).

Va, poi, osservato che la fattispecie in esame sfugge alla problematica dell’ignoranza della legge penale di cui all’art. 5 c.p., secondo la pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza n 304/1988 della Corte Cost.

Com’è ben noto, infatti, relativamente ai ed delitti artificiali o di pura creazione legislativa – come quello in esame – la stessa Corte Cost. ha avvertito che sono decisivi – al fine di escludere l’ignoranza inevitabile – gli obblighi di informazione che gravano su quei particolari soggetti per i quali la norma prevede una sanzione penale. Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha osservato che "in tali reati omissivi di pura creazione legislativa, è sufficiente accertare non già che l’agente effettivamente conoscesse il contenuto dell’obbligo di agire impostogli dalla norma ma che abbia avuto la possibilità di conoscerlo. Egli, quindi, può essere scriminato solo se l’ignoranza del precetto non derivi da sua negligenza (…) la particolare qualità (in termini di pericolosità sociale) dell’imputato gli imponeva un più approfondito dovere di diligenza in ordine alle norme esistenti di matrice special preventiva ed un dovere di informazione più pregnante in materia rispetto alla generalità dei consociati" (in terminis cfr anche Cass. 36595/2008 cit. in motivazione). Tanto premesso, va osservato che la Corte territoriale, ha desunto la prova del dolo "sia in ragione della tempistica (avviene appena quattro mesi dopo la definitività della misura di prevenzione), sia in ragione dell’elevato valore della cessione (una casa a due piani fuori terra del valore certamente superiore a quello dichiarato nell’atto pubblico, e, comunque, già ragguardevole di L. 50.300.000) sia in ragione della fittizietà del rapporto sottostante avuto riguardo al soggetto destinatario della cessione (la moglie dell’ A. medesimo)".

Orbene, a fronte di tale motivazione che, in modo puntuale ha individuato gli indici fattuali dai quali la Corte ha desunto la prova del dolo, il ricorrente, in pratica, nulla ha dedotto se non invocando, in modo generico, a suo favore la circostanza che, avendo effettuato una cessione soggetta a pubblicità e a favore della moglie, egli non poteva avere agito con il dolo richiesto dalla norma: il che, però, per quanto detto, non è un elemento che lo possa scriminare. La doglianza, pertanto, va ritenuta infondata.

4. violazione degli artt. 133 e 62 bis c.p.: anche il secondo motivo del ricorso è infondato atteso che la Corte territoriale ha ritenuto giustificata la mancata concessione delle attenuanti generiche "in considerazione della pericolosità sociale e dei pregiudizi penali e di polizia di cui risulta gravato".

Trattasi di un giudizio di merito che, in quanto motivato in modo adeguato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi ritenere che il potere discrezionale concesso al giudice di merito sia stato correttamente esercitato alla stregua degli evidenziati elementi fattuali.

5. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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