Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-02-2011) 11-03-2011, n. 10089 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ne e Calderone per l’accoglimento.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A.A. e R.G. sono due componenti della polizia municipale del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto. In relazione ad un episodio dell’8.7.2002, conseguente ad un sorpasso operato in tratto autostradale da N.P., dipendente di Poste italiane e conducente di un furgone dell’ente, entrambi sono stati tratti a giudizio per quattro reati: capo A, art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 9 e art. 610 c.p.; capo B, art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 9, artt. 582 e 583 (in relazione all’art. 576 c.p., n. 1);

capo C, artt. 110 e 368 c.p.; il solo A. anche capo D, art. 606 c.p.. Dopo la loro condanna per tutti e quattro i reati in primo grado il 7.3.2007, con sentenza in data 15.2-9.4.2010 la Corte d’appello di Messina li ha prosciolti dal capo A, confermando l’affermazione delle rispettive responsabilità per gli altri tre capi di imputazione e rideterminando le rispettive pene, confermando altresì le statuizioni civili in favore del N., costituitosi parte civile.

Risulta dalla sentenza d’appello e dai ricorsi che il N. aveva nel frattempo "patteggiato" la pena per i reati di resistenza e lesioni personali volontarie, in esito al giudizio direttissimo conseguito al suo arresto e definito appunto con sentenza del 10 luglio, in giudicato il successivo 18 settembre.

La Corte distrettuale ha altresì dato atto della mancata prescrizione dei reati, in ragione delle sospensioni intercorse nei due gradi di giudizio. Prescrizione che a tutt’oggi non è intervenuta, ancorchè la sospensione conseguente al legittimo impedimento dedotto all’udienza del 1.7.2008 debba essere contenuta in sessanta giorni.

2. I due imputati ricorrono, a mezzo dei rispettivi difensori, con i seguenti rispettivi motivi.

2.1 R..

Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione:

agli artt. 630, 649 e 125 c.p.p., perchè il "patteggiamento" in giudicato avrebbe già valutato il medesimo fatto storico, sicchè solo la previa rimozione di quel giudicato avrebbe consentito un ulteriore accertamento giudiziario: così, invece, quelli che erano stati considerati e giudicati persone offese nella sentenza di patteggiamento erano per contro stati giudicati calunniatori in questo processo; il richiamo della Corte distrettuale ai limiti contenutistici dell’apprezzamento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. sarebbe errato, dovendosi comunque quella sentenza considerarsi vera e propria sentenza di condanna, significativamente inserita tra le sentenze suscettibili di revisione; in definitiva, secondo questo ricorrente il N. prima di sporgere la propria denuncia per calunnia e lesioni avrebbe dovuto chiedere la revisione della propria condanna;

– agli artt. 64, 191 e 197 bis c.p.p. perchè N., imputato di un reato collegato ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. B), avrebbe dovuto essere escusso come teste ma nelle forme di cui all’art. 197 bis, quindi con l’assistenza di un difensore, e con gli avvertimenti di cui all’art. 64 c.p.p.; il ricorrente precisa che, differentemente da quanto argomentato dalla Corte distrettuale, l’eccezione riguardava l’assenza non solo del difensore, ma anche "di tutti gli avvertimenti ed in dispregio delle forme previste per l’escussione del testimone assistito indipendentemente dalla presenza o meno del difensore";

– agli artt. 192, 197 bis e 125 c.p.p., perchè la Corte messinese:

quanto all’attendibilità soggettiva del N. avrebbe:

.. motivato con la macroscopica illogicità del ritenere inesistente un suo vantaggio nella falsa accusa ai due pubblici ufficiali, ignorando il dato che la sua denuncia era stata proposta solo dopo il licenziamento e prima dell’impugnazione di tale provvedimento, ed irrilevante il patteggiamento, ipotizzando negligenze professionali del difensore;

.. omesso il confronto argomentativo con la inquietante personalità dello stesso, emersa dalle modalità del suo sorpasso e dall’ammissione di non aver inteso fornire i propri documenti, nonchè con l’inverosimiglianza intrinseca della narrazione, punto devoluto nei motivi d’appello, prospettando con una ricostruzione travisante il fatto storico e le prove, sorretta da introspezioni psicologiche e non da ragionamenti pertinenti alle emergenze probatorie, senza tener conto della smentita testimoniale alla parte di sua narrazione afferente l’uso del proprio cellulare;

.. quanto ai riscontri esterni, omettendo di motivare, o motivando illogicamente, la ritenuta impossibilità che le lesioni accertate nel controllo sanitario interno alla Casa circondariale fossero riconducibili a gesti autolesionisti tra l’arresto, il primo controllo all’ospedale e l’ingresso in carcere, alla luce del referto ospedaliere e delle deposizioni che avevano escluso segni evidenti di lesioni;

– violazione degli artt. 192 e 629 ss. c.p.p., art. 368 c.p. in relazione alle lett. B, C ed E c.p.p., perchè al R. è contestato di aver calunniato N., per fatti per i quali questi ha patteggiato con sentenza definitiva.

2.2 A..

– Violazione dell’art. 606, lett. B, in relazione agli artt. 234, 235, 236 e 237 c.p.p., art. 238 c.p.p., comma 3 e art. 238 bis c.p.p., perchè, riconosciuta dalla Corte d’appello l’illegittimità dell’acquisizione dei verbali della causa di lavoro relativa al licenziamento di N. conclusasi con ordinanza di reintegrazione, tuttavia la Corte d’appello non avrebbe considerato che in realtà il Giudice penale di primo grado si era sostanzialmente limitato a riportare pedissequamente, per interi brani, la sentenza del Giudice del lavoro, anche in ordine alla ricostruzione dei fatti, nonostante la provvisorietà di tale sentenza; vizio che si sarebbe reiterato nella sentenza d’appello, attraverso il richiamo di questa alla descrizione dei fatti quale contenuta nella sentenza del primo grado.

– violazione dell’art. 606, lett. B ed E, in relazione all’art. 444 c.p.p., comma 2, art. 449 c.p.p., comma 2 e art. 629 c.p.p., perchè illogicamente la Corte d’appello avrebbe rivalutato i fatti già definiti dalla sentenza di ‘patteggiamentò in giudicato, nel corso di procedimento nel quale il N. aveva pienamente esercitato il diritto di difendersi, rendendo ampie dichiarazioni con la sua ricostruzione dei fatti, pervenendo ad una ricostruzione che stravolgeva in tutti i passaggi determinanti quella posta a base delle imputazioni e della sentenza in giudicato;

– violazione dell’art. 606, lett. B ed E, in relazione agli artt. 64, 197, 197 bis, 210 e 371 c.p.p., non essendo stato N. avvertito della facoltà di non rispondere;

– violazione dell’art. 606, lett. B ed E, in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 3 con riferimento ai capi B, C e D, perchè la Corte messinese, evidenziato anche che ritenuta applicabile la regola di giudizio di cui agli artt. 197 bis e 192.3 c.p.p. erano indispensabili i riscontri:

aveva motivato in modo apparente l’attendibilità soggettiva del N., laddove aveva argomentato che l’avere questi presentato la querela solo dopo il licenziamento e su suggerimento di un suo dirigente non spostava sostanzialmente i termini della questione, quando invece la successione temporale (10 luglio giorno del giudizio direttissimo con patteggiamento, 12 luglio sospensione dal servizio, 30 luglio contestazione degli addebiti, 2 agosto deduzione delle giustificazioni, 2 settembre licenziamento a causa dei fatti per cui aveva patteggiato, 12 settembre presentazione della denuncia querela, 25 ottobre udienza dal giudice del lavoro con provvedimento di reintegrazione) attestava che fino al momento della querela N. aveva avuto ogni tempo e possibilità di acquisire prove a proprio favore e rappresentarle, cosa che non aveva fatto, il tutto dovendo formare oggetto di specifica motivazione, omessa; . aveva motivato in modo "insufficiente" quanto:

.. alle chiamate col cellulare a polizia e carabinieri (meri tentativi);

alla ricostruzione dei fatti (risultando: inverosimile che N. avesse atteso all’uscita i vigili per inseguirli anzichè recarsi dalla polizia giudiziaria o in ospedale; contraddittorio l’argomentare che A. prima avrebbe cercato di fuggire al casello e poi avrebbe inviato una volante alle Poste per rintracciare il conducente; contrario alla "consulenza giurata" prodotta la descrizione dell’uscita dal casello autostradale; pregiudicata dalla prevenzione la spiegazione fornita per giustificare la condotta del N. in sede di sorpasso; contraddittoria, e a favore di quella di A., la versione del nuovo contatto prima del casello dopo il fatto del sorpasso), con motivazione sostanzialmente omessa sui punti critici delle discrasie intrinseche della narrazione complessiva di N. e delle divergenze tra questa e quella coerente dell’ A.;

.. alle lesioni subite da N., sia per aver dovuto ipotizzare una solidale illegalità di ricorrenti, corpo della polizia municipale e sanitari dell’ospedale cittadino, sia per l’omessa considerazione della parte delle dichiarazioni del sanitario del carcere in ordine ai gesti di autolesionismo riconducibili all’ansia reattiva, sia per non aver argomentato la liberatoria sottoscritta da N. in favore dell’amministrazione penitenziaria;

– violazione dell’art. 606, lett. B ed E, in relazione agli artt. 52 e 606 c.p.p., art. 192 c.p.p., comma 3, perchè, secondo il ricorrente, intervenuta l’assoluzione dal reato sub A sarebbe stata consequenziale anche l’assoluzione del delitto di lesioni di cui al capo B, dovendo a quel punto – se si comprende l’assunto del motivo – considerarsi la condotta dell’ A. come legittima difesa per contrastare l’aggressione del N., pena l’altrimenti insuperabile contraddizione tra assoluzione e la condanna per i reati di lesione ed arresto illegale;

– violazione dell’art. 606, lett. B ed E, in relazione all’art. 368 c.p., art. 192 c.p.p., comma 3, perchè le deduzioni svolte in ricorso ed il contrasto con la sentenza di patteggiamento per sè avrebbero dovuto imporre il dubbio nella ricostruzione dei fatti, in favore o contro la persona offesa e gli imputati.

3. I ricorsi sono infondati.

3.1 I motivi comuni che paiono riconducibili (pur mancando deduzione specifica conforme nei ricorsi) ad un vizio di improcedibilità dell’azione penale in relazione all’intervenuto patteggiamento del N. (primo e ultimo motivo del ricorso R. e secondo motivo del ricorso A.) sono infondati nei termini che seguono.

Entrambi i ricorrenti hanno in sostanza dedotto che l’intervenuto patteggiamento del N. per i delitti di resistenza e lesioni personali in danno dell’ A., definitivo, non avrebbe consentito più alcun accertamento giurisdizionale sulla vicenda, neppure a parti invertite, e tantomeno una diversa lettura probatoria dei fatti, se non previa rimozione di quel precedente giudicato.

L’assunto è stato prospettato con riferimento agli istituti di cui agli artt. 649 e 629 ss. c.p.p..

La censura è infondata.

Innanzitutto nessun rilievo ha nella fattispecie l’istituto del divieto di un secondo giudizio, che l’art. 649 c.p.p. ancora tassativamente e solo al caso in cui il nuovo procedimento penale riguardi lo stesso imputato, prosciolto o condannato per il medesimo fatto.

In secondo luogo la doglianza che configuri la possibilità del contrasto di giudizi esula dai motivi di ricorso per cassazione, tassativamente previsti dall’art. 606 c.p.p., potendo semmai attivare (nel caso di irrevocabilità dei giudizi inconciliabili) una richiesta di revisione (Sez. 5, sent. 16275 del 16.3-26.4.2010). Il giudizio di cassazione non può che avere per oggetto solo la sentenza impugnata, nei limitati ambiti appunto delineati dall’art. 606 c.p.p., non essendo il giudizio di legittimità il luogo dove è possibile risolvere od impedire contrasti tra giudizi.

Neppure è fondata la deduzione per cui l’istituto della revisione sarebbe il mezzo indispensabile per rimuovere il giudicato a sè sfavorevole, quale condizione pregiudiziale per l’attivazione di un processo a parti invertite, anche sugli stessi fatti. Premesso che significativamente i ricorrenti non indicano specificamente quale sarebbe la conseguenza in rito, sostanzialmente limitandosi a dedurre l’impossibilità di ‘rivalutarè il fatto, è sufficiente considerare che per costante insegnamento di legittimità quando la richiesta di revisione sia fondata sulla deduzione della falsità di una deposizione o di un atto ovvero di altra condotta costituente reato è necessario il previo accertamento giurisdizionale autonomo di tale illiceità, per poi poter procedere con la richiesta di revisione.

Ciò, salvo che l’eventuale reato ipotizzabile (di falsa testimonianza e o calunnia e o falso documentale, per esempio) sia comunque estinto, unico caso in cui il giudice della revisione può procedere incidentalmente all’accertamento dell’illecito penale presupposto della modifica della decisione in giudicato (Sez. 1, sent. 1925 del 22.4-22.5.1991).

In definitiva, non solo non sussiste una norma positiva che impedisca la denuncia da parte di colui nei cui confronti si è determinato un giudicato, pure in relazione ai fatti per i quali quel giudicato è intervenuto, ma inoltre la pluralità di procedimenti anche per i medesimi fatti, purchè al di fuori del rigoroso limite soggettivo indicato dall’art. 649 c.p.p., lungi dall’essere incompatibile con il sistema processuale, è evenienza fisiologica ed addirittura imposta, in particolari situazione, proprio come condizione preliminare per l’accesso all’istituto eccezionale della revisione.

Tanto più in un contesto sistematico nel quale per il medesimo fatto, attribuito a più persone, possono essere svolti procedimenti distinti ed addirittura con regimi di prova diversi, l’eventualità del contrasto tra giudizi non può trovare rimedio in innominate cause di (preliminare) improcedibilità. 3.1.1 Nè la diversità di giudizi (specialmente quando il regime di valutazione delle prove tra gli stessi è diverso, come nel caso del giudizio dibattimentale e dell’applicazione della pena su richiesta delle parti) per sè può essere fonte sufficiente di incertezza probatoria insuperabile (dal che l’infondatezza anche dell’ultimo motivo del ricorso A.).

3.2 Il motivo comune relativo all’inosservanza degli artt. 64 e 197 bis c.p.p. (secondo motivo ricorso R. e terzo motivo ricorso A.) è inammissibile per la sua contestuale manifesta infondatezza e genericità.

N. ha reso la sua deposizione in presenza del proprio difensore quale parte civile, il che è sufficiente ad assolvere la necessità dell’assistenza tecnica (Sez. 1^, sent. 22749 del 13.5- 3.6.2009).

Avendo reso tali dichiarazioni quando la sentenza di patteggiamento era definitiva, non aveva alcuna facoltà di astenersi dal deporre, posto che l’art. 197 bis c.p.p., comma 4 richiama espressamente e solo il caso della sentenza di condanna, senza che qui rilevi l’assimilazione residuale di cui all’art. 445 c.p.p., comma 1 bis, ultima parte, proprio perchè nell’art. 197 bis c.p.p. vi è disciplina autonoma e specifica che differenzia i due tipi di sentenze. Nè i ricorrenti specificano quale altro avviso avrebbe dovuto esser dato, tenuto conto della qualità di testimone assistito non destinatario della facoltà di astenersi dal deporre e non di coimputato in procedimento connesso, ai sensi dell’art. 210 c.p.p..

3.3 Il primo motivo del ricorso A. è inammissibile per genericità.

Il ricorrente, infatti, lamenta in definitiva che i Giudici del merito abbiano utilizzato il contenuto valutativo della sentenza di lavoro, anche mutuandone intere locuzioni, e ciò nonostante le prove acquisite in quella sede civile non potessero rilevare in questo processo.

Omette tuttavia del tutto di dedurre, e tantomeno in modo doverosamente specifico, quali prove non autonomamente emerse nel processo penale sarebbero state in concreto utilizzate, e con rilevanza determinante per la decisione. Ciò che rileva ad integrare eventuali nullità, in altri termini, non è che i Giudici del merito abbiano condiviso gli apprezzamenti del giudice del lavoro, mutuandone per comodità espositiva parti di motivazione, ma, e solo, che in esito all’aver fatto autonomamente propria la narrazione e l’apprezzamento di quel giudice abbiano così basato la propria decisione su prove non utilizzabili perchè, appunto, non emerse nell’autonomo processo penale. Ma nulla di specifico sul punto ha dedotto il ricorrente, la cui censura finisce così con il risolversi in un’irrilevante doglianza per le modalità espositive delle sentenze.

3.4 Gli altri motivi dei due ricorrenti (terzo e quarto ricorso A., terzo ricorso R.), pur proponendo articolate deduzioni sui singoli apprezzamenti operati dai due Giudici del merito sono sostanzialmente inammissibili perchè in definitiva si risolvono nella sollecitazione ad un diverso apprezzamento del materiale probatorio, in direzione coerente alle argomentate prospettazioni difensive (per la verità svolte in termini più approfonditi e puntuali che negli stessi motivi d’appello). Ma è noto che la Corte di cassazione non è giudice del fatto e deve limitarsi a verificare che i Giudici del merito abbiano colto il senso delle prospettazioni e censure difensive, sia in primo grado che specialmente nel giudizio di appello, rispondendo con l’indicazione delle ragioni essenziali per cui le superano o comunque disattendono, esprimendo un apprezzamento che, non incongruo ai dati probatori riferiti, e pur se non l’unico in ipotesi possibile, sia immune dai vizi di motivazione mancante o apparente, manifesta illogicità e contraddittorietà su aspetti determinanti per la decisione.

Nel caso di specie entrambi i giudici del merito hanno dato conto anche delle prospettazioni difensive, la Corte d’appello confrontandosi espressamente con gli articolati motivi di impugnazione, e, in modo tra loro conforme e coerente, hanno giudicato che la natura delle lesioni accertate presso la Casa circondariale fosse l’elemento determinante per dirimere le divergenti versioni, del tutto e solo coerente con quella accusatoria, incompatibile con quella difensiva, ed in particolare, come del resto già affermato dal consulente medico legale, non spiegabile con quei gesti di autolesionismo ipotizzati dalle difese dagli imputati prima dell’accesso al carcere (per tutte, le lesioni attribuibili a punte o tacchi di scarpe – pag. 4 sent. primo grado, 6 e 9 sent. appello – e la diffusione in tutto il corpo, dal cranio all’addome ai polpacci). Da tale assunto, i Giudici del merito ed in particolare la Corte distrettuale ha ritenuto superabili i residui punti, fornendo un apprezzamento articolato e non contraddittorio con l’assunto essenziale, appena esposto. Sicchè non rileva, ad esempio, che la spiegazione sulle ragioni per le quali il controllo all’ospedale civile o le dichiarazioni testimoniali abbiano dato esiti più contenuti quanto alle lesioni sia più (il diverso scopo della verifica ed il contesto particolare, con il N. vestito) o meno (la possibile connivenza dei sanitari) convincente o sufficiente: importa solo che la stessa sia non contraddittoria con l’apprezzamento specifico sulla natura delle lesioni sicuramente accertate all’atto dell’ingresso in carcere e non in sè manifestamente illogica o solo apparente, perchè insufficienza e non idoneità a convincere sono limiti o vizi non rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p..

Conseguentemente deve prendersi atto del fatto che i Giudici del merito hanno operato un apprezzamento articolato, non incongruo ai dati probatori riferiti, attento alle prospettazioni difensive, fondato su un dato oggettivo di univoca ed essenziale valenza probatoria, esposto con argomentazioni non contraddittorie nè manifestamente illogiche. Apprezzamento che non può essere rimesso in discussione in questa sede di legittimità sollecitando una rilettura, anche sinottica, degli atti processuali, del tutto preclusa.

3.4.1 Manifestamente infondato è infine il motivo penultimo del ricorso A., di non immediata intelligibilità, non sussistendo alcuna contraddizione insuperabile tra l’assoluzione d’appello per il capo A e la conferma delle altre statuizioni, la condotta sub A costituendo segmento autonomo e scindibile, non indispensabile per la configurabilità delle altre parti di condotta.

4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di difesa sostenute per il grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo avuto riguardo alle peculiarità del caso.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna altresì i ricorrenti in solido a rimborsare alla parte civile le spese di questo grado che liquida in complessivi Euro 2500 oltre iva e cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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