T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 09-03-2011, n. 677 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Sant’Angelo Lodigiano ha indetto una gara per "l’affidamento in appalto della gestione dei servizi di igiene urbana per il periodo dal 1.1.2209 al 31.12.2013", secondo il criterio del prezzo più basso.

All’esito, la procedura è stata inizialmente aggiudicata in favore di M. s.r.l., avendo offerto il maggior ribasso, mentre seconda classificata è risultata I. S.r.l., precedente gestore del medesimo servizio.

Avverso l’aggiudicazione del 26.2.2009, impugnata unitamente ai verbali di gara, ha presentato un primo ricorso I., deducendone l’illegittimità sotto vari profili concernenti, in sintesi, la capacità tecnica ed i requisiti di moralità dell’aggiudicataria.

Si è costituita l’Amministrazione comunale, con memoria difensiva depositata il 19.5.2009, dando atto della sopravvenuta rinuncia dell’aggiudicataria alla stipula del contratto di appalto e dell’avvio delle verifiche di rito nei confronti della ricorrente, seconda classificata, al fine di riaggiudicare il servizio, con conseguente inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.

Rinviato l’esame dell’istanza cautelare al merito, su richiesta della stessa ricorrente, in vista della discussione le difese hanno depositato ulteriori memorie, dando concordemente atto degli sviluppi successivi, attraverso dapprima l’aggiudicazione della procedura in favore di I. ed, in seguito, l’annullamento in autotutela, con determinazione del 2.3.2010, a seguito delle informative prefettizie.

Avverso tale annullamento in autotutela, impugnato unitamente alle informative interdittive della prefettura di Palermo, I. ha proposto un secondo ricorso, in origine dinanzi al TAR Sicilia, sede di Palermo, deducendo la violazione degli artt. 4 D.lgs. 490/1994 e 10 del D.p.r. 252/1998, dell’art. 38 comma 1 lett. c) del D.lgs. 163/2006, dell’art. 21 nonies della L. 241/1990, dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, nonché dell’eccesso di potere sotto vari profili.

Sul regolamento proposto dall’Amministrazione comunale, il Consiglio di Stato ha statuito per la competenza del Tar Lombardia e, dopo la riassunzione del secondo, depositate ulteriori memorie difensive e documentazione, all’udienza pubblica del 12.1.2011 entrambi i ricorsi sono stati discussi e sono passati in decisione.
Motivi della decisione

1. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi in epigrafe, stante l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva, siccome entrambi relativi alla medesima procedura di gara indetta dal Comune di Sant’Angelo Lodigiano.

2. Il primo ricorso, notificato il 21.4.2009 e depositato il 5.5.2009, trae origine dall’originaria aggiudicazione della procedura in favore della M.. S.r.l., di cui si I. ha contestato la mancata esclusione sul rilievo che la prima classificata non avrebbe avuto il possesso di alcuni dei requisiti di partecipazione richiesti dalla legge di gara.

Risulta peraltro, nello stesso atto introduttivo (a pagina 8), come la ricorrente fosse già a conoscenza, sin dal 3.4.2009, della rinuncia di M.. all’aggiudicazione, al punto da chiedere, anche per tale ragione, un differimento dell’esame dell’istanza cautelare (v. istanza di rinvio depositata il 19.5.2009).

Si può quindi dubitare che, già alla data di deposito del ricorso, I. fosse titolare di un effettivo ed attuale interesse a far valere l’esclusione di un concorrente che già aveva espressamente rinunciato all’aggiudicazione ed alla stipula del contratto.

A maggior ragione tale interesse al ricorso appare revocabile in dubbio, a distanza di oltre un anno dai fatti e dopo che l’aggiudicazione, in un primo tempo disposta in favore di I., è stata in seguito annullata in autotutela, per le ragioni che a breve saranno esaminate e che costituiscono la res litigiosa del distinto ricorso n. 1842/2010.

La ricorrente giustifica la sussistenza di tale interesse – sempre relativamente all’accertamento del mancato possesso dei requisiti di partecipazione da parte di M. – in ragione di "eventuali pretese risarcitorie azionabili nei confronti del Comune", nonché "in relazione al procedimento penale che riguarda alcuni esponenti di I." (v. memoria 27.12.2010 a p. 4).

Tuttavia, quanto al primo profilo, non si comprende quale danno la ricorrente potrebbe avere sofferto nel brevissimo tempo nel quale M. è stata aggiudicataria della procedura in oggetto.

E, per quanto attiene poi al procedimento penale nei riguardi di alcuni suoi esponenti per vicende legate a questa stessa procedura (v. infra), l’eventuale ed ipotetica fondatezza dei motivi di ricorso avverso la mancata esclusione di M. non varrebbe a confutare le gravi e circostanziate contestazioni formulate in sede penale.

3. Ciò posto, anche per meglio valutare la persistenza dell’interesse sotteso al primo, reputa utile il Collegio dare priorità al secondo ricorso, con il quale sono impugnati congiuntamente la deliberazione di annullamento della nuova aggiudicazione disposta in favore di I. e le informative interdittive della Prefettura di Palermo sulle quali l’annullamento in autotutela trova parte del suo fondamento motivazionale.

3.2. Ricordato ancora una volta come dopo la rinuncia di M. la procedura di gara fosse stata aggiudicata in favore della seconda classificata I., risulta dagli atti di causa che successivamente il 5.2.2010 il Comune di Sant’Angelo Lodigiano ha avviato il procedimento di riesame ed, all’esito, valutate le informazioni della Prefettura di Palermo e le indagini penali della Procura della Repubblica di Lodi, ha adottato il provvedimento di annullamento in autotutela del 2.3.2010.

Giova sottolineare, al cospetto delle articolate censure della ricorrente e delle repliche delle amministrazioni resistenti, come la determinazione del 2.3.2010 faccia espresso ed ampio rinvio al verbale della Commissione del 26.2.2010 e come entrambi tali atti siano stati oggetto di impugnazione.

Tale rilievo si impone in quanto, mentre la determinazione del 2.3.2010 approfondisce essenzialmente la prospettata questione dei tentativi di infiltrazione mafiosa, alla luce delle indagini e dei provvedimenti penali e delle informative della Prefettura di Palermo, il verbale del 26.2.2010 esamina, più specificamente, il profilo della moralità professionale tout court della società I., con particolare riferimento alla posizione del socio unico Claudio Demma, quale destinatario di una serie di condanne penali definitive in epoca precedente l’indagine penale condotta dalla Procura della Repubblica di Lodi nel 2008.

Si vuole sottolineare, quindi, come l’annullamento in autotutela si fondi su un duplice ordine di motivi, tra loro potenzialmente autonomi: per un verso la ritenuta sussistenza di cause interdittive legate a tentativi di infiltrazioni mafiose, sulla scorta delle informazioni prefettizie ex art. 10 del D.P.R. 252/1998; per altro verso, la sopravvenuta conoscenza di precedenti penali risalenti nel tempo, tali da giustificare – secondo l’assunto del Comune – l’esclusione di I. a norma dell’art. 38 comma 1 lett. c) del D.lgs. 163/2006.

A conferma di quanto appena evidenziato, vale osservare come la società ricorrente specularmene contesti, da un lato con il primo motivo del ricorso n. 1842/2010, la legittimità e comunque la rilevanza nel caso di specie delle informazioni prefettizie; dall’altro, con il terzo motivo, la corretta applicazione dell’art. 38 del Codice dei contratti.

4. Quanto alla legittimità delle due informazioni prefettizie del 16.12.2009 e del 25.1.2010 le censure investono, in sintesi: l’assenza di condanne definitive e comunque la mancata contestazione di fatti di reato di cui all’art. 416 bis c.p.; l’insufficienza dei soli legami di parentela, dell’amministratore e del socio unico di I., con persone legate ad ambienti criminosi a fondare indizi sufficienti di infiltrazioni mafiose; il fatto che le informative si siano limitate a richiamare gli atti delle indagini penali, senza procedere ad una valutazione autonoma degli stessi.

4.2. Prima di esaminare tali censure, il Collegio ritiene opportuno far cenno al contenuto e alla portata delle informative prefettizie nell’ambito dei procedimenti amministrativi, con particolare riguardo agli appalti pubblici.

4.3. Le dette informative – previste (alla stregua dei criteri stabiliti dalla L 17.1.1994, n. 47, art. 1, comma 1, lett. d) dal D.Lgs. 8.8.1994, n. 490 che all’art. 4 ne dispone l’acquisizione da parte delle Amministrazioni procedenti prima che si stipuli il contratto – determinano l’arresto del procedimento avviato, ove siano segnalate le cause di divieto di cui al citato D.Lgs. n. 490/1994, allegato I, ossia la presenza di provvedimenti definitivi di applicazione di una misura di prevenzione; di sentenze definitive di condanna, o sentenze di primo grado confermate in appello, per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3 bis, del cod. proc. pen.; di determinati provvedimenti dell’Autorità giudiziaria ordinaria ovvero di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa volti a condizionare le scelte delle società interessate.

A ciò aggiungasi che – dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 3.6.1998, n. 252, avente ad oggetto il regolamento per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia (emanato in base all’art. 20 della legge 15.3.1997, n. 59 e all’art. 17, comma 94, della legge 15.5.1997, n. 127) – le due ipotesi indicate nell’art. 4 della D.Lgs. n. 490/1994 risultano poi essere unificate in un solo tipo di informativa, da cui emergono (v. art. 10, comma 2) "elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate", desumibili: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per uno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis, 648 ter del c.p. o dall’art. 51, comma 3 bis, del c.p.p.; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli artt. 2 bis, 2 ter, 3 bis e 3 quater della L. 31.5.1965, n. 575; c) dagli accertamenti disposti dal prefetto, anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno, ovvero richiesti ai prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia" (art. 10 comma 7).

4.4. Sulla base della disciplina normativa ora richiamata, la giurisprudenza (cfr., tra le tante, Cons. St., Sez. VI, 13.6.2007 n. 3187; 21.10.2005, n. 5993; 14.1.2002, n. 149) ha ritenuto le informative prefettizie (c.d. interdittive, in quanto impediscono di contrattare con la P.A. o di ottenere contributi dalla stessa) classificabili sostanzialmente in tre tipi, (poi mantenuti fermi anche dal sopravvenuto art. 247 del D.Lgs. n. 163/2006 e successive modificazioni):

A) un primo tipo – che si riferisce alle informative ricognitive di cause di divieto, di per sé inderdittive, ex art. 4, comma 4, del D..Lgs. 8.4.1994, n. 490 – che nel sistema delineato dal D.P.R. n. 252/1998 va identificato con "le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa", desunte dagli atti indicati nelle lettere a) e b) dell’art. 10;

B) un secondo tipo – riguardante le informative riferite ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa volte a condizionare le scelte delle società interessate, la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del prefetto – che nel sistema indicato nel D.P.R. n. 252/1998 va identificato con "le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa" desunte dagli accertamenti prefettizi indicati nella lettera c) dell’art. 10;

C) un terzo ed ultimo tipo – concernente le informative supplementari o atipiche, fondate sull’accertamento di elementi i quali, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall’art. 4 D.Lgs. n. 490/1994 – la cui efficacia interdittiva non ha carattere automatico, bensì scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria dell’informativa stessa, prevista dall’art. 1 septies del D.L. 6.9 1982, n. 629 convertito dalla L. 12.10.1982, n. 726, articolo aggiunto dall’art. 2 della L. 15.11 1988, n. 486 (richiamato dal D.P.R. n. 252/1998, all’art. 10, comma 9, a tenore del quale l’alto commissario antimafia, le cui competenze sono state devolute nelle more ai prefetti, può comunicare alla autorità competenti "al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni…. per lo svolgimento di attività economiche…. elementi di fatto ed altre indicazioni", utili alla valutazione nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti).

Informative atipiche che secondo la giurisprudenza – essendo fondate sull’accertamento di elementi che, se pure evidenziano il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità mafiosa, non raggiungono, tuttavia, la soglia di gravità predetta o perché mancanti di alcuni requisiti o perché non integranti pienamente il tentativo di infiltrazione – attivano le potestà discrezionali dell’Amministrazione destinataria, non producendo alcuna conseguenza vincolata per la stessa.

4.5. Ciò posto, nel caso di specie le censure della ricorrente sembrano muovere dalla premessa che le informative prefettizie oggetto della controversia siano atipiche, il che è invece revocabile in dubbio.

Infatti, ad onta di quanto lungamente sostenuto dalla difesa ricorrente, risulta dalla documentazione prodotta in giudizio (rapporto investigativo della DIA – doc. 7 della produzione 23.11.2010 dell’Avvocatura dello Stato) che il 24.11.2009 il GIP presso il Tribunale di Lodi ha emesso una seconda ordinanza cautelare in carcere nei confronti del Demma, socio unico di I. e secondo la tesi degli inquirenti suo amministratore di fatto, per il reato di estorsione ( art. 629 c.p.) in quanto "al fine di acquisire l’appalto per l’affidamento del servizio di raccolta integrata dei rifiuti urbani e dei servizi di igiene urbana presso il Comune di Sant’Angelo Lodigiano (…) appalto già aggiudicato dall’ente locale alla società M. s.r.l., usava violenza e minacce nei confronti degli amministratori e degli operatori della predetta società".

Risulta, quindi, un provvedimento cautelare per il delitto di cui all’art. 629 c.p., per il quale il P.M. ha chiesto anche il rinvio a giudizio con atto del 14.12.2010 (v. doc. 33 della produzione comunale), che, valutato unitamente a tutti gli altri elementi indiziari esaminati nell’ordinanza cautelare del 7.2.2009, permette di ricondurre la situazione in esame nel novero delle informazioni tipiche di cui all’art. 10 comma 7 lett. a), di per sé automaticamente interdittive alla stipulazione dei contratti di appalto, ove ricorrano i presupposti di legge.

4.6. Anche qualora si riconducano le informative in contestazione nel novero di quelle ex art. 10 comma 7 lett. c) del D.P.R. 252/1998, perché legate ad accertamenti prefettizi autonomi sulla base di parametri normativi non determinati, le stesse sarebbero comunque immuni dalle censure dedotte, al lume del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui:

– l’informativa prefettizia deve basarsi su un insieme di elementi e di fatti che, pur non dovendo assumere il carattere di una prova, siano tali comunque da far ritenere ragionevolmente l’esistenza del rischio di infiltrazioni mafiose; sicché la valutazione del prefetto presuppone soltanto la presenza di elementi in forza dei quali non sia illogico od inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento della società o dell’impresa con organizzazioni mafiose e di un loro condizionamento da parte delle stesse;

– la normativa di settore è basata in particolare su una concezione della pericolosità in senso oggettivo che non tiene conto della individuazione di responsabilità di ordine penale;

il carattere spiccatamente cautelare dell’informativa prefettizia antimafia, in uno con i particolari interessi pubblici coinvolti e la necessaria riservatezza, consentono di ravvisare in re ipsa quelle esigenze di celerità che giustificano l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990;

– i poteri di accertamento con riguardo ai tentativi di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, per la loro ampiezza sorretta dallo scopo preventivo del provvedimento, consente pienamente che il prefetto possa ravvisare l’emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti che seppure privi in sé dell’assoluta certezza (quali, ad esempio, una condanna penale riportata, collegamenti parentali con soggetti malavitosi,…), siano comunque, nella loro valutazione complessiva, tali da fondare un giudizio prognostico che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni mafiose (cfr. Cons. St, sez. IV, 30.5.2005, n. 2796; 23.3.2004, n. 1507; sez. VI, 26.10.2005, n. 5981; 30.12. 2005, n. 7615; C.Si. 28.12.2006 n. 873).

4.7. Nel caso di specie, risulta documentato in atti il fatto che Susanna Ingargiola, l’amministratore legale di I., e Claudio Demma, socio unico della stessa, il secondo già gravato da precedenti penali definitivi di non secondaria importanza (sui quali v. Infra), sono stati tratti in arresto per reati assai gravi – oltre che commessi, in tesi, proprio per aggiudicarsi l’appalto in questione – quali l’associazione a delinquere, il traffico illecito di rifiuti, la turbata libertà degli incanti, le false dichiarazioni, l’estorsione; che anche i dipendenti della società sono stati coinvolti in tali vicende, nonché il procuratore speciale Maria Abbate, coniuge del Demma.

E’ quindi in un quadro indiziario già assai pregnante di per sé rilevante ed allarmante, corroborato dai precedenti penali del Demma (anche per bancarotta fraudolenta), che debbono valutarsi i rapporti di parentela dell’amministratore, del socio unico e del procuratore speciale di I. con numerosi soggetti, già segnalati dagli organi di polizia e deferiti all’autorità giudiziaria in quanto partecipi di organizzazioni criminali, con particolare riferimento al territorio del palermitano (in alcuni casi, come quelli di Luigi Abbate e componenti della famiglia Madonia, condannati per associazione mafiosa ed estorsione). Il che rende priva di pregio la censura della società ricorrente, secondo cui il rapporto di parentela non potrebbe rappresentare il solo elemento utile per affermare la sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa, per la ragione essenziale che in questo caso l’informativa non si fonda affatto sui soli rapporti di parentela, ma su una pluralità di elementi indiziari gravi precisi e concordanti.

4.8. In conclusione, anche nella prospettiva di un’informazione antimafia ex lett. c), il giudizio del Prefetto di Palermo, ampiamente motivato, è immune da vizi logici e tale da fondare del tutto legittimamente l’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione.

5. La reiezione delle censure avverso le informative prefettizie comporta, poi, l’infondatezza anche del secondo motivo del ricorso n. 1082/2010 con il quale è dedotta l’illegittimità (solamente) in via derivata dell’annullamento dell’aggiudicazione.

6. Venendo ora al terzo motivo del medesimo ricorso, si è già ricordato come il provvedimento di annullamento, letto in combinato disposto con il verbale del 26.2.2010 richiamato per relationem dal primo, sia motivato (oltre che sulla base delle informazioni prefettizie appena esaminate anche) in ragione dei precedenti penali del socio unico Claudio Demma.

6.2. Si contesta, al riguardo, la violazione dell’art. 38, comma 1 lett. c) del Codice dei contratti, sul rilievo che formalmente il Demma non è amministratore munito del potere di rappresentanza della società I. e neppure direttore tecnico. Replicano il Ministero ed il Comune qualificando il Demma come amministratore di fatto della società unipersonale I. e proponendo, sulla scorta di parte della giurisprudenza (v. ad esempio Cons. St., VI, 8.2.2007, n. 523), una interpretazione teleologica della norma in questione, tale da ricomprendere tutti i soggetti aventi comunque un significativo ruolo decisionale e gestionale nell’impresa che partecipa alla gara, al di là delle qualifiche formali rivestite.

6.3. Così riassunte in sintesi le contrapposte deduzioni di parte, il Collegio deve richiamare il precedente di questa Sezione offerto dalla sentenza 25.3.2010 n. 729, nel quale si è ritenuto, sempre in un’ipotesi di società unipersonale a responsabilità limitata, che quantunque l’amministratore unico, ossia il soggetto formalmente dotato di poteri di rappresentanza della società, fosse una persona diversa, non era tuttavia revocabile in dubbio che l’effettivo potere decisionale risiedesse esclusivamente nel socio unico.

6.4. Anche nel caso qui in esame, il ruolo apicale del Demma emerge chiaramente da tutti gli atti di causa, a cominciare dall’ordinanza cautelare del 7.6.2009 nella quale viene qualificato quale gestore di fatto della società I..

Per la giurisprudenza penale formatasi in materia di reati societari e fallimentari, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; senza peraltro che "significatività" e "continuità" comportino necessariamente l’esercizio di "tutti" i poteri propri dell’organo di gestione, essendo sufficiente l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Cass., V, 17.10.2005, Carboni). Con la precisazione che tale posizione va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono poi sanzionate dalla legge penale; la disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare (Cass., I, 12.5.2006, Piccioni).

6.5. Ebbene, sulla scorta di tutti gli elementi di prova risultanti dagli atti, compresi i numerosi rapporti legali ed in ipotesi illegali intrapresi dal Demma per conto di I., non altrimenti spiegabili, ricorre nel caso di specie un’ipotesi di amministratore di fatto. Quegli stessi elementi, numerosi precisi e concordanti, potrebbero, anzi, avvalorare persino l’ipotesi limite, elaborata dalla dottrina ed in taluni precedenti recepita anche dalla giurisprudenza civile, dell’abuso della personalità giuridica e del "socio tiranno", ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda nei fatti una gestione individuale, che rende prospettabile la responsabilità illimitata del socio "tiranno" con il proprio patrimonio (cfr. Cass., I, 25.1.2000, n. 804) e che imporrebbe di considerare il Demma alla stregua di un imprenditore individuale, anche ai fini dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38.

6.6. Ciò posto, una volta riconosciuto il ruolo sostanziale svolto in fatto dal Demma, non vi possono essere ragionevoli dubbi che le sue condanne definitive (documentate in atti – v. doc. 6 bis della produzione del Comune allegata al controricorso) per i reati di furto, truffa, bancarotta fraudolenta (con conseguente inabilitazione all’esercizio di qualunque impresa commerciale per anni dieci), senza considerare le accuse più recenti (tra l’altro per estorsione e turbata libertà degli incanti) incidano profondamente sulla moralità professionale dell’impresa, così giustificandone l’esclusione dalla procedura di gara.

Ne consegue che anche il terzo motivo di ricorso è infondato e va respinto.

7. Del pari infondati sono il quarto e quinto motivo, con i quali è dedotta in particolare la violazione dell’art. 21nonies sul rilievo, ancora una volta, che l’esclusione dalla procedura non possa fondarsi sulla mera pendenza di un procedimento penale.

L’esame delle precedenti censure ha evidenziato, infatti, come l’annullamento in autotutela con conseguente esclusione dalla procedura si sia fondato su di una pluralità di motivi, ciascuno dei quali idoneo a giustificare la decisione dell’Amministrazione comunale.

8. Una volta accertata la legittimità dell’annullamento dell’aggiudicazione in favore di I., anche a seguito delle informative della Prefettura di Palermo, reputa il Collegio che non sia più dato rinvenire alcun interesse ad una decisione sul ricorso n. 1077/2009. Infatti, se sin dall’origine poteva dubitarsi persino della sua stessa ammissibilità, l’esito finale della vicenda al vaglio di questo Tribunale scioglie ogni dubbio sulla sopravvenuta irrilevanza, ovvero inutilità, di accertare oramai se l’originaria aggiudicataria M. s.r.l. avesse o meno i requisiti per partecipare ad una gara dalla quale, in ultimo, la ricorrente è stata legittimamente esclusa.

9. In conclusione, il ricorso n. 1842/2010 è infondato e va respinto, mentre il ricorso n. 1077/2009 va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

10. Le spese di lite sono poste a carico della soccombente e sono liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)

definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti in epigrafe, così provvede:

respinge il ricorso n. 1842/2010;

dichiara improcedibile il ricorso n. 1077/2009;

condanna I. S.r.l. a rifondere al Comune di Sant’Angelo Lodigiano ed al Ministero dell’Interno le spese e gli onorari di lite liquidati nell’importo complessivo di Euro 12.000,00 in favore del primo, ed Euro 5.000,00 in favore del secondo, oltre al 12,5% per spese forfetariamente calcolate, ad IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *