T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 09-03-2011, n. 699

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il ricorrente, cittadino egiziano titolare di carta di soggiorno rilasciata dalla Questura di Lodi in data 21 marzo 2005, in occasione di un ingresso in data 13 dicembre 2005 presso l’Ufficio di Polizia di Frontiera dell’aeroporto di Milano Malpensa, veniva arrestato e associato alla casa circondariale di Busto Arsizio, al fine della successiva estradizione in Germania, in esecuzione di un ordine di cattura internazionale spiccato a suo carico dalla Pretura circondariale di Tiergarten in Berlino per i reati di truffa professionale e violazione della legge sugli stranieri. Contestualmente al controllo all’interessato era notificato, in sola lingua italiana, il provvedimento di revoca della carta di soggiorno emesso in data 24 agosto 2005.

A seguito dell’estradizione in Germania eseguita in data 23 giugno 2006, l’interessato veniva sottoposto a giudizio presso la Pretura di Schöneberg, in esito al quale la locale A.G. pronunciava sentenza 21 agosto 2006 che disponeva: la richiesta di arresto è respinta; la sentenza del 14.08.2006 (di condanna e prolungamento del fermo fino al 22.09.2006) è annullata; l’interessato deve essere rilasciato immediatamente.

A seguito di tale pronuncia il sig. E.S. faceva rientro in Italia e, con ricorso notificato in data 15 novembre 2006, impugnava la revoca della carta di soggiorno, deducendo l’illegittimità del provvedimento per carenza e genericità della motivazione; per violazione dell’art. 7 l.n. 241/90 in ragione dell’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di ritiro della carta di soggiorno e, inoltre, per violazione dell’art. 9, terzo comma, D.lgs. n. 286/98 giacché la revoca è stata disposta in assenza di sentenza di condanna e senza alcuna indicazione delle ragioni di interesse pubblico al ritiro dell’atto. Il ricorrente ha, infine, dedotto che l’omessa traduzione del provvedimento in lingua conosciuta, come prescritto dall’art. 2, sesto comma, T.U. e dall’art. 3, terzo comma, D.P.R. n. 394/94, costituisce irregolarità che ha determinato il ritardo nella proposizione del ricorso e che assume rilievo ai fini della rimessione in termini.

Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio per eccepire l’irricevibilità e l’infondatezza del ricorso.

Con ordinanza n. 2275 del 5 dicembre 2006 è stata accolta la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

All’udienza il ricorso è stato spedito in decisione.

2) E’ eccepita la tardività del ricorso.

Come invero riconosce lo stesso ricorrente, il relativo provvedimento gli è stato notificato in data 13 dicembre 2005, per cui alla data di proposizione del ricorso (10 novembre 2006) era già ampiamente decorso il termine decadenziale di sessanta giorni fissato dall’allora vigente art. 21 della legge 1034 del 1971. Il ricorrente, affermando che il provvedimento gli è stato comunicato nella sola lingua italiana e sostenendo di non essere in grado di leggere altra lingua che la sua, ha tuttavia invocato l’errore scusabile ai fini della rimessione in termini.

L’art. 13, settimo comma, T.U. dispone che "il decreto di espulsione e…ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola". La ratio della norma sta nella necessità che il destinatario della comunicazione abbia la possibilità di percepire con immediatezza e pienezza il contenuto della misura adottata nei suoi confronti, onde apprestare controdeduzioni e difese nel breve termine concesso per l’impugnazione.

Costituisce giurisprudenza costante che la previsione di cui all’art. 13 comma 7 T.U. n. 286/98, secondo cui ogni atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione dello straniero è comunicato all’interessato unitamente ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola, è tesa tipicamente a rendere effettivo il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.; pertanto, l’omessa traduzione del provvedimento in una lingua conosciuta dallo straniero, pur non costituendo vizio di legittimità, essa non incidendo in alcun modo sulla correttezza del potere esercitato, può tuttavia giustificare la rimessione in termini, ove il ricorso giurisdizionale avverso tale provvedimento sia stato proposto oltre l’intervallo prescritto (cfr. Cons. St., IV, 19/10/04 n. 6749; T.A.R. Veneto, III, 2/5/07 n. 1321).

La giurisprudenza (Cass. sez. I civ. 29 novembre 2006, n. 25362) ha altresì affermato, in tema di espulsione dello straniero, che l’obbligo dell’autorità procedente di tradurre la copia del relativo decreto nella lingua conosciuta dallo straniero stesso è derogabile tutte le volte in cui detta autorità attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia impossibile e si imponga la traduzione nelle lingue predeterminate dalla norma di cui all’art. 13, comma 7, del d.lg. 286 del 1998 (francese, inglese, spagnolo).

Si osserva, inoltre, che la conoscenza della lingua italiana che consente di non effettuare la traduzione dell’atto è circostanza della quale deve essere fornita la prova, anche in via presuntiva, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti (cfr. Cass. sez. I, 20 marzo 2009 n. 6928).

Nella fattispecie, il provvedimento in esame non reca alcuna indicazione circa l’impossibilità di traduzione del decreto in lingua conosciuta dal ricorrente o in una di quelle "veicolari", né precisa se il ricorrente fosse in grado di comprendere la lingua italiana. Al riguardo, la lunga permanenza del ricorrente nel territorio italiano, segnalata dalla difesa erariale, costituisce circostanza, da sola considerata, insufficiente a comprovare, con l’elevato margine di attendibilità richiesto dalla giurisprudenza richiamata, che l’interessato fosse in grado di leggere l’atto redatto in lingua italiana e intenderne il significato.

Gli elementi ora indicati rendono quindi ammissibile, in mancanza di contrari indizi, la tesi per cui lo straniero al momento della notificazione del provvedimento impugnato non fosse in grado di percepirne compiutamente il contenuto.

Quanto al lasso di tempo trascorso dalla notifica del provvedimento, va osservato che l’interessato è stato arrestato e successivamente estradato in Germania per essere ivi sottoposto a procedimento penale; solo dopo l’assoluzione e la conseguente scarcerazione ha potuto far rientro in Italia. Tale situazione, ritiene il Collegio, possa integrare i gravi impedimenti che, a norma dell’art. 37 c.p.a., consentono la rimessione in termini, con conseguente rigetto dell’eccezione in esame.

3) La difesa erariale ha eccepito la carenza di legittimazione passiva della Questura, trattandosi di organo interno dell’amministrazione centrale dello Stato privo di autonoma soggettività.

L’eccezione non merita accoglimento, in quanto, in coerenza con un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’erronea individuazione dell’organo dell’amministrazione dello Stato cui spetta la rappresentanza in giudizio dello Stato medesimo non determina un difetto di legittimazione passiva, ma solo una mera irregolarità (cfr. Cass. Civ., 19 novembre 2003 n. 17546; Cass. Civ. 19 dicembre 2001, n. 16031, nonché in argomento Cass. Civ. Sent. 30 gennaio 2003 n. 1405; Cass. Civ. 28 marzo 2003 n. 4755; Cass. Civ. 01 aprile 2005 n. 6917).

Del resto, siccome l’eccezione dell’amministrazione non attiene all’erronea "identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato", secondo quanto previsto dall’art. 4 della legge 1958 n. 260, e tenuto conto che il ricorso è stato notificato anche al Ministero dell’Interno, va esclusa la sussistenza dei presupposti per fissare un termine entro il quale l’atto introduttivo del presente giudizio debba essere rinnovato, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 4.

4) Nel merito il ricorso è fondato.

Alla data in cui è stato adottato il provvedimento impugnato era ancora vigente l’art. 9 comma 3° del D.Lgs n. 286/98, nella sua versione precedente alla entrata in vigore del D.Lgs 3/07, che prevedeva un’ipotesi di revoca necessaria della carta di soggiorno.

La norma richiamata consentiva, infatti, la revoca della carta di soggiorno in presenza di "sentenza di condanna, anche non definitiva, per i reati di cui al presente comma", vale a dire quelli di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p.

Il collegio è dell’avviso che la disposizione vada interpretata in senso stretto, visto il suo esplicito riferimento alle sole "sentenze"; in proposito va osservato che, mentre ai fini della concessione della carta di soggiorno, la norma prevede che siano ostative tanto le sentenze di condanna quanto il provvedimento che dispone il giudizio, per quanto attiene le vicende successive al rilascio della carta di soggiorno, è invece richiesto un accertamento più attento alla permanenza del titolo e al consolidamento delle situazioni individuali, il quale si concluderà con la revoca dello stesso solo in caso di sentenze di condanna per i gravi titoli delittuosi previsti.

Il che implica necessariamente come non potesse considerarsi rilevante la pendenza di procedimenti penali a carico del ricorrente, fino a quando gli stessi non fossero stati definiti almeno in primo grado. Da ciò, e dal concorrente rilievo che il ricorrente è stato assolto dall’imputazione con decisione definitiva dell’A.G. tedesca, può farsi discendere il difetto dei presupposti per la revoca della carta di soggiorno di cui lo stesso è titolare.

Né può costituire valido sostegno del provvedimento il richiamo all’art. 4, sesto comma, del T.U. il quale stabilisce che: "non possono fare ingresso nel territorio dello Stato e sono respinti dalla frontiera gli stranieri espulsi, salvo che abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso, gli stranieri che debbono essere espulsi e quelli segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali".

La norma definisce i requisiti che lo straniero deve possedere per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato; ad essi fa riferimento l’art.5, quinto comma, del T.U., laddove dispone che "il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato". Analogo richiamo non è invece contenuto nell’art. 9, il quale, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che "successivamente al rilascio della carta di soggiorno il questore dispone la revoca, se è stata emessa sentenza di condanna".

Il sistema, in ragione del maggior grado di inserimento sociale e lavorativo dello straniero denotato dal possesso della carta di soggiorno, postula che la revoca della stessa possa essere disposta soltanto in presenza di condanna per i reati ivi specificamente previsti.

In conclusione il ricorso deve essere accolto.

Le spese possono comunque compensarsi, tenuto conto della particolarità della vicenda esaminata.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

accoglie il ricorso e per l’effetto annulla il provvedimento con esso impugnato;

compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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