T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 09-03-2011, n. 676

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con decreto 6.10.2009 n. 10043 la Regione Lombardia ha attivato il "percorso formativo abilitante per l’esercizio dell’arte ausiliaria di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici".

1.1. L’A.I.F.I. (associazione volta alla tutela della categoria dei fisioterapisti) e la FEDERAZIONE NAZIONALE DEI COLLEGI MASSOFISIOTERAPISTI, con ricorso depositato il 27 gennaio 2010, hanno impugnato il predetto provvedimento ed ogni altro ad esso connesso, presupposto e consequenziale, chiedendone l’annullamento per violazione dell’art. 117 della Costituzione e dei principi generali in materia di professioni e di formazione professionale, nonché per sviamento, violazione dell’art. 97 Cost. e dei principi di logicità, ragionevolezza e partecipazione procedimentale.

1.2. Si è costituita in giudizio la REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente "pro tempore", chiedendo il rigetto del ricorso. Con successiva memoria depositata in data 11 gennaio 2011, l’Amministrazione resistente ha chiesto, in via preliminare, di dichiarare il ricorso irricevibile per tardività, inammissibile per mancata notifica a soggetto controinteressato e per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, nonché per mancata impugnazione del decreto regionale n. 13025/2009; nel merito, ha insistito nel rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto.

1.3. Le associazioni ricorrenti, con atto depositato in data 26 gennaio 2011, hanno replicato alle censure mosse dalla Regione, insistendo per l’accoglimento del ricorso e di tutte le domande ivi contenute.

1.4. Con atto depositato in data 4 febbraio 2011, hanno spiegato intervento "ad opponendum" nel procedimento così instaurato l’ASSOCIAZIONE ITALIANA MASSOFISIOTERAPISTI, la A., la I.S.I. S.R.L., il C.A.A.P. CENTRO ARTISTICO ACCONCIATORI PAVESI, la C.S.S. S.R.L. e la W.S. E.C. S.R.L., le quali, facendo preliminare istanza di rimessione in termini, hanno sostenuto l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire ed, in ogni caso, il rigetto dello stesso in quanto infondato in fatto e in diritto.

1.5. All’udienza del 16 febbraio 2010, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva.

2. Deve preliminarmente procedersi all’esame delle questioni pregiudiziali.

2.1. L’intervento "ad opponendum" è irricevibile in quanto tardivo. Ai sensi dell’art. 50, III comma, c.p.a., il termine per il deposito dell’atto di intervento di cui all’art. 28, comma 2, c.p.a. è ammesso fino a trenta giorni prima dell’udienza. Detto termine, di evidente carattere perentorio, non è stato rispettato nel caso di specie. L’atto di intervento è stato, infatti, depositato soltanto in data 4 febbraio 2011 (mentre l’udienza era fissata per il 16 febbraio 2011), quindi ben oltre i termini di rito.

Tanto premesso, non può essere accolta l’istanza di rimessione in termini. Difatti, l’art. 37 c.p.a., nella parte in cui stabilisce che la rimessione in termini per errore scusabile può essere disposta solo in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto, è norma di stretta interpretazione, dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti richiamato dall’art. 2, comma 1, c.p.a., sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (cfr. Consiglio Stato, a. plen., 2 dicembre 2010 n. 3). Nella specie, oltre a non sussistere alcuna incertezza sul tenore della richiamata disposizione che disciplina il termine ultimo per l’intervento ad opponendum, neppure sono stati dedotti gravi impedimento di fatto.

2.2. Non è fondata l’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività della notifica, argomentata dall’amministrazione sul rilievo di aver ricevuto il ricorso solo in data 31 dicembre 2010, quindi tre giorni dopo l’ultimo giorno utile per il perfezionamento della notifica (28 dicembre 2010).

Occorre precisare che, in caso di notifica di un atto processuale effettuata in proprio dall’avvocato ex art. 3, l. 21.1.1994 n. 53 (come, per l’appunto, avvenuto nel caso che ci occupa), la notificazione si perfeziona, anche per il notificante, "in forza del rinvio operato dall’art. 3, comma 3, di detta legge alla disciplina della l. 20 novembre 1982 n. 890, con la consegna del plico al destinatario da parte dell’agente postale" (Cassazione Civile, sez. II, 25 settembre 2002, n. 13922). Come è noto, la Corte Costituzionale (sentenza n. 477 del 26.11.2002, riferita al combinato disposto dell’art. 4, comma 3, della legge 20.11.1982, n. 890 e dell’art. 149 c.p.c., disciplinante le modalità di effettuazione delle notifiche a mezzo posta) aveva ritenuto che la regola del perfezionamento della notificazione, anche per il notificante, alla data di ricezione del plico da parte del destinatario, si ponesse in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, imponendo questi ultimi sia garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario, sia il non addebito al notificante dell’eventuale esito intempestivo di un procedimento, sottratto ai poteri del medesimo dopo la fase di impulso; ciò in quanto è palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza potesse discendere dal ritardo nel compimento di un’attività, riferibile non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi (l’ufficiale giudiziario e l’agente postale); fermo restando, pertanto, il principio del perfezionamento della notificazione, per il destinatario, solo alla data di ricezione dell’atto, la Consulta aveva affermato il principio di portata generale, riferibile ad ogni tipo di notifica e dunque anche alle notificazioni a mezzo posta, secondo cui gli effetti di tale notificazione debbono essere collegati, per quanto riguarda il notificante, al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari (quale appunto l’agente postale) sottratta in toto al controllo e alla sfera di disponibilità del notificante medesimo. A seguito della sentenza appena citata, all’art. 149 c.p.c. è stato aggiunto (con legge 28.12.2005, n. 263, art. 2, comma 1, lettera e) il seguente comma: "la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha legale conoscenza dell’atto".

L’indirizzo giurisprudenziale invocato dalla Regione, argomentando sulla diversità del ruolo e della funzione dell’Ufficiale giudiziario rispetto all’Avvocato e valorizzando la circostanza che è solo relativamente alle notifiche effettuate dal primo che è intervenuta la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 477/2002, ha ritenuto che non possa applicarsi alle notifiche effettuate in proprio dall’avvocato ex art. 3, l. n. 53/1994, il meccanismo anticipatorio del momento perfezionativo della notifica alla consegna del plico all’Ufficiale notificante (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 9.4.2008, n. 604; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 12.2.2009, n. 431).

Tale interpretazione, tuttavia, non è condivisa dal Collegio, per le ragioni già espresse in più d’una pronuncia (cfr. Cons. St., sez. V, 9.3.2009, n. 1365, Cass. Civ., sez. II, 25.9.2002, n. 13922). Deve essere, in primo luogo, sottolineato, infatti, come i principi di cui si discute siano esposti in una sentenza interpretativa di accoglimento di tipo additivo, idonea ad esprimere i criteri da applicare, in via generale, in tema di notifiche, per una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in materia; detti criteri, inoltre, sono direttamente applicabili alle notifiche effettuate dagli avvocati, in forza del rinvio recettizio (da ritenersi di natura dinamica, per il tenore letterale e le finalità della norma) contenuto nel terzo comma dell’art. 3 della citata legge n. 53/1994, in rapporto agli articoli 4 e seguenti della legge n. 890/1982, la cui lettura non può che essere effettuata nei termini in precedenza indicati, anche in collegamento al nuovo testo dell’art. 149 c.p.c. (Consiglio Stato, sez. VI, 13 aprile 2010 n. 2055); anche a tale ultima norma, del resto, è indirizzato il rinvio esterno di cui all’art. 39, 2° comma c.p.a., alla cui stregua "le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile".

2.3. In ordine all’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad un controinteressato, è utile rammentare come per integrare la nozione di controinteressati occorrono due elementi: il primo di carattere formale (l’essere il controinteressato individuato o facilmente individuabile dall’atto impugnato); il secondo di carattere sostanziale (la sussistenza di un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato). Ciò posto, i predetti presupposti non ricorrono nella specie, venendo in rilievo un mero provvedimento che, per il fatto di procedere semplicemente all’attivazione di un percorso formativo abilitante per l’esercizio di una arte o professione sanitaria, non riconosce una posizione differenziata di vantaggio in capo ad alcuno. In presenza di atti di rilievo regolamentare o comunque aventi portata generale, com’è nella specie, non sussistono controinteressati, proprio in forza della portata generale degli stessi e della loro inidoneità a correlare direttamente interessi di soggetti contrapposti.

2.4. La dedotta improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione del decreto regionale n. 13025/2009 del 2.12.2009 è, parimenti, destituita di fondamento.

Il decreto da ultimo citato (recante "Indicazioni riguardanti le prove di accertamento finale dei percorsi di massaggiatore e capo bagnino degli stabilimenti idroterapici"), successivo al provvedimento impugnato, si limita a disciplinare le modalità di svolgimento delle prove conclusive.

E’ noto che, secondo una teoria consolidata nel diritto vivente (sia pure non condivisa da una parte della dottrina), gli effetti dell’illegittimità derivata possono essere invalidanti oppure caducanti, a seconda che l’annullamento dell’atto presupposto, rispettivamente, travolga o no anche l’atto conseguente. Nel primo caso, l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto consequenziale, anche quando quest’ultimo non sia stato impugnato, nel secondo caso, invece, l’atto consequenziale risulta affetto da illegittimità derivata, ma resta efficace ove non ritualmente impugnato (ex plurimis, cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 23 dicembre 2008, n. 6520).

Nel caso concreto, attesa l’intima connessione e il rapporto di stretta e inscindibile derivazione tra il provvedimento istitutivo del corso di formazione e quello disciplinante le modalità del suo svolgimento, l’eventuale annullamento del primo determinerebbe una illegittimità derivata ad effetto caducante nei confronti del secondo. Il principio sopra richiamato, dunque, spiega qui immediata rilevanza pratica nella misura in cui, con riguardo alle fattispecie di invalidità derivata caducante, non può essere affermata l’esigenza della necessaria impugnazione degli atti sopravvenuti pur se lesivi.

2.5. Per quanto concerne il rilievo con cui la Regione argomenta l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse delle ricorrenti alla decisione, ciò in seguito alla recenti indicazioni del Ministero competente che avrebbero chiarito e circoscritto i confini dell’attività esercitabile dal massaggiatore e dal capo bagnino degli stabilimenti idroterapici, ritiene il Collegio che la questione debba essere affrontata unitamente alla definizione del merito.

3. Veniamo a questo punto ai motivi di ricorso.

3.1. Le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 117 della Costituzione e dei principi generali in materia di professione e di formazione professionale, desumibili dal d.lgs. n. 502/1992, anche con riferimento al d.lgs. 112/1998 (art. 124), al d.lgs. 30/2006, alla L. 1264/1927, al R.D. 1334/1928 e r.d. 1265/1934. Le stesse censurano il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione della L.R. n. 19/2007 e della Legge n. 323/2000, per violazione dell’art. 97 della Costituzione oltre che per manifesta illogicità, irragionevolezza e sviamento di potere.

3.2. Denunciano, altresì, la violazione dei principi di partecipazione procedimentale. In particolare, la fase immediatamente precedente l’emanazione del decreto n. 10043/2009, risulterebbe caratterizzata da una violazione di carattere procedimentale essendosi l’Amministrazione limitata a "sentire" soltanto i rappresentanti della categoria dei Massaggiatori e Operatori della salute, senza interloquire né con l’Associazione rappresentativa dei fisioterapisti, né con quella dei Massofisioterapisti.

3.3. L’illegittimità del decreto impugnato viene argomentata anche in quanto lo stesso sarebbe elusivo delle precedenti sentenze del TAR LOMBARDIA che avevano annullato i profili professionali di "Massaggiatore e operatore della salute", "Operatore del massaggio sportivo" e "Operatore di tecniche del massaggio orientale". Inoltre, assumono violato anche l’art. 117, comma 3, nonché l’art. 124 d.lgs 11271998, non potendo le Regioni disciplinare autonomamente l’ordinamento didattico dei corsi.

3.4. Da ultimo, vengono censurati i criteri utilizzati dalla Regione per il riconoscimento dei crediti formativi, limitandosi il decreto a prevedere che gli stessi possano essere riconosciuti anche oltre il limite generale del 50% delle ore totali del percorso standard. Detta previsione violerebbe, ad avviso delle ricorrenti, il principio di parità di trattamento nei confronti della generalità degli altri corsi di formazione professionale.

4. Il ricorso non può essere accolto in forza degli argomenti che seguono.

4.1. La Consulta, proprio in occasione dello scrutinio della legittimità costituzionale di disposizioni di legislazione regionale aventi ad oggetto la regolamentazione di attività di tipo professionale, ha affermato ripetutamente che la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale (cfr. Corte Cost. sentenza n. 300/2007, n. 153/2006, n. 57/2007, n. 424/2006).

Non è, dunque, nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali.

4.2. Sotto altro profilo, l’art. 1, comma 2, l. 1 febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative tecnicosanitarie e della prevenzione e delega al Governo per la istituzione dei relativi ordini professionali), effettivamente statuisce che "Resta ferma la competenza delle regioni nell’individuazione e formazione dei profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie". Tuttavia, per un verso tali profili vanno riferiti esclusivamente ad attività aventi carattere "servente" ed "ausiliario" rispetto a quelle pertinenti alle professioni sanitarie (peraltro ad un livello inferiore rispetto a quello proprio delle "arti ausiliarie delle professioni sanitarie"), anche esse rientranti nella materia delle "professioni di cui all’art. 117, terzo comma, Cost." (sentenze n. 426 del 2006, n. 319 del 2005 e n. 353 del 2003); carattere questo non ravvisabile nella figura per cui è causa. Inoltre, detta disposizione va, comunque, letta non disgiuntamente da quanto, invece, contenuto nell’art. 1, comma 3, del coevo decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131), il quale, ribadendo un principio, come dianzi osservato, già qualificato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale come limite della competenza legislativa regionale nella materia delle "professioni", prevede che "la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale".

4.3. Non varrebbe a giustificare interventi "innovativi" della Regione sulla materia, l’argomentazione per cui la disciplina dell’arte o professione rientrerebbe nell’ambito della formazione professionale: ciò per un evidente motivo di consequenzialità, per cui anche le attività di formazione non possono che accedere ad ambiti professionali già riconosciuti con l’osservanza, sia da parte dello Stato che delle Regioni, dei rispettivi piani di competenza.

4.4. La professione di fisioterapista, al termine del percorso normativo inaugurato dalla riforma sanitaria contenuta nel d.lgs. n. 502/1992 e seguita dalle leggi nn. 42/1999, 251/2000. 43/2006, è annoverata dall’ordinamento di settore tra le professioni sanitarie ed il suo esercizio è subordinato al conseguimento di un titolo di laurea, fatta salva l’equipollenza dei titoli pregressi. L’art. 6, comma III, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, in particolare, ha previsto la formazione in ambito ospedaliero del personale destinato a ricoprire le mansioni infermieristiche, tecniche e riabilitative del personale sanitario, ed ha demandato ad un decreto ministeriale l’individuazione delle relative figure professionali. Tutte le altre tipologie di impiego nel settore sono state considerate soppresse, così come i relativi corsi di formazione, salvo l’eventuale riordino in base alla nuova normativa sull’ordinamento universitario. La norma anzidetta ha anche operato un richiamo all’art. 9 della legge 19 novembre 1990 n. 341, dettata in materia di riforma degli ordinamenti didattici universitari, prevedendo che la struttura delle scuole di accesso ai profili di nuova individuazione dovesse uniformarsi alla normativa comunitaria e ridurre le duplicazioni tra gli insegnamenti, perseguendo l’omogeneità disciplinare. L’indicato orientamento normativo ha, pertanto, delineato una situazione tale per cui le preesistenti figure sanitarie dovevano mutare, per essere ricomprese nelle sole ipotesi delineate dalla legge, e specificate dai decreti attuativi. È poi intervenuto il d.m. 27 luglio 2000 il quale, all’art. 1, ha stabilito che i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, che sono indicati nella sezione B della tabella sotto riportata, sono equipollenti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, al diploma universitario di fisioterapista di cui al decreto 14 settembre 1994 n. 741 del Ministro della Sanità indicato nella sezione A della stessa tabella, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione postbase. L’art. 3 del successivo D.M. 29 marzo 2001 ha quindi indicato anche i fisioterapisti (lett. b) tra gli esercenti le professioni sanitarie riabilitative; tale disposizione dovendo essere letta avendo riguardo alla ricordata funzione che la legge ha assegnato al decreto ministeriale in trattazione, per cui se ne può concludere che l’unica figura professionale ormai ammessa dall’ordinamento nell’indicato settore di attività è quello del fisioterapista. (cfr. Tar Lazio, Roma, 15 dicembre 2004 n. 16084).

Il complesso normativo, dianzi richiamato, importa che non è possibile istituire figure professionali di operatori sanitari potenzialmente sovrapponibili a quelle che hanno ispirato la riforma, tra cui quella di fisioterapista. I requisiti di definizione delle professioni sanitarie e legittimanti il loro esercizio risponde ad un interesse di ordine generale di tutelare la collettività contro il rischio di un non appropriato trattamento sanitario. Si impone, pertanto, di demarcare con nettezza le professioni sanitarie dagli altri operatori di incerta qualificazione per consentire all’individuo una cosciente scelta di cura.

4.5. Al termine di questo breve excursus, ritiene il Collegio che il decreto oggi impugnato non "crei" alcuna figura professionale, limitandosi ad istituire corsi di formazione abilitanti all’esercizio di una arte ausiliaria (quella di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici) già compiutamente individuata dalla legge statale quale arte sanitaria delle professioni sanitarie. Il r.d. 31 maggio 1928 n. 1334 (recante il regolamento per l’esecuzione della legge 23 giugno 1927, n. 1264, sulla disciplina delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie), all’art. 1 prevede: "Saranno rilasciate, a termine dell’art. 2 della legge 23 giugno 1927, n. 1264, distinte licenze per l’esercizio di ciascuna delle seguenti professioni sanitarie: a) dell’odontotecnico; b) dell’ottico; c) del meccanico ortopedico ed ernista; d) dell’infermiere. La licenza per infermiere, però, riguarderà o l’esercizio generico di tale professione sanitaria, o le distinte specialità del massaggiatore e del capo bagnino degli stabilimenti idroterapici.

Recenti indicazioni del Ministero della Salute, come dedotto dalla difesa regionale, effettivamente hanno chiarito i confini dell’attività esercitabile da tale operatore (cfr. nota del 17 giugno 2010, del 19 luglio 2010, del 29 ottobre 2010: doc. 5, 6, 7) da cui risulta in sintesi che: l’operatore in questione non risulta compreso fra quelli che la vigente normativa individua come indispensabili per ottenere l’accreditamento; soltanto in aggiunta al personale che la normativa individua come necessaria, il massaggiatore ed il capo bagnino degli stabilimenti idroterapici potranno compiere atti non riservati ai professionisti sanitari o agli esercenti un’altra arte ausiliaria delle professioni sanitarie; per quanto specificatamente attiene alla strutture private convenzionate, l’assunzione di tali operatori non concorre a soddisfare i requisiti dei professionisti della riabilitazione (ortopedici, fisioterapisti, terapisti occupazionali) che dette strutture devono impiegare per ottenere l’accreditamento; il massaggiatore capo bagnino, diversamente dal fisioterapista e dal massofisioterapista, non può diventare massaggiatore sportivo.

In definitiva, i provvedimenti del Ministero, pur non introducendo un’organica disciplina della materia, specificano il disposto della norma primaria, assicurando che il massaggiatore capo bagnino degli stabilimenti idroterapici possa svolgere la propria attività esclusivamente in rapporto di dipendenza e sotto la supervisione e responsabilità del fisioterapista. Non è, dunque, condivisibile l’assunto secondo cui il percorso di formazione organizzato dalla Regione avrebbe l’effetto di abilitare una figura sanitaria ad operare presso qualsiasi tipologia di struttura riabilitativa sulla scorta di una formale ma vuota qualificazione di massaggiatore capo bagnino degli stabilimenti idroterapici; al contrario, il campo operativo di siffatta figura resta limitata allo svolgimento di compiti meramente esecutivi. La determinazione impugnata non ha individuato una nuova figura professionale le cui competenze si sovrappongano, anche solo parzialmente, ai compiti sanitari veri e propri riservati agli appartenenti alle categorie rappresentante dalle associazioni ricorrenti.

4.6. Sotto altro profilo, non si comprende perché l’attivazione del corso formativo in oggetto sarebbe dovuta essere preceduta da una verifica delle possibilità di inserimento nel mercato del lavoro delle figure oggetto di formazione, nonché quale sia l’interesse perseguito dalle associazioni ricorrenti. La censura, sul punto, è generica e non argomentata.

4.7. Del pari è inammissibile la censura relativa alla definizione dei criteri per il riconoscimento dei crediti formativi (previsione, peraltro, inserita nel decreto n. 10830/2009 mai impugnato). Non è dato comprendere, anche qui, quale sia l’interesse giuridicamente rilevante delle associazioni ricorrenti a dolersi della possibilità per i discenti di valorizzare le pregresse esperienze formative maturate nel corso dei corsi istituiti.

4.8. Non è fondato, da ultimo, il motivo che denuncia la violazione del contraddittorio procedimentale. La portata generale della deliberazione oggetto di impugnazione, sopra evocata, richiama, infatti, l’applicazione dell’art. 13 l. n. 241 del 1990, a mente del quale le disposizioni in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non si applicano "nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione".

Il richiamo operato alla sentenza del Tar Lombardia n. 30/2008 del 09/01/2008 è inconferente: a differenza del caso allora esaminato, nella specie non risulta essere stata promossa alcuna consultazione preliminare alla istituzione del corso formativo per cui è causa, avendo gli uffici regionali ricevuto, dietro loro richiesta, rappresentanze di soggetti che avevano partecipato ai precedenti corsi (massaggiatori ed operatori della salute), ai diversi fini della valutazione degli effetti delle sentenze n. 4641 e 4642 del 2009.

5. Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese di lite tra le parti, tenuto conto anche della sopravvenienza in corso di causa dei sopra citati provvedimenti ministeriali.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

DICHIARA irricevibile l’intervento "ad opponendum";

RESPINGE il ricorso e compensa interamente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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