Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-01-2011) 11-03-2011, n. 10088

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 22 ottobre 2009, la Corte di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città nei confronti di A.L., A. G. e Z.D., riduceva la pene inflitta a quest’ultimo e confermava nel resto.

In particolare, i tre imputati sono stati ritenuti responsabili di essersi associati fra loro e con altre persone, al fine di commettere più reati fra quelli previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capo A, in esso assorbito il capo F); A.L. e G. di aver importato nel territorio nazionale sostanze stupefacenti in ingente quantità (511 chili circa di marijuana e 30,800 chili di hashish), sequestrata il 17 agosto 2006 (capo B); A.L. di aver importato nel territorio nazionale 148,700 chili di marijuana, sequestrata il 10 novembre 2006 (capo D) e di aver organizzato il trasporto di stupefacenti sulla tratta ferroviaria (OMISSIS) (capo E).

Esponevano in fatto i giudici di merito che, dalle indagini – dapprima svolte dalla Procura di Livorno e dalla Procura di Lecce e poi, a seguito della trasmissione degli atti per competenza territoriale, dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria – che avevano avuto ad oggetto in particolare servizi di intercettazione telefonica a carico di soggetti (OMISSIS), era emersa, intorno alla metà di agosto del 2006, l’imminente spedizione di stupefacenti dall'(OMISSIS) via mare, il cui sbarco era previsto sulle coste pugliesi. Nel (OMISSIS), nelle prime ore del 17 agosto 2006 veniva intercettato al largo della località Torre (OMISSIS) un gommone condotto da cittadini (OMISSIS), su cui erano rinvenuti notevoli quantitativi di marijuana ed hashish, nonchè una sim-card, custodita dagli scafisti, abbinata ad un’utenza cellulare, che risultava aver avuto contatti con utenze (OMISSIS) nei giorni precedenti allo sbarco. In particolare, risultava essere stato contattato anche A.L. per informarlo di alcuni contrattempi, che avevano determinato un ritardo nell’effettuazione del trasporto. Costui in particolare si era raccomandato con l’interlocutore che "la qualità" fosse "buona" e di "produzione nuova", venendo invitato a ricaricare la sim-card, trovata poi in possesso degli scafisti, perchè doveva essere data al "ragazzo" che doveva "andare là sopra".

In data 7 agosto 2006, dal monitoraggio della utenza telefonica in uso a A.L. risultava che costui si era recato personalmente in (OMISSIS), da dove aveva chiamato il figlio G., sollecitandolo ad interessarsi per reperire i soggetti che dovevano effettuare il trasporto una volta giunto il carico in (OMISSIS) ed informandolo del rinvio dell’operazione di trasporto a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Insieme all’ A. si era recato in (OMISSIS) anche A.I., cittadino (OMISSIS) residente a (OMISSIS), che manteneva i contatti telefonici con un altro livornese R.A., che, dal tenore delle conversazioni, risultava attendere una fornitura di stupefacente, essendo insoddisfatto di quella precedentemente ricevuta di scarsa qualità. Lo I. era inoltre in contatto telefonico con il cugino dimorante in (OMISSIS), tale B., che aveva in uso l’utenza telefonica sequestrata agli scafisti nell’agosto 2006.

All’esito del suddetto sequestro venivano sottoposte a controllo utenze telefoniche che consentivano di accertare altra imminente transazione avente ad oggetto un ingente quantitativo di sostanza stupefacente tra un gruppo (OMISSIS) (con alcuni soggetti stazionanti in (OMISSIS) ed altri in (OMISSIS)) e A.L.. I servizi di captazione sulle utenze, riferibili a quest’ultimo, evidenziavano inoltre contatti con soggetti (OMISSIS), aventi ad oggetto illecite transazioni di stupefacente e, in particolare, la preparazione dello sbarco via mare di un carico sulle coste salentine in luogo vicino a quello in cui, già in una precedente occasione, gli stessi si erano incontrati e dove lo stesso A.L. personalmente doveva recarsi a prendere in consegna lo stupefacente.

Nel frattempo, dalle telefonate intercettate, emergeva l’organizzazione tra costui e Z.D. di un trasporto e il contatto dell’ A. con un soggetto interessato all’acquisto.

I servizi di osservazione consentivano quindi di accertare che il 10 novembre 2006 A. e lo Z. si incontravano verso le ore 01,15 a Lecce, dove quest’ultimo arrivava con un camion, dirigendosi poi insieme all’ A. in direzione del litorale. Dopo pochi minuti, A.L. informava lo Z. di andarsene "dove era il figlio" perchè era "saltato tutto".

Venivano nel frattempo notati due soggetti, di cui uno si dava alla fuga e l’altro identificato in A.L. di nazionalità (OMISSIS), che ammetteva di essere lì giunto, insieme ad altri quattro connazionali, a bordo del gommone rinvenuto sul litorale il giorno precedente, con il quale era stato trasportato lo stupefacente. Il L. faceva rinvenire lo stupefacente occultato, costituito da marijuana per un peso complessivo pari a 148,700 chili.

Nel contempo, veniva sequestrato al L. anche un telefono cellulare il cui numero era stato comunicato dal B. il giorno prima a A.L. e da quest’ultimo contattato durante il suo viaggio verso (OMISSIS) per incontrasi con lo Z..

A.L., controllato mentre si aggirava nei pressi del litorale località (OMISSIS), comunicava telefonicamente verso utenze già contattate in occasione dello sbarco dell’agosto 2006 che il carico abbandonato non c’era più e che una persona era stata tratta in arresto, invitando l’interlocutore a riorganizzarsi con persone giuste.

Inoltre, nei primi giorni di ottobre del 2006 risultavano captati alcuni dialoghi che avevano visto quali interlocutori lo I., il R. e A.L., dai quali era emerso che il R. si era recato in (OMISSIS), ed esattamente a (OMISSIS), dove aveva preso in consegna da A.L. degli stupefacenti che poi aveva trasportato il giorno dopo col treno fino a (OMISSIS), dove lo stesso R. veniva stato tratto in arresto, perchè trovato in possesso di grammi 187 di hashish e grammi 6,3 di marijuana. Dalle intercettazioni risultava che, all’incontro con il R., A. L. chiamava il figlio G., chiedendogli di portargli "la borsa". 2. Avverso la suddetta sentenza, Z.D., L. e Z.G. propongono, con separati atti, ricorso per cassazione.

G. e A.L. deducono, con identiche censure:

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), in relazione agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen., perchè il giudice di appello ha ravvisato, riproducendo pedissequamente le argomentazioni del giudice di primo grado, la giurisdizione (OMISSIS) in ordine al reato associativo. Tale affermazione – ad avviso dei ricorrenti – risulterebbe smentita dalle emergenze processuali, atteso che il presunto sodalizio associativo risulterebbe situato in territorio (OMISSIS), come tra l’altro ritenuto dai giudici in sede cautelare.

Si denuncia inoltre che, anche a voler ravvisare la giurisdizione del giudice (OMISSIS), la competenza territoriale doveva essere attribuita al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del P.M. che per primo ha provveduto ad iscrivere la notizia di reato.

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), in relazione agli artt. 267 e 727 cod. proc. pen., per aver ritenuto utilizzabili sia le intercettazioni telefoniche eseguite su decreto della Procura di Livorno, senza una specifica motivazione sulle ragioni del ricorso ad impianti esterni per le operazioni captative, sia quelle eseguite su utenze mobili (OMISSIS) o comunque internazionali, senza aver esperito la necessaria rogatoria internazionale.

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione. Secondo i ricorrenti, la sentenza avrebbe eluso l’obbligo di motivare, in quanto priva dei passaggi e delle argomentazioni indispensabili al fine di rendere comprensibile l’intero iter logico, sia sotto l’aspetto minimo, sia in ordine alle specifiche argomentazioni avanzate dalla difesa, nell’atto di gravame, limitandosi a riprodurre la decisione del primo giudice, aggiungendo la propria adesione in termini apodittici.

Quanto al reato associativo di cui al capo A), si denunciano in particolare le lacune motivazionali in ordine alla configurabilità del reato, posto che, dalla lettura degli atti, non emergerebbero elementi sufficienti per individuare gli elementi costitutivi della fattispecie. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte avrebbe operato un’evidente forzatura delle emergenze processuali per costruire un’associazione sulla base di semplici congetture. Quanto alla compagine associativa, evidenziano che nessuno dei soggetti indicati nel capo di imputazione può definirsi associato. Nè lo Z. – interessato solo da qualche telefonata con A.L. -, nè i cittadini (OMISSIS), neppure attinti da gravi indizi sul loro inserimento nella presunta associazione, e neppure i ricorrenti.

A.L., definito immotivatamente quale "acquirente stabile dell’associazione" "protagonista assoluto della compagine associativa…", dagli atti risulterebbe soltanto aver cercato un contatto con soggetti (OMISSIS) per far fronte a transitorie difficoltà economiche, senza portare a termine alcuna operazione e, comunque, la sola condizione di stabile acquirente non poteva essere di per sè sufficiente a configurare una partecipazione associativa.

Quanto a A.G. si evidenzia che costui si sarebbe limitato ad aiutare il padre in un unico episodio, in momento in cui la sua famiglia si trovava in difficoltà, sconoscendo l’esistenza di un traffico illecito di stupefacenti. Lo stesso episodio dell’agosto 2006 addebitato a A.G., dal quale la sentenza impugnata avrebbe desunto apoditticamente l’appartenenza di costui all’associazione (si legge nella sentenza che, su richiesta del padre, avrebbe consegnato al R. "..la borsa contenente la droga…"), sarebbe frutto di travisamento dei fatti, posto che non vi sarebbe agli atti alcuna prova da cui desumere che la borsa contenesse droga e meno che mai che A.G. ne fosse a conoscenza.

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, evidenziandosi l’insussistenza del reato di importazione di cui al capo B), punibile solo in presenza della effettiva introduzione nel nostro paese della sostanza stupefacente, mentre nel caso di specie la sostanza non avrebbe mai superato la barriera doganale, perchè intercettata prima che il gommone utilizzato per il trasporto entrasse nelle acque territoriali (OMISSIS).

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla eccessiva e spropositata quantificazione della pena e alla mancata concessione dei benefici di legge.

Per A.L. si denuncia inoltre:

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i restanti reati a lui ascritti. Quanto al reato associativo sub F), assorbito nel capo A) di imputazione, il ricorrente denuncia che anche in tal caso la sentenza avrebbe operato una illegittima forzatura dei dati processuali per individuare il presunto sodalizio criminale di cui farebbe parte anche A. L.. Si evidenzia a tal fine che la sentenza impugnata non sarebbe riuscita ad individuare il nucleo della presunta associazione.

Nessuno degli imputati può essere invero considerato un associato:

non possono ritenersi tali nè I.A. nè R.A., poichè non sono mai stati colpiti da provvedimenti custodiali, a dimostrazione della debolezza probatoria degli elementi raccolti a loro carico, e non risultano avere avuto comunque alcun collegamento con i soggetti (OMISSIS) indicati nel capo di imputazione. Quanto al capo E), si denuncia inoltre che mancherebbe la prova che il R. sia il soggetto incaricato di trasportare sostanza stupefacente da (OMISSIS), non avendo alcuna valenza dimostrativa la mera circostanza che questi sia stato trovato in possesso di appena 187 grammi di hashish e 6,3 grammi di marijuana alla stazione di (OMISSIS).

Le intercettazioni che hanno interessato A.L., R. A. e I.A. si presterebbero inoltre ad interpretazioni varie, non necessariamente riconducibili ad un’attività illecita, poichè A.L., come documentato in atti, svolgeva all’epoca diverse attività di commercio, avendo pertanto, contatti con moltissime persone sia in (OMISSIS) che all’estero.

Per Z.D. si denuncia:

– la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge. La Corte di merito avrebbe tratto la prova in ordine al delitto associativo da mere valutazioni congetturali e apodittiche. Allo Z. invero viene immotivatamente attribuito il "ruolo stabile di corriere", mentre dagli atti risulterebbe il coinvolgimento di costui in un unico episodio criminoso, al più idoneo a configurare il mero concorso ex art. 110 cod. pen. nel trasporto dello stupefacente, mentre privi di base dimostrativa risulterebbero tutti gli argomenti utilizzati per fondare la penale responsabilità del predetto al reato associativo. Il ricorrente illustra inoltre le ragioni per le quali dall’unico episodio di trasporto non poteva essere tratta alcuna prova di partecipazione al reato associativo: la mancanza di tracce di pregressi rapporti di trasporto a favore degli associati; la non immediata disponibilità ad accettare l’impegno del trasporto; la discussione sul prezzo – oltretutto misero rispetto alla presunta importanza del carico.
Motivi della decisione

1. I ricorsi di A.L. e A.G. sono da ritenersi inammissibili, perchè fondati su censure in parte palesemente infondate e in parte non proponibili in sede di legittimità. Deve essere invece accolto il ricorso di Z. D. per le ragioni di seguito esposte.

2. Esaminati preliminarmente i motivi comuni a A.G. e L., deve ritenersi manifestamente infondata la doglianza riguardante l’eccezione di difetto di giurisdizione (OMISSIS), anche in relazione al dedotto vizio di motivazione.

Deve rilevarsi che la denunciata pedissequa ripetizione delle argomentazioni esposte in prime cure per respingere la suddetta censura non risulta sufficientemente apprezzabile in questa sede, posto che nel provvedimento impugnato si fa riferimento, nel decidere tale questione, alle ordinanze emesse dal primo giudice all’udienza dell’11 aprile 2008, non allegate all’odierno ricorso.

Dal testo del provvedimento impugnato non si evince in ogni caso la violazione dei consolidati parametri indicati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di motivazione per relationem, posto che i giudici di appello hanno affrontato specificatamente le suddette eccezioni procedurali, offrendo dimostrazione di aver preso cognizione delle argomentazioni esposte in prime cure per ritenerne l’infondatezza e di averle meditate e ritenute coerenti con la sua decisione. Invero, la Corte di appello ha esposto che le sue considerazioni coincidevano con quelle del giudice di primo grado e che le riportava per condividerne il contenuto.

Venendo al merito della questione, la censura è palesemente infondata, in quanto essenzialmente basata su una rivalutazione delle prove e, quindi, su una revisione della decisione di merito che, se sorretta da una motivazione adeguata e priva di vizi logici, esula dalle funzioni proprie del giudice di legittimità. A tal fine, appare del tutto ininfluente la circostanza che, in sede cautelare, si sia pervenuti ad una diversa ricostruzione fattuale circa il locus commissi delicti, stante l’autonomia della valutazione operata da giudice del merito, che si è consapevolmente discostato dalle motivazioni del giudice della cautela.

I giudici di secondo grado hanno affermato che le investigazioni compiute avevano acclarato che le condotte principali nelle quali si estrinsecava il reato associativo, ossia il finanziamento dei traffici, l’organizzazione dei trasporti dello stupefacente e la commercializzazione dello stesso, avevano avuto svolgimento in (OMISSIS). In particolare, il gruppo criminoso aveva base operativa in (OMISSIS), comune della provincia di (OMISSIS), dove erano residenti i soggetti imputati e dove avvenivano, ad opera di A.L., i contatti con i fornitori e con i futuri subacquirenti, nonchè l’organizzazione dei trasporti della droga, che prevedeva il trasporto via mare degli stupefacenti dall'(OMISSIS) fino alle coste (OMISSIS), dove venivano prelevati e trasportati nella zona di (OMISSIS), luogo dal quale erano smistati per la commercializzazione in zona o fuori dal territorio regionale.

Sulla base della ricostruzione fattuale operata in sede di merito, con motivazione ampiamente argomentata e priva di intrinseche incongruenze o contraddittorietà, deve ritenersi corretta la conclusione cui è pervenuta la Corte di appello in ordine alla sussistenza della giurisdizione (OMISSIS). Va qui ribadito il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui per determinare la sussistenza della giurisdizione (OMISSIS) occorre verificare in quale luogo si è realizzata l’operatività della struttura associativa, potendosi attribuire importanza anche al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso quando essi stessi rivelino, per il loro numero e consistenza, il luogo di operatività predetto (tra le tante, Sez. 2, n. 993 del 25/02/1999 dep. 07/04/1999, Cohan, Rv. 212974).

Inammissibili sono le connesse censure relative alla dedotta incompetenza territoriale. L’eccezione di incompetenza territoriale non è infatti più proponibile, anche se in precedenza proposta e decisa in senso negativo, una volta che sia stato chiesto ed ammesso il giudizio abbreviato (tra le tante, Sez. 1, n. 10399 del 13/01/2010, dep. 16/03/2010, Amendola, Rv. 246352).

3. Quanto all’eccezione di inutilizzabilità dei risultati intercettativi, ex art. 271 cod. proc. pen. (motivatamente esclusa dal giudice di appello), per violazione del disposto dell’art. 268 c.p.p., comma 3, in ordine alla disposta utilizzazione, nelle operazioni di intercettazione, di impianti diversi da quelli in dotazione alla Procura della Repubblica di Livorno, va ribadito il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui, qualora venga eccepita in sede di legittimità l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, siccome asseritamente eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dall’art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3, (art. 271 c.p.p., comma 1), è onere della parte ricorrente indicare specificamente l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato e curare che tale atto sia comunque effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, magari provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione, risultando, in difetto, il motivo inammissibile per genericità, non essendo consentito alla Suprema Corte di individuare l’atto affetto dal vizio denunciato (tra le tante, Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, dep. 03/10/2008, Rizzo, Rv. 241300). Nella specie non sono stati indicati nè prodotti dai ricorrenti i decreti che sarebbero affetti dal vizio dedotto.

Conseguentemente le doglianze sono da ritenersi inammissibili perchè generiche.

4. Devono essere rigettate per genericità anche le censure concernenti l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche eseguite su utenze mobili (OMISSIS) o comunque internazionali, senza aver esperito la necessaria rogatoria internazionale. In tal caso, i motivi di ricorso riproducono pedissequamente le doglianze già esposte coi motivi d’appello e puntualmente esaminate e disattese dalla corte di merito, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso.

Val la pena comunque di osservare che correttamente la Corte di merito ha ritenuto non necessaria nel caso in esame la rogatoria internazionale, in quanto per le comunicazioni in partenza da utenze nazionali verso utenze estere tutta l’attività intercettativa è stata compiuta interamente in territorio (OMISSIS), mentre nel caso di conversazioni in partenza dall’estero verso l'(OMISSIS), si era proceduto con il sistema del cd. instradamento che convoglia le chiamate in partenza dall’estero in un "nodo" telefonico posto in territorio (OMISSIS), con il che le telefonate estere vengono canalizzate e registrate in (OMISSIS) (tra le tante, Sez. 4, n. 13206 del 28/02/2008, dep. 28/03/2008, Volante, Rv. 239288).

5. Del tutto priva di pregio è la censura contenuta nei ricorsi di G. e A.L. nella quale si esclude la configurabilità del reato di importazione di cui al capo B), perchè la sostanza stupefacente sarebbe stata intercettata dalla Guardia di Finanza prima del superamento della barriera doganale e comunque fuori dalle acque territoriali. La Corte di appello ha affermato al riguardo che, dal verbale redatto dagli operanti, risultava che il fermo del gommone con a bordo lo stupefacente era avvenuto a sole 1,3 miglia al largo di (OMISSIS), quindi in acque territoriali.

Inammissibili in questa sede appaiono le deduzioni volte a rivalutare gli elementi di fatto acquisiti con il suddetto verbale, posto che era onere dei ricorrenti indicare e rappresentare adeguatamente gli atti del procedimento dai quali trarre la prova del travisamento.

6. Passando all’esame del primo e quarto motivo dei ricorsi di G. e A.L., con la quale si denunzia la mancanza di una valida struttura motivazionale che supporti la decisione di secondo grado, deve osservarsi che, per quanto appaia criticabile la tecnica espositiva utilizzata dal giudice di appello, che ha fatto precedere alla parte propriamente motiva la riproduzione integrale della sentenza di primo grado (da pag. 1 a pag. 77), che a sua volta riproduce la richiesta di misura cautelare del P.M. (da pag. 11 a pag. 48), i giudici di appello hanno dato contezza del percorso argomentativo seguito nel pervenire alle rese statuizioni, dimostrando di condividere le ragioni esposte dal primo giudice.

A fronte dell’apparato argomentativo esplicitato, i motivi di impugnazione avanzati in questa sede dai ricorrenti appaiono inammissibili.

Le doglianze di A.G. sono in gran parte del tutto generiche, in quanto – oltre a confondere in più passaggi la posizione del ricorrente con quella del padre L. (si chiede invero a pag. 31 l’assoluzione di A.L., dopo aver contestato la sua qualificazione di stabile acquirente) – si risolvono nella pedissequa reiterazione delle censure già dedotte in appello e al quale la Corte di merito ha fornito risposta.

Per la restante parte, i motivi di A.G. e quelli di A.L. prospettano una inammissibile diversa ricostruzione dei fatti loro ascritti ed un diverso apprezzamento degli elementi di giudizio. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha infatti un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice del merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, giacchè esula dai poteri della Corte medesima quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Nè è consentito alla Corte di Cassazione, attraverso il richiamo agli "atti del processo" (confondendo, come nella specie, il peculiare vizio di "travisamento della prova" con quello inammissibile di "travisamento del fatto", cfr. sul punto, Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, dep. 23/10/2007, Casavola, Rv. 238215), di procedere ad una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito.

In altri termini il controllo di questa Corte è diretto semplicemente ad accertare che, alla base della pronuncia impugnata, esista una concreta valutazione delle risultanze e che la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da errori logico – giuridici; restano invece escluse da tale sindacato le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza dei fatti, la valutazione comparativa della loro rilevanza, la scelta di quelli determinanti.

Nel caso in esame la sentenza impugnata, con adeguata motivazione priva di vizi logici, ha esaminato le doglianze contenute nell’atto di appello di L. e A.G., incentrate sulla configurabilità del reato associativo, per carenza di una struttura organizzata permanente e stabile.

Va qui ribadito che, ai fini della sua configurabilità dell’associazione di cui all’art. 74 T,U. stup., è essenziale la dimostrazione dell’esistenza di un accordo illecito permanente teso alla realizzazione di un numero indeterminato di reati (che costituisce l’essenza della fattispecie associativa e l’elemento distintivo di questa rispetto al concorso di persone nel reato), mentre l’elemento dell’organizzazione assume un rilievo secondario, nel senso che la sua sussistenza è richiesta nella misura in cui serva per dimostrare che l’accordo è stato seriamente contratto.

Ciò significa, sotto il profilo ontologico, che è sufficiente anche un’organizzazione minima perchè il reato si perfezioni e che, sotto il profilo probatorio, la ricerca dei tratti organizzativi è essenzialmente diretta a provare, attraverso tale dato sintomatico, l’esistenza dell’accordo indeterminato a commettere più delitti che di per sè concreta il reato associativo (Sez. 4, n. 22824 del 21/04/2006, dep. 03/07/2006, Qosel, Rv. 234576).

Proprio perchè manca di norma un atto costitutivo, l’esistenza dell’associazione, può essere desunta, in via indiretta, da facta concludentia, nei quali assumono certamente particolare valenza i delitti programmati ed effettivamente realizzati, specie se il contesto in cui questi sono maturati e le loro modalità di esecuzione conclamino l’esistenza di un vincolo associativo, quale entità del tutto indipendente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti-scopo (da ultimo, Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, dep. 19/10/2009, Il Grande, Rv. 245282).

Quanto alla compagine associativa, va precisato altresì che, una volta accertata la sussistenza dell’associazione criminale, non necessariamente devono essere individuati nominativamente gli associati, che possono rimanere ignoti o essere giudicati a parte, se è possibile dedurre l’esistenza della realtà associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due persone (tra le tante, Sez. 5, n. 39223 del 23/09/2010, dep. 05/11/2010, Mastrangeli, Rv. 248882).

Ciò permesso, la Corte territoriale, nell’analisi del reato in questione, e dell’addebitabilità dello stesso ai singoli soggetti, ha seguito una corretta metodologia nella valutazione della prova.

La Corte calabrese che invero ha ritenuto che i due episodi di importazione di stupefacenti accertati nell’agosto del 2006 e nel novembre del 2006 fossero "sintomatici" di un modus operandi sperimentato e risalente nel tempo, non già riferibili ad occasionali accordi tra più soggetti, bensì ad una preventiva e generica programmazione criminosa, riconducibile ad una struttura organizzata, dotata di uomini, con ruoli determinati, e mezzi, in gradi di assicurare nel tempo reiterate condotte nel campo del narcotraffico, allo scopo di perseguirne i relativi profitti illeciti. Ha considerato inoltre che lo stesso tenore e contenuto delle conversazioni, se non lasciava dubbi sul fatto che l’oggetto dei dialoghi fosse costituito da sostanza stupefacenti (e non da giubbotti con marchi contraffatti, come sostenuto da A. L.), comprovava anche, per il linguaggio criptico e allusivo utilizzato, una abitualità di contatti fra i soggetti interessati e una stabilità di rapporti tra gli stessi tale da dedurne necessariamente la comune appartenenza degli stessi ad un contesto associativo comune. Ulteriore dato significativo dell’esistenza di una stabile organizzazione dedita al narcotraffico è tratto dai giudici di merito dalla circostanza che, non appena fallivano le operazioni che avevano portato al sequestro dello stupefacente, il gruppo, a dimostrazione della sua vitalità ed esistenza autonoma dai singoli reati-fine, ricominciava ad attivarsi per procedere a nuove operazioni di importazioni, senza che l’insuccesso delle precedenti scalfisse in alcun modo la sua attività.

Quanto alla contraddittorietà della sentenza, nell’aver ritenuto compatibile l’associazione di cui al capo F) con quella di cui al capo A) della rubrica, nonostante la diversa compagine associativa, va osservato che il giudice in prime cure aveva ritenuto assorbite le due fattispecie associative, trattandosi dello stesso fatto, ancorchè contestato a soggetti diversi. Secondo il giudice, le condotte ed i fatti descritti nel capo F) della rubrica a dimostrazione delle finalità e dell’operatività dell’associazione contestata erano le stesse condotte e gli stessi fatti esaminati e valutati come dimostrativi della partecipazione di A.L. e di altri soggetti all’associazione di cui al capo A) della rubrica e della realizzazione del programma criminoso di detta associazione.

Tale valutazione non appare ictu oculi viziata da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute, posto che la valutazione complessiva degli elementi probatori aveva rivelato l’esistenza di un’unica struttura associativa, nella quale far convergere anche il sotto-gruppo criminale di cui capo F) della rubrica.

7. Circa il ritenuto inserimento dei singoli imputati nel sodalizio criminoso, le censure di L. e A.G. si risolvono, per lo più, in censure in fatto all’apparato argomentativo del Giudice a quo e non evidenziano, comunque, errori di diritto o manifeste carenze motivazionali della sentenza, che ben resiste, nella parte specifica, al vaglio di legittimità.

Quanto a A.G., deve premettersi che le uniche censure "specifiche" avanzate su tale punto al provvedimento impugnato riguardano il "travisamento dei fatti" riportati a pagg. 83-84, Si sostiene in primis che la Corte d’appello avrebbe desunto l’appartenenza all’associazione del ricorrente da un unico episodio delittuoso. Si denuncia inoltre il travisamento della circostanza riportata dalla sentenza impugnata, circa la consegna al R. della "la borsa contenente la droga…", perchè mancherebbe la prova che la borsa contenesse droga e meno che mai che A.G. ne fosse a conoscenza.

Premesso che sono inammissibili in questa sede le censure, che, come si è detto poc’anzi, hanno soltanto la finalità di sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, è sufficiente rilevare che, in materia di partecipazione ad una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, questa Corte ha costantemente affermato che la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso può essere desunta anche dalla commissione di singoli episodi criminosi, purchè siffatte condotte, per le loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale, e le stesse siano espressione non occasionale della adesione al sodalizio criminoso e alle sue sorti, con l’immanente coscienza e volontà dell’autore di farne parte e di contribuire al suo illecito sviluppo (da ultimo, ex plurimis, Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, dep. 26/11/2008, Cannizzo, Rv. 242397).

La sentenza impugnata si è attenuta ai principi ora riportati, collocando nella compagine associativa anche A.G., in considerazione dell’importante ruolo, non occasionale, di ausilio fornito al padre nei traffici illeciti, desunto dall’episodio contestato nel capo B), nel quale aveva il compito di gestire autonomamente l’organizzazione del trasporto degli stupefacenti dalla (OMISSIS), mantenendo i contatti con il corriere. Questa vicenda dimostrerebbe, per la corte di merito, "una sua reiterazione in tale ruolo che, per la sua delicatezza, non poteva essere svolto in via estemporanea da chiunque, e, conseguentemente, la sua appartenenza consapevole all’attività del padre, la cui natura, dal tenore dei dialoghi, non poteva certo essere dal giovane male interpretata". Inoltre, la Corte ha evidenziato che il predetto risultava aver avuto anche un ruolo nell’episodio riguardante la cessione di stupefacenti al R., atteso che, sempre dai dialoghi intercettati, sarebbe emerso che sia stato il giovane a portare, su richiesta del padre, la borsa contenente la droga da consegnare al R., disvelando ancora una volta un preciso e rilevante ruolo all’interno del sodalizio.

Quanto all’analogo vizio censurato da A.L., la Corte territoriale, facendo leva anche su elementi di prova diretta, quali il contenuto di numerose intercettazioni telefoniche tra persone coinvolte nella presente vicenda, ha affermato che costui doveva ritenersi l’assoluto protagonista del sodalizio criminoso, il personaggio preminente che curava ogni aspetto della fase dell’importazione, talvolta anche recandosi in (OMISSIS), incontrando in (OMISSIS) emissari di quel paese, trattando direttamente con i fornitori esteri e curando il finanziamento degli approvvigionamenti e il trasporto degli stessi, preoccupandosi anche di contattare i destinatari dello stupefacente per il relativo smistamento.

A fronte di questi argomenti, il ricorrente si è limitato a formulare censure in fatto o comunque finalizzate ad accreditare un’interpretazione alternativa del materiale probatorio, tutte comunque inidonee a scalfire la forza persuasiva dell’iter logico- giuridico su cui riposa la sentenza impugnata.

7. Del tutto infondata è anche la censura avanzata da A. L. in ordine al capo E) della rubrica, con cui lamenta la carenza di motivazione, posto che la Corte territoriale ha adeguatamente motivato la ritenuta responsabilità del ricorrente. In particolare, la Corte ha ritenuto provata la corresponsabilità dell’ A. in ordine al trasporto degli stupefacenti ed all’organizzazione di detto trasporto, finalizzato alla commercializzazione nel mercato livornese degli stupefacenti ad opera del R., sulla base dei dialoghi intercettati, intervenuti tra A.L. e R.A., dell’arresto dello stesso R. ed del sequestro degli stupefacenti da lui trasportati, consegnatigli da A.L. in (OMISSIS).

Invero, dai dialoghi captati nei primi giorni di ottobre del 2006 era emerso che il R. si era recato in (OMISSIS), ed esattamente a (OMISSIS), dove aveva preso in consegna da A.L. degli stupefacenti che poi aveva trasportato con il treno fino a (OMISSIS), dove, a seguito del servizio di appostamento mirato eseguito dalla P.G. in conseguenza degli esiti delle intercettazioni, lo stesso R. era stato tratto in arresto, perchè trovato in possesso di stupefacente.

Quanto alla portata dimostrativa dei dialoghi captati, trattandosi di valutazione di merito, non è prospettabile in sede di legittimità una diversa lettura da quella accolta dal giudice di merito, salvo – ma non è il nostro caso – che si denunci il vizio del travisamento della prova (che si verifica solo quando il giudice di merito abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile).

8. Le censure di L. e A.G., relative al trattamento sanzionatorio, devono ritenersi manifestamente infondate, oltre che generiche, non contenendo, per alcuni versi, neppure critiche specifiche al provvedimento impugnato (per A. G. si censura addirittura il diniego delle generiche, già concesse invece sin dal primo grado). La motivazione della sentenza di merito appare invero esaustiva ed immune da vizi logici, essendosi tenuto conto della vicenda criminosa e del ruolo ricoperto nella stessa dai predetti.

Quanto al diniego delle generiche a A.L., che la Corte di appello ha motivato con la posizione di assoluta preminenza dell’imputato all’interno del gruppo criminoso in esame, va ribadito il principio che il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato dal giudice implica il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati (cfr. Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, dep. 23/02/2004, Anaclerio, Rv.

229768).

9. A diverse conclusioni deve pervenirsi per il ricorso di Z. D., quanto alla sua partecipazione all’associazione criminale in esame.

La Corte di merito ha ritenuto che costui avesse assunto, all’interno del sodalizio criminoso, il "ruolo stabile" di corriere degli stupefacenti (in ciò agevolato dalla sua attività di autotrasportatore), poichè dalle conversazioni intercettate era emersa la sua pronta disponibilità offerta a A.M. al trasporto in (OMISSIS), dimostrativa di pregressi rapporti finalizzati ai trasporti degli stupefacenti. La stessa Corte ha poi valutato ininfluenti sia le sue remore iniziali ad accettare il trasporto, in quanto legate solamente a problemi organizzativi per conciliare il suo lavoro "ufficiale", sia la circostanza che si discutesse del prezzo del trasporto, posto che le condizioni economiche dell’accordo potevano variare "in corsa", senza che ciò costituisse mutamento dell’originario programma criminoso, anche nella sua composizione soggettiva.

Orbene, posto che, come già detto in precedenza, l’adesione al sodalizio criminoso può essere desunta, alle condizioni sopra indicate, anche dalla commissione di singoli episodi criminosi, deve ritenersi che la sentenza impugnata non abbia fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte.

La Corte di merito non ha considerato preliminarmente che, nel caso in esame, l’unico episodio dimostrativo della appartenenza all’associazione non aveva neppure assunto rilevanza penale, circostanza questa che attribuiva al fatto stesso un minimo valore indiziante ai fini del riconoscimento di responsabilità (Sez. 6, n. 11446 del 10/05/1994, dep. 17/11/1994, Nannerini, Rv. 200938).

Inoltre, non ha spiegato perchè il ruolo di trasportatore assunto dall’imputato, che ben avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei all’organizzazione, occasionalmente a disposizione per singoli trasporti (cfr. Sez. 5, n. 2838 del 09/12/2002, dep. 21/01/2003, Platania, Rv. 224916) fosse dimostrativo dell’affectio societatis dell’agente e pertanto di un suo stabile inserimento nel sodalizio criminale.

Come ha più volte affermato questa Corte, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di "stabile e organica compenetrazione" con il tessuto organizzativo del sodalizio, mentre va qualificata come concorso "esterno" la condotta del soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e privo dell’affectio societatis (che quindi non ne "fa parte"), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, sempre che questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.

Ciò premesso, la pronuncia impugnata va, dunque, annullata con rinvio nei confronti dell’imputato Z..

9. Conclusivamente, devono dichiararsi inammissibili i ricorsi di A.L. e di A.G., con la loro condanna al pagamento delle spese processuali e della somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000 ciascuno.

La sentenza impugnata deve invece essere annullata nei confronti di Z.D. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria.
P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi di A.L. e di A. G., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Annulla nei confronti di Z.D. la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *