Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-05-2011, n. 10923 divisione

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Svolgimento del processo

F.G. con atto di citazione notificato il 7/9-9-1998 conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo i fratelli F.S. F.B. ed F.A.D. assumendo che il 23-10-1995 le parti avevano sottoscritto una scrittura privata con la quale, con riferimento alla comunione ereditaria tra di esse sussistente a seguito della morte della comune genitrice Z.M.R., costituita da alcuni immobili siti nel Comune di (OMISSIS), la proprietà piena della casa di via (OMISSIS) era stata assegnata all’esponente, mentre i residui beni erano stati assegnati in proprietà indivisa agli altri fratelli.

L’attore, rilevato che F.S.B. si era rifiutato di recarsi dal notaio per formalizzare quanto stabilito nella suddetta scrittura, chiedeva accertarsi l’intervenuta divisione del predetto compendio immobiliare a seguito della sottoscrizione della scrittura privata del 23-10-1995, e disporsi il trasferimento in suo favore dei beni ivi indicati.

Nel corso del giudizio, dopo la costituzione dei convenuti, a seguito del decesso dell’attore si costituivano volontariamente in giudizio i suoi eredi.

Con sentenza del 10-1-2003 il Tribunale adito dichiarava l’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce alfa scrittura privata, disponeva l’assegnazione in proprietà esclusiva "pro indiviso" secondo le rispettive quote ereditarie a O.P., + ALTRI OMESSI del fabbricato sito in via (OMISSIS), e disponeva l’assegnazione in proprietà indivisa agli altri fratelli dei restanti beni.

Proposta impugnazione da parte di F.S.B. cui resistevano gli eredi sia di F.G. che di F.A. D. (nel frattempo deceduto), questi ultimi proponendo altresì appello incidentale, la Corte di Appello di Brescia con sentenza del 26-5-2005 ha riformulato il dispositivo della decisione di primo grado dichiarando l’autenticità delle sottoscrizioni apposte all’accordo divisionale del 23-10-1995 con la precisazione che i dati identificativi degli immobili erano quelli risultanti dalla espletata CTU depositata il 1-2-2001, ha accolto l’appello incidentale e per l’effetto ha condannato l’appellante principale al pagamento delle spese processuali sostenute da F.A.D. nel giudizio di primo grado nonchè al pagamento delle spese di lite del secondo grado di giudizio in favore sia degli eredi di F.G. che degli eredi di F.A.D..

Per la cassazione di tale sentenza F.S.B. ha proposto un ricorso basato su tre motivi cui F.P. e F.M.R. quali eredi di F.A.D. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112-164 c.p.c. e dell’art. 1362 c.c. nonchè illogica ed erronea motivazione, rileva che gli eredi di F. G. avevano chiesto sia l’effetto dichiarativo dell’accertamento della non contestata autenticità della scrittura divisionale con effetti reali immediatamente traslativi sia l’effetto costitutivo proprio della pronuncia di assegnazione dei vari lotti;

F.S.B., premesso che la sentenza di primo grado aveva accolto entrambe le suddette domande, fatte proprie in appello dagli eredi di F.A.D., assume che la Corte territoriale ha ritenuto di poter semplicemente riformulare il dispositivo, sostenendo al riguardo che l’azione proposta, correttamente interpretata alla luce della narrativa dell’atto introduttivo, doveva essere qualificata come diretta ad ottenere l’accertamento giudiziale della sottoscrizione della scrittura privata al fine di ottenere la possibilità di trascriverla; il ricorrente rileva che in tal modo il giudice di appello ha operato arbitrariamente una scelta tra due domande espresse in termini inequivocabili e tra loro incompatibili, ritenendo erroneamente che la sola domanda proposta fosse quella di accertamento della autenticità della scrittura privata nonostante che gli appellati non avessero proposto sul punto appello incidentale, violando così il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.

La Corte territoriale ha affermato che la domanda proposta da F. G. doveva essere interpretata come diretta ad ottenere l’accertamento giudiziale della sottoscrizione della scrittura privata del 23-10-1995 al fine di ottenere la possibilità di trascriverla, a che a questa interpretazione era pervenuto anche il giudice di primo grado; ha peraltro ritenuto opportuno – potendo il dispositivo della sentenza del Tribunale di Bergamo dare adito a qualche perplessità nella parte in cui disponeva l’assegnazione dei vari beni (statuizione quest’ultima che era stata dettata dall’intento di meglio individuare i beni e permettere la trascrizione della scrittura privata menzionata) – emendare il dispositivo stesso nei termini sopra enunciati.

Orbene sulla base di tali premesse è agevole rilevare che il giudice di primo grado si è limitato semplicemente ad una interpretazione della sentenza di primo grado, e che la conferma quindi della statuizione relativa all’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce all’accordo divisionale del 23-10-1995 (con la precisazione che i dati identificativi degli immobili oggetto di divisione erano quelli risultanti dalla espletata CTU), non configura assolutamente una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Pertanto, considerato che l’interesse ad impugnare deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, deve essere dichiarato inammissibile il motivo in esame in quanto non consente di identificare l’interesse della parte ricorrente alla cassazione della decisione impugnata; tali conclusioni riguardano altresì il denunciato vizio di motivazione, posto che il principio fondamentale dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. impedisce di domandare la cassazione di una sentenza per il solo fatto che presenti una motivazione carente, essendo onere del ricorrente specificare quali indagini, se correttamente eseguite, avrebbero potuto portare ad un risultato utile.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. e motivazione illogica e contraddittoria, censura la sentenza impugnata per aver condannato l’esponente al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio nonostante che in quella sede non vi fosse stata alcuna soccombenza da parte dell’istante, essendo stata la sentenza del Tribunale emessa nell’interesse di tutte le parti ed anzi in difformità delle stesse domande degli appellati, che ne avevano chiesto la conferma; inoltre erroneamente F.S. era stato ritenuto soccombente in primo grado nei confronti di A. F. (in realtà soccombente in ordine alla domanda tendente ad ottenere una inammissibile pronuncia costitutiva); infatti quest’ultimo era stato ritenuto vittorioso non perchè fosse stata accolta la sua domanda, ma in ragione delle eccezioni sollevate dall’attuale ricorrente e della necessità di doversene difendere malgrado tuttavia esse non fossero state formulate nei suoi confronti; inoltre nel condannare l’esponente al rimborso delle spese del giudizio di primo grado non è stato considerato che tutte le altre parti avevano beneficiato del risparmio delle spese dell’atto pubblico che sarebbero state in ogni caso necessarie.

La censura è infondata.

Anzitutto si osserva che la Corte territoriale ha rilevato che correttamente il giudice di primo grado aveva posto a carico di F.S. le spese del giudizio di primo grado, atteso che la domanda ivi introdotta da F.G. si era resa necessaria a seguito del rifiuto dell’appellante di recarsi presso un notaio per la declaratoria di autenticità delle sottoscrizioni in calce alla scrittura privata del 23-10-1995 onde poterla trascrivere; ha poi aggiunto che la successiva costituzione nel giudizio di primo grado da parte di F.A. era stata determinata dal fatto che F.S., costituendosi in giudizio con il patrocinio di un nuovo difensore, aveva chiesto l’annullamento della predetta scrittura per vizio del consenso ex artt. 1427-1428 e 1429 c.c., e quindi dalla esigenza di contraddire in ordine a tale nuova eccezione; pertanto la statuizione in ordine alle spese del giudizio di primo grado è conforme al criterio della soccombenza.

Analogamente tale criterio è stato applicato circa il regolamento delle spese del secondo grado di giudizio, all’esito del quale l’attuale ricorrente è rimasto infatti soccombente.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 61 c.p.c. e segg. e difetto di motivazione anche in relazione all’art. 2643 c.c., censura la sentenza impugnata per aver condannato l’esponente al pagamento di metà delle spese occorse per la CTU senza alcun onere a carico di F.A.D.; in proposito assume che la consulenza non avrebbe dovuto essere disposta in quanto inutile, dovendo il giudice limitarsi esclusivamente alla pronuncia di accertamento dell’autenticità della scrittura privata; inoltre erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto la CTU necessaria per la identificazione dei beni, dovendo essere trascritta la scrittura privata e non la sentenza; comunque, pur volendo ritenersi necessario il suddetto incombente, tale valutazione avrebbe dovuto riguardare anche l’interesse di F.A.D., che quindi avrebbe dovuto concorrere al conseguente onere.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha correttamente affermato che F.A. non aveva mai frapposto alcun ostacolo a recarsi dal notaio per ottenere la declaratoria di autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce alla scrittura privata citata, e che quindi anche le spese di CTU dovevano gravare sulla parte che le aveva provocate con il suo comportamento del tutto ingiustificato.

Premesso poi che nella specie vi era l’interesse delle parti a trascrivere la scrittura privata in questione ai sensi dell’art. 2657 c.c., si osserva che la Corte territoriale ha chiarito che la CTU si era resa necessaria ai fini della identificazione catastale dei beni oggetto di divisione (vedi nota a pag. 6 della sentenza impugnata).

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono fa soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3000,00 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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