T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 09-03-2011, n. 647

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente impugnava gli atti indicati in epigrafe in virtù dei quali era stato sospeso dal servizio all’esito della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei suoi confronti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Varese per corruzione e favoreggiamento della prostituzione in concorso.

L’esercizio dell’azione penale da parte della Procura della Repubblica era scaturito all’esito di un’indagine che aveva preso le mosse nel 2005 quando il ricorrente, insieme ad altri, era stato iscritto nel registro degli indagati in relazione a episodi di favoreggiamento della prostituzione di cittadine extracomunitarie avvenuti presso alcuni locali notturni da lui frequentati.

Secondo l’accusa l’A., pur essendosi reso conto della natura dell’attività che si svolgeva in detti locali, non solo non provvedeva a effettuare una comunicazione di notizia di reato in qualità di appartenente alla polizia giudiziaria, ma approfittava della sua posizione per avere rapporti sessuali con le straniere senza pagare la prestazione.

All’epoca dei fatti il ricorrente non era stato sospeso dal servizio, ma quindici giorni dopo la richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Varese gli veniva notificato a distanza di pochi minuti, prima l’avvio del procedimento per la sospensione precauzionale dall’impiego e poi il decreto di sospensione medesimo con concessione di un assegno alimentare di carattere fisso e continuativo.

Il ricorrente articola cinque motivi di ricorso.

Il primo lamenta la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento sia in relazione all’art. 7 L. 241\90 che all’art. 97 Cost. nonché la violazione del principio del giusto procedimento.

La comunicazione di cui all’art. 7 L. 241\90 ha lo scopo di garantire la partecipazione procedimentale affinché l’interessato possa rappresentare situazioni, fatti e produrre documenti utili perché l’amministrazione possa prendere le decisioni che le competono avendo un quadro il più possibile completo della situazione da valutare con conseguente emanazione di un provvedimento legittimo ed espressione del principio di buona amministrazione.

Una siffatta finalità non è possibile conseguirla laddove la comunicazione di avvio del procedimento venga comunicata praticamente senza soluzione di continuità rispetto al procedimento conclusivo.

Inoltre la comunicazione difetta di alcuni degli elementi previsti dall’art. 8 L. 241\90 quali l’indicazione del responsabile del procedimento, del termine entro cui il procedimento deve concludersi ed i rimedi esperibili in caso di sforamento del termine, l’ufficio presso cui consultare gli atti.

Non sussistevano peraltro ragioni di celerità del procedimento che imponevano una comunicazione così a ridosso dell’emanazione del provvedimento, né l’illegittimità in questione può ritenersi priva di conseguenze concrete ex art. 21 octies L. 241\90 poiché il provvedimento adottato ha natura discrezionale.

Il secondo motivo contesta l’eccesso di potere dei provvedimenti impugnati per manifesta illogicità ed irragionevolezza poiché in virtù della contestualità tra comunicazione di avvio e atto conclusivo, viene meno ogni utilità di rappresentare elementi all’amministrazione che ha già deciso il contenuto del provvedimento.

Il terzo motivo censura la violazione dell’art. 3 L. 241\90 e l’eccesso di potere per genericità di motivazione e difetto di istruttoria.

La norma che fonda il potere esercitato con il provvedimento di sospensione richiede che la natura del reato sia particolarmente grave e sul punto è necessario congruamente motivare non utilizzando clausole di stile che riproducano il contenuto della norma in modo tautologico.

La mancanza di approfondimento sugli elementi che sarebbero dovuti essere posti a base della motivazione denuncia altresì anche una carenza di istruttoria.

Il quarto motivo eccepisce l’eccesso di potere per errore sui presupposti poiché nella motivazione si dà per accertato quello che deve ancora essere provato in un regolare processo.

Il quinto motivo rileva la violazione dell’art. 7,comma 2, D.lgs. 449\92, l’incompetenza e la carenza di motivazione.

La competenza ad adottare un provvedimento come quello impugnato è attribuita dalla norma soprarichiamata al Ministro su proposta del Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria, mentre nel caso di specie l’atto è stato firmato dal Vice Capo Vicario dell’Amministrazione Penitenziaria.

La delegazione è ammessa solo in situazioni particolari ed in presenza di una norma che lo consenta che nel caso di specie non esiste o di cui comunque non si è dato conto.

Quanto al verbale di ritiro tessera di riconoscimento, placca di riconoscimento ed arma di ordinanza ritiene il ricorrente che esso sia affetto da invalidità derivata.

Il Ministero della Giustizia si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

Il ricorso è fondato.

Va affrontato innanzitutto il quinto motivo poiché solleva un problema di incompetenza che risulta preliminare dal momento che, laddove il vizio dovesse sussistere, non dovrebbe procedersi all’esame degli altri motivi di ricorso.

Il motivo non può essere accolto.

La previsione dell’art. 7,comma 2, D.lgs. 449\92 circa la competenza del Ministro a disporre la sospensione facoltativa dell’appartenente alla Polizia Penitenziaria nel caso di grave reato, deve oggi essere letta alla luce della distinzione, che ormai è principio generale nell’amministrazione statale, tra gli atti di gestione di competenza dei dirigenti e quelli di indirizzo politico che rimangono affidati al Ministro.

La norma di conseguenza deve essere letta come attribuente la competenza dell’atto al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Quanto alla circostanza che il provvedimento sia stato firmato materialmente dal Vice Capo Vicario, dal semplice esame materiale dell’atto è evidente che si tratta di delega di firma che diversamente dalla delegazione la quale concerne i poteri, non comporta spostamento di competenza: il delegato ha cioè solo il potere di sottoscrivere l’atto, che resta imputato al delegante, sul quale permangono le correlate responsabilità.

Sono, invece, fondati il primo ed il terzo motivo di ricorso che rendono superfluo l’esame del secondo e quarto motivo che possono ritenersi assorbiti.

Lo scopo della comunicazione al privato dell’avvio di un procedimento amministrativo ha la funzione di consentirgli di interloquire con l’amministrazione fornendo il suo apporto partecipativo.

Se ciò è valido in via generale, tanto più risulta pregnante in materia disciplinare, dove la partecipazione al procedimento è anche la modalità con cui esercitare il proprio diritto di difesa.

La pressoché contestuale notifica al ricorrente sia della comunicazione di avvio del procedimento volto a valutare la necessità della sospensione dal servizio, che del provvedimento con cui quest’ultima veniva disposto, è un’evidente violazione dei diritti di partecipazione al procedimento poiché rende impossibile qualsiasi utile partecipazione.

L’amministrazione non può ritenere di avere assolto al suo obbligo procedimentale semplicemente notificando una comunicazione che oltretutto per le sue carenze strutturali, pure evidenziate nel motivo di ricorso, appare un mero simulacro di avviso.

La comunicazione in questione per le ragioni spiegate in precedente non è una vuota formalità che l’amministrazione deve assolvere, come potrebbe ritenersi nei casi in cui il procedimento inizia per impulso di parte o quando deve sfociare in un atto i cui presupposti di fatto e di diritto sono interamente vincolati.

Si tratta nel caso di specie di un procedimento avviato d’ufficio che deve sfociare in un provvedimento discrezionale e per il quale non vi erano ragioni di urgenza che potevano giustificare l’adozione di un provvedimento privo di una vera comunicazione di avvio del procedimento.

I fatti che hanno determinato l’adozione del provvedimento sono accaduti oltre cinque anni fa ed in passato, quando la vicinanza con le condotte contestate era più prossima ed il clamore della vicenda più ampio, l’amministrazione non ritenne di adottare alcun provvedimento.

Concludendo, pertanto, circa il primo motivo l’amministrazione penitenziaria è venuta meno all’obbligo di notificare una valida comunicazione di avvio del procedimento che consentisse al ricorrente una effettiva partecipazione allo stesso, senza che sussistesse alcun giustificato motivo.

Venendo al contenuto del provvedimento di cui si duole il terzo motivo, l’apparentemente ampia motivazione si limita ad affermare che i reati contestati all’A. sono gravi e che hanno creato un notevole danno all’immagine dell’amministrazione, anche per il gravo risalto che la vicenda ha avuto sulla stampa locale.

Nessuno può dubitare che le condotte ascritte al ricorrente siano gravi; ma allora sarebbe stato giustificato disporre la sospensione dal servizio non appena appreso dell’indagine a carico dello stesso, soprattutto se si considera che il clamore infamante dei fatti si verificò al momento in cui l’indagine fu nota al grande pubblico.

Non è chiaro quale sia la ragione che, a distanza di cinque anni, ha portato l’amministrazione ad assumere un provvedimento di tal genere, dopo che il dipendente è stato trasferito dalla sede ove sono avvenuti i fatti contestati, e quando lo strepitus fori si è senz’altro molto attenuato.

Peraltro non è stata ancora celebrata l’udienza preliminare che quanto meno esprime un controllo da parte di un giudice sull’ipotesi accusatoria del P.M.

Peraltro all’esito del deposito degli atti dopo la conclusione delle indagini l’amministrazione avrebbe potuto richiederne una copia per verificare se nel corso delle indagini erano state acquisiti elementi di prova più rilevanti a carico del ricorrente rispetto a quelli che avevano determinato la sua iscrizione nel registro degli indagati.

Infatti, o vi era una gravità in concreto dei fatti già cinque anni fa e allora non si spiega per quale ragione non sia provveduto all’epoca ad una sospensione precauzionale dall’impiego, o la situazione si è aggravata nel corso delle indagini ed allora bisogna motivare sul punto per giustificare l’adozione di un provvedimento discrezionale prima non assunto.

Va tenuto conto che la condotta medio tempore tenuta dall’A. non ha dato adito a rilievo in servizio, ma anzi lo stesso è stato proposto per il conferimento della ricompensa della lode per aver sventato un tentativo di furto all’interno di un esercizio commerciale.

Il particolare tipo di reati contestati al ricorrente non sono in senso specifico incompatibili con la prosecuzione del servizio in un ambito particolare come quello carcerario, come dimostra il tempo trascorso dalla ritenuta commissione dei fatti ad oggi.

Il Collegio non vuole con questo negare che le condotte astrattamente considerate presentino connotati di oggettiva gravità tali che, se saranno confermate all’esito del giudizio, ben potranno comportare la più grave delle sanzioni disciplinari.

Allo stato, però, dovendosi fare una semplice valutazione circa l’opportunità di mantenere in servizio il ricorrente finchè il giudizio non avrà fatto il suo corso e non potrà procedersi in caso di condanna al procedimento disciplinare, non sembra che le motivazioni che corredano il provvedimento impugnato siano sufficienti a giustificare la sospensione dal servizio.

L’orientamento assunto dal Collegio nella presente controversia è sostenuto da precedenti giurisprudenziali conformi: si veda TAR Puglia sez. staccata Lecce 82\2008 che sul punto afferma: "Si richiede però che il provvedimento che dispone la sospensione riporti una puntuale motivazione in ordine alla natura del reato e alla sua particolare gravità, nonché ai riflessi ostativi alla permanenza in servizio del dipendente. Non è tale il semplice riferimento alla pendenza di un procedimento penale e alla generica considerazione della incompatibilità della situazione di imputato con la funzione espletata dall’impiegato, dovendo la p.a. rendere conto della gravità del reato, anche sotto lo specifico aspetto del concreto turbamento che la riammissione può determinare sull’attività della stessa p.a.", oppure Consiglio di Stato 3549\2007: "Il semplice richiamo al procedimento penale pendente ed alla gravità dei reati addebitati ad un pubblico dipendente non può costituire motivazione di per sé idonea a sorreggere la sospensione cautelare dal servizio del medesimo senza aver riscontrato alcun concreto rapporto tra i profili salienti dei reati determinanti il rinvio a giudizio (concussione e falso) ed il nocumento temuto per il buon nome della p.a., in relazione alla personalità del dipendente, alle sue mansioni ed alla risonanza ambientale della condotta ascrittagli.".

I provvedimenti impugnati andranno, pertanto, annullati e l’amministrazione dovrà, in occasione del riesercizio del potere, concedere un congruo tempo per la partecipazione procedimentale al ricorrente e valutare tutti gli elementi necessari a decidere sull’opportunità di una sospensione cautelare dal servizio secondo quanto indicato in motivazione, tenendo altresì conto anche della situazione economica del dipendente e del riflesso che la riduzione stipendiale produce rispetto alle necessità essenziali sue e del nucleo familiare.

Sussistono giusti motivi considerato che comunque il provvedimento è intervenuto all’esito dell’esercizio dell’azione penale per compensare le spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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