Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-12-2010) 11-03-2011, n. 10107 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Milano con sentenza dell’11 marzo 2010, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Milano, con la quale il S.F. è stato condannato alla pena di anni 7 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, per i reati di violenza sessuale commesso in danno di B.L., in (OMISSIS) e di violenza privata in danno di Be.

I., in (OMISSIS).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo di proprio difensore chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. In relazione alla violenza sessuale in danno di B.L., per insufficienza e contraddittorietà della motivazione. La motivazione della impugnata sentenza sarebbe da censurare sotto il profilo della sua assoluta illogicità ed insufficienza, soprattutto se rapportata alle critiche specificatamente proposte con l’atto di appello: la versione dei fatti fornita in dibattimento dalla B. risulterebbe inattendibile, perchè incompatibile con i tabulati telefonici relativi alle utenze in uso rispettivamente alla donna e all’imputato. Molte delle circostanze riferite dalla parte offesa non troverebbero conferma nei tabulati acquisiti, che non sarebbero stati sufficientemente esaminati dalla Corte di merito.

Risulterebbe anomalo che la mattina del (OMISSIS), dopo aver subito la violenza, parte offesa chiami l’imputato e nello stesso pomeriggio lo chiami altre quattro volte. Le telefonate sarebbero invece la prova che il rapporto tra i due era di natura amorosa e comunque consenziente, per lo meno fino alla mattina del 27 agosto 2008, e che quindi nessuna violenza sessuale è stata commessa.

1.2 La motivazione della impugnata sentenza appare censurabile anche in riferimento alle argomentazioni utilizzate per spiegare il motivo per cui la B. il pomeriggio del 26 agosto 2008 avesse fatto entrare volontariamente l’imputato in casa sua dopo quello che era successo il giorno precedente. I giudici avrebbero dato credito alla giustificazione offerta dalla parte lesa, vale a dire l’intenzione di chiarire la situazione "di persona" con il S.. Tale circostanza denoterebbe invece il fatto che la B. non era per nulla intimidita ed ancor meno terrorizzata dall’imputato, a differenza di quanto dalla stessa dichiarato a dibattimento. Emergerebbe invece cha la paura è sopraggiunta solo nel pomeriggio del (OMISSIS), a seguito della condotta minacciosa e della gelosia ossessiva dell’imputato.

2. In relazione alla violenza privata in danno di Be.Ir., per illogicità manifesta della motivazione, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe rivalutato l’attendibilità della parte offesa, alla luce della intervenuta assoluzione dal reato di violenza sessuale, asseritamente commesso in danno della stessa parte offesa e non avrebbe considerato il rancore che la Be. nutriva nei confronti del S., tale da indurla addirittura ad integrare la denuncia sporta contro di lui nel (OMISSIS), per minacce e percosse, non appena avuta notizia del suo arresto, inventandosi la storia della violenza sessuale. Anche se il loro rapporto ha avuto connotati di aspra conflittualità, la Be. non è stata costretta con la forza ad accettare imposizioni dall’imputato, tanto che nel (OMISSIS) ha posto fine alla relazione, denunciandolo per percosse e per ingiurie (ma non per violenza privata), reato quest’ultimo che è stato ipotizzato solo a seguito della tardiva querela per violenza sessuale, presentata presumibilmente allo scopo di rendere tale reato perseguibile d’ufficio.

3. In prossimità dell’udienza innanzi a questa Corte, il difensore del ricorrente ha anche presentato una memoria illustrativa, ponendo in rilievo come l’imputato nel giudizio di primo grado sia stato assolto dalle accuse di violenza sessuale ai danni della Be. e di un’altra donna straniera e ribadendo l’incongrua lettura dei tabulati agli atti del processo, allegando stralcio degli stessi.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. Si deve innanzitutto premettere che nell’ipotesi di ricorso per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il sindacato in sede di legittimità è limitato alla verifica della sussistenza dell’esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza giuridica, nonchè al controllo della congruità logica del ragionamento, illustrato nella parte motiva del provvedimento impugnato, rispetto alla decisione assunta. Resta perciò esclusa la possibilità di sindacare le scelte che il giudice ha operato sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche. (Cfr. Sez. 3, n. 40542 del 6/11/2007, Marrazzo e altro, Rv. 238016). In particolare il giudizio sull’attendibilità del teste- persona offesa, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, è un giudizio di fatto che può essere effettuato in sede di merito solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (In tal senso, Sez. 3, n. 41282 del 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).

Inoltre, la giurisprudenza ha stabilito, da tempo, il principio che la deposizione della persona offesa dal reato può essere, anche da sola, assunta come fonte di prova della responsabilità dell’imputato, anche se, in quanto portatrice di un interesse configgente con quello dell’imputato stesso, le sue dichiarazioni vanno valutate con particolare rigore, al fine di verificarne l’attendibilità intrinseca ed estrinseca (Cfr. Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016). Per quello che riguarda, specificamente, l’attendibilità della persona offesa nei reati sessuali, è stato affermato che essa deve essere valutata in senso globale, "tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo" (Cosi, Sez. 3, n. 21640 dell’8/6/2010, P., Rv. 247644).

2. Il caso di specie riguarda alcuni episodi della vita del ricorrente, connessi a due relazioni di tipo sessuale/sentimentale, intercorse con due donne diverse ed in tempi diversi, entrambe caratterizzate da accertati comportamenti di prevaricazione violenta dell’imputato nei confronti delle donne. Per quanto attiene all’episodio di violenza sessuale in danno della B., la sentenza impugnata ha fornito innanzitutto ampia e congrua motivazione, in linea con le valutazioni già espresse dal giudice di primo grado, circa la attendibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, le cui dichiarazioni, sia extraprocessuali che nel processo, sono state costanti dall’inizio della vicenda e sono state riscontrate dai racconti resi dai testi: la coppia che aveva aiutato la B. la sera del (OMISSIS), il medico che ebbe a visitare lo stesso giorno la vittima e la psichiatra che ebbe in cura la persona offesa in seguito all’episodio di cui è processo, a seguito del ricovero nel reparto psichiatrico dell’Ospedale, di poco successivo al ricovero presso il Pronto soccorso in data (OMISSIS).

I giudici di appello hanno del resto esaminato una ad una le specifiche contestazioni avanzate in appello dal ricorrente e relative alla presunta inattendibilità della persona offesa, chiarendo sia come, ad una lettura non parcellizzata delle dichiarazioni della B. rese a verbale, tale contraddittorietà non risulti, sia come il contenuto delle dichiarazioni stesse risulti coincidente nel nucleo essenziale del fatto, risultando le poche imprecisioni non significative, neppure in riferimento agli accadimenti dei giorni precedenti, e quindi tali da non minare la coerenza del racconto della persona offesa e la sua attendibilità. Quanto alla circostanza che la donna non si sia confidata con l’amica del cuore o non abbia chiesto aiuto ad altri, o non abbia denunciato l’imputato, i giudici di merito hanno rilevato che il terrore, indiscutibilmente riscontrato dai testi suddetti, che attanagliava la persona offesa in relazione al comportamento aggressivo e violento dell’imputato, fosse tale da coartare psicologicamente la vittima, rendendola succube e quindi impedendole di chiedere aiuto e di sporgere denuncia. La Corte ha ritenuto, proprio per tale elemento, che anche le telefonate intercorse tra l’imputato e la persona offesa ed il fatto che la stessa lo avesse fatto entrare volontariamente in casa, trovino logica giustificazione in tale contesto, posto che nella loro relazione l’imputato, accanto alla violenza prevaricatrice, inviando degli sms a contenuto intimo, aveva finito per confondere la realtà della rapporto, adombrando un proprio coinvolgimento sentimentale, per cui la B. era stata portata a credere di poter porre fine alle prepotenze dell’imputato con un colloquio chiarificatore. Come osservato dai giudici milanesi, anche il precedente consenso da parte della vittima a rapporti sessuali indiscutibilmente violenti, peraltro ammessi dallo stesso imputato, deve essere letto all’interno del rapporto instauratosi tra i due, caratterizzato dalla prevaricazione violenta dell’uomo. Sempre alla medesima radice devono anche essere collegati i tempi della denuncia, i quali riflettono il percorso di consapevolezza da parte della persona offesa della situazione di pericolo grave per la propria incolumità, percorso sostenuto dalla coppia di amici e dal medico.

La ricostruzione operata dai giudici di appello risulta coerente rispetto ai dati specificamente richiamati e, come tale, priva di omissioni o smagliature logiche, mentre il motivo di ricorso ha prospettato, in verità, una interpretazione alternativa delle prove acquisite, già avanzata in grado di appello, dissonante rispetto alla valutazione globale degli elementi di prova presenti nel processo e perciò infondata.

3. Quanto al secondo motivo di ricorso, la decisione impugnata ha motivato in maniera adeguata anche sul punto della attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa Be., tenuto conto che, come espressamente indicato nella sentenza (pag. 30), tale attendibilità non era stata specificamente contestata nell’atto di appello.

Per completezza, questo Collegio osserva che la valutazione di attendibilità è stata svolta, anche richiamando le argomentazioni illustrate dal giudice di primo grado, ripercorrendo nel dettaglio le dichiarazioni rese a dibattimento dalla donna, la quale aveva confermato che tutto quanto accadutole (inclusi i rapporti sessuali particolarmente violenti, che sono stati confermati nella loro storicità e che sono espressamente inclusi nel capo di imputazione del quale è chiamato a rispondere lo il S.) si era svolto in un clima di forte intimidazione per la prevaricazione violenza del ricorrente.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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