Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-05-2011, n. 10919 Cosa in custodia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato tra il 28 luglio ed il 20 settembre 2005, le Assicurazioni Generali s.p.a. ricorrono, sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza n. 1903 del 3 maggio 2005, notificata il 30 maggio 2005, con cui la Corte di appello di Roma aveva confermato la pronuncia di primo grado che l’aveva dichiarata tenuta, quale impresa assicuratrice dello stabile condominiale sito in (OMISSIS), a manlevare il condomino Fa.Et. dalla condanna da questi subita, in solido con l’impresa appaltatrice s.a.s. Studio Novecento, a risarcire i danni arrecati al negozio di abbigliamento di F. A. a causa di infiltrazioni d’acqua, quantificati nella somma misura di L. 140.609.000, oltre interessi legali. Premesso che i danni erano addebitagli alla cattiva esecuzione dei lavori di rifacimento dell’impianto idraulico dell’appartamento del Fa. da parte della società Studio Novecento, la Corte territoriale motivò la propria decisione osservando che la responsabilità dell’impresa appaltatrice non eliminava quella del proprietario ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., atteso che non risultava che questi avesse trasferito all’esecutore dei lavori la piena ed esclusiva disponibilità del bene, che la polizza assicurativa emessa dalle Generali copriva anche la responsabilità verso terzi dei singoli condomini per danni derivanti dalla loro proprietà esclusiva e che il danno risultava adeguatamente provato ed accertato alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. F.A. e Fa.Et. si sono costituiti con distinti controricorsi, mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Il F., nel proprio controricorso, eccepisce l’improcedibilità del ricorso avanzato dalle Assicurazioni Generali per tardività del suo deposito presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentando che l’atto, notificatogli il 29 luglio 2005, risulta depositato soltanto il 6 ottobre successivo. L’eccezione non ha pregio.

A mente dell’art. 369 c.p.c., comma 1, il termine per il deposito del ricorso decorre, nel caso di pluralità delle parti intimate, dalla data della sua ultima notificazione, avvenuta nel caso di specie nei confronti della s.a.s. Studio 900 il 20 settembre 2005. Il termine di 20 giorni per il deposito del ricorso, avvenuto il 6 ottobre 2005, risulta pertanto osservato.

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. ed illogicità e contraddittorietà della motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto Fa.Et., proprietario dell’appartamento da cui erano provenute le infiltrazioni di acqua, responsabile del danno ex art. 2051 cod. civ. Sostiene al riguardo la società ricorrente che la responsabilità del proprietario per custodia avrebbe dovuta essere esclusa nel caso di specie, in quanto il danno era addebitabile esclusivamente alla cattiva esecuzione dell’impianto idrico da parte dell’impresa appaltatrice, che aveva la disponibilità esclusiva del bene, tenuto conto che dagli atti di causa risultava che l’appartamento era stato affidato all’appaltatore per eseguirvi una ristrutturazione e che questi ne aveva le chiavi. La Corte territoriale ha pertanto errato nell’applicare la disposizione di cui all’art. 2051 cod. civ., atteso che la presunzione di colpa a carico del proprietario del bene non opera, e questi non è responsabile, quando il fatto che ha cagionato il danno sia riconducibile alla responsabilità di terzi estranei alla sua sfera di influenza e controllo.

Sotto altro profilo, si assume che la sentenza è errata per avere affermato, senza motivazione e graduazione delle rispettive colpe, la responsabilità solidale del proprietario e dell’appaltatore senza rispettare i principi posti dall’art. 2055 cod. civ. in tema di responsabilità solidale.

Il F., nel proprio controricorso, eccepisce l’inammissibilità del motivo, assumendo che la responsabilità dei Fa. nella causazione del sinistro è stata già affermata dal giudice di primo grado e che, non avendo detta parte proposto appello incidentale, il relativo accertamento è ormai passato in giudicato, con l’effetto che esso non è più contestabile nemmeno da parte dell’assicuratore.

L’eccezione è infondata.

L’assunto difensivo non tiene conto del principio che i rapporti tra danneggiarne e danneggiato, da una parte, e tra assicuratore ed assicurato, dall’altra, anche se dedotti nello stesso giudizio, sono e rimangono distinti ed autonomi, sicchè, come questa Corte ha già precisato (Cass. n. 4192 del 2004; Cass. 2222 del 2003), nell’ambito del rapporto tra assicurato e assicuratore la ricostruzione dell’incidente può portare a negare il diritto del primo ad essere manlevato dal secondo, anche se venga accertato (con efficacia di giudicato) il diritto al risarcimento del danno del danneggiato nei confronti del danneggiarne, atteso che il giudicato formatosi nel primo rapporto non può avere efficacia in relazione al secondo, diverso rapporto processuale. Ragionando diversamente, del resto, si rimetterebbe al danneggiante assicurato un potere di disposizione in relazione alla posizione giuridica dell’assicuratore, che è diversa ed autonoma. Passando all’esame del motivo, se ne deve dichiarare l’infondatezza. Va premesso che le affermazioni della Corte territoriale, laddove ha escluso che nella vicenda per cui è causa vi fosse stato un passaggio della materiale ed esclusiva disponibilità del bene dal proprietario all’impresa esecutrice dei lavori cui è risultato ascrivibile il danno e che, comunque, di tale trasferimento esclusivo non fosse stata data alcuna prova idonea, integrano accertamenti di fatto non censurabili dinanzi al giudice di legittimità se non sotto il profilo della sufficienza e congruità della motivazione.

Nel caso di specie, la decisione impugnata risulta adeguatamente motivata, apparendo la conclusione accolta giustificata sulla base del richiamo a circostanze e fatti puntuali e coerenti. In particolare, la Corte di merito ha precisato che i lavori erano stati eseguiti nel maggio del 1994 e che soltanto successivamente, nel luglio dello stesso anno, allorquando si erano già manifestate le infiltrazioni d’acqua nel locale sottostante del F., l’impresa appaltatrice era stata nuovamente chiamata ad effettuare i lavori di riparazione, da ciò desumendo che, dopo la loro esecuzione in maggio, l’appartamento era tornato nella disponibilità del Fa., sicchè era da escludersi o comunque da ritenersi non provata la circostanza relativa alla acquisita disponibilità esclusiva del bene da parte dell’appaltatore, in forma, può aggiungersi, tale a sottrarlo in modo pieno alla sfera di controllo e di influenza del proprietario. La Corte, inoltre, ha aggiunto che, ai fini dell’accertamento richiesto, era del tutto irrilevante il fatto che lo studio cui era adibito l’appartamento del Fa. fosse chiuso e che questi fosse in ferie, atteso che tali circostanze ne rafforzavano semmai la responsabilità a titolo di omessa vigilanza e custodia, in quanto egli, "consapevole dei lavori eseguiti male, si limitò a richiamare la ditta per le riparazioni senza porre in essere la dovuta diligenza e sorveglianza nella giornata nella quale quegli interventi furono eseguiti". Per contro la ricorrente non indica gli elementi di prova, non esaminati dal giudicante, da cui risulterebbe confermata la sua versione che l’immobile venne affidato, all’epoca in cui si produsse il danno, alla disponibilità esclusiva della ditta appaltatrice, che, si dice, era in possesso delle chiavi, circostanza quest’ultima che, come sopra evidenziato, è stata ritenuta irrilevante dal giudice di merito; nè il ricorso censura in modo specifico l’affermazione della sentenza secondo cui il Fa., delegando in sostanza la risoluzione di ogni problema alla ditta appaltatrice senza adottare le dovute cautele, aveva violato i propri obblighi di sorveglianza e di custodia sulla cosa.

Infondata è anche la censura di violazione e falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 2051 cod. civ., che com’è noto pone a carico del custode la responsabilità dei danni cagionati dalla cosa, salvo che provi il caso fortuito. In punto di diritto la decisione impugnata va condivisa, apparendo conforme al costante orientamento di questa Corte secondo cui il caso fortuito che esonera il proprietario custode dalla responsabilità prevista a suo carico dall’art. 2051 cod. civ., nel caso in cui il danno sia prodotto da un terzo attraverso l’uso della cosa, si verifica soltanto quando il fatto del terzo si ponga al di fuori della sua sfera di custodia ed abbia impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (Cass. n. 8005 del 2010; Cass. n. 5741 del 2009). In applicazione di tale principio, in particolare, si è affermato, ed il Collegio condivide questo indirizzo, che, nel caso in cui un immobile sia oggetto di lavori in appalto, il committente proprietario del bene continua ad esercitare il dovere di custodia e di vigilanza, con conseguente responsabilità ex art. 2051 cod. civ., a meno che non provi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile (Cass. n. 19474 del 2005; Cass. 5609 del 2001), evenienza che normalmente non si verifica qualora, come nel caso di specie, l’appalto abbia ad oggetto servizi di manutenzione o di riparazione di un impianto interno.

L’ultima censura, che denunzia violazione dell’art. 2005 cod. civ. in materia di ripartizione della responsabilità tra i diversi obbligati, appare invece inammissibile, integrando una contestazione nuova, non risultando dal ricorso che essa sia stata proposta dalla parte già in primo grado e quindi riproposta con l’atto di appello.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1917 cod. civ. e dei criteri di ermeneutica contrattuale, lamentando che la sentenza impugnata abbia ritenuto operante la copertura assicurativa sulla base del rilievo che il fatto generatore del danno non era volontario. Questa conclusione, ad avviso della società ricorrente, contrasta con le disposizioni della polizza, che circoscrivevano l’operatività della garanzia ai danni provocati da infiltrazioni d’acqua conseguenti a guasto o rottura accidentali " degli impianti idrici di proprietà condominiale, dal momento che essa ha di fatto equiparato, erroneamente, i fatti di natura accidentale a quelli colposi. La delimitazione della garanzia ai fatti di natura accidentale ha invece aggiunge il ricorso – tutt’altro significato, in quanto l’evento accidentale si produce per effetto di circostanze estranee all’attività dell’agente, sicchè esso va escluso quando l’evento dannoso, come la Corte ha accertato nel caso di specie, si verifica per effetto dell’attività dell’agente. In particolare, aggiunge la ricorrente, il carattere dell’accidentalità non ricorre in tutti gli eventi provocati nel corso della normale attività di impresa, sicchè esso andava escluso nella fattispecie, in cui i danni in questione erano riconducibili ad una riparazione male eseguita da parte di un’impresa specializzata.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata ha affermato l’operatività della garanzia assicurativa sulla base della considerazione che " L’art. 18 della polizza prevede la copertura del danno prodotto da spargimento di acqua, conseguente a guasti o rotture di tubazioni o condutture, purchè involontariamente cagionato, come da art. 17". La Corte di appello ha quindi dichiarato che la polizza assicurativa operava nel caso di eventi "involontari"; nessun riferimento viene invece fatto al carattere "accidentale" che, secondo la tesi della ricorrente, dovrebbe invece rivestire l’evento dannoso.

Ciò posto, l’argomentazione del giudice di secondo grado non risulta efficacemente contrastata dal ricorso attraverso la giustapposizione del diverso tenore e contenuto della clausola negoziale invocata.

L’assunto difensivo che la polizza operava solo per eventi "accidentali" costituisce affermazione che, non trovando alcun riscontro nella decisione impugnata, avrebbe dovuto essere sostenuta dalla puntuale riproduzione della clausola della polizza assicurativa che si assume erroneamente interpretata. Costituisce diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente che deduca l’omessa considerazione o l’erronea interpretazione o lettura di clausole contrattuali ha l’onere di trascrivere integralmente il contratto o la parte di esso su cui fonda la propria censura. Questa Corte, infatti, attesa la natura del vizio denunziato, non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito e, pertanto, non ha altro modo, se non attraverso la lettura del ricorso, di valutare la sussistenza e decisività della critica sollevata (Cass. n. 19044 del 2010; Cass. n. 4178 del 2007). Per tale ragione il mezzo va dichiarato inammissibile.

Il terzo motivo di ricorso denunzia i vizi di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione e di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere respinto le censure svolte dalla appellante in tema di prova dell’entità del danno, disattendendo i rilievi critici sollevati avverso gli accertamenti della consulenza tecnica d’ufficio. Anche questo motivo è inammissibile.

La censura sollevata è generica, non indicando in maniera sufficientemente precisa su quali aspetti particolari l’accertamento compiuto dal giudice di merito in tema di quantificazione del danno non sarebbero sorretto da adeguata motivazione. Non risulta rispettato, inoltre, il già precisato principio di autosufficienza del ricorso, che imponeva alla parte, in relazione al motivo proposto, di riprodurre i rilievi critici svolti nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio che si assumono colpevolmente ignorati dal giudice territoriale.

In conclusione, il ricorso è respinto.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, sono poste, per il principio di soccombenza, a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore di ciascuna delle parti costituite.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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