Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-12-2010) 11-03-2011, n. 10105

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Genova, con sentenza depositata il 22 dicembre 2009, ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal GIP del Tribunale di Savona in data 28 giugno 2006 con la quale S.Y. è stato condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, per i reati di cui agli artt. 572, 582 e 609- bis c.p., commessi in danno della moglie, fatti avvenuti in (OMISSIS).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo di proprio difensore chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Totale carenza della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e): la motivazione consistendo in un manoscritto sintetico, nulla spiega in ordine alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, costituente l’unico elemento sulla base del quale è stata confermata la sentenza di prime cure, mentre una motivazione per relationem è legittima solo nell’ambito della mera ricostruzione del fatto e limitatamente alle parti della sentenza di primo grado non espressamente impugnate, mentre nessuna delle richieste subordinate formulate nei motivi di appello è stata affrontata.

2. Carenza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) in ordine al delitto di violenza sessuale ed a quello di lesioni, ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.

Le poche righe dedicate a questo tema evidenziano che non è stato assolto l’obbligo motivazionale. Nel motivo di gravame erano state evidenziate le contraddizioni emergenti dalle diverse dichiarazioni rese dalla donna, in particolare, con riferimento alla consumazione del delitto di violenza sessuale: non avrebbe dovuto essere trascurata la totale assenza di riscontri oggettivi (in particolare tracce di sangue sul letto, asseritamene provocate da una testata al naso) all’esito dell’ispezione dell’appartamento, che rendeva ancor meno attendibile la versione della donna. L’inverosimiglianza delle dichiarazioni accusatorie emergeva, peraltro, anche dalle contraddizioni sulla collocazione temporale della presunta aggressione e risultava persino dall’ordinanza del Gip che, in sede di convalida del fermo, aveva evidenziato la genericità e la contraddittorietà delle dichiarazioni della persona offesa e l’assenza di validi riscontri estrinseci, tali da far ritenere l’insussistenti i gravi indizi di colpevolezza.

3. Assenza o carenza della motivazione della sentenza ricorsa con riferimento al reato di cui all’art 572 c.p., in quanto la motivazione sul punto sarebbe solo apparente, nè sono stati enunciati i riscontri a fronte della verificata assenza dell’imputato dall’abitazione coniugale per essere lo stesso imbarcato.

4. Totale mancanza della motivazione ed erronea applicazione dell’art. 609-bis c.p. anche con riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato e al mancato riconoscimento dell’ipotesi di minore gravità. La Corte di appello avrebbe eluso la censura relativa alla mancanza della prova circa il rifiuto della donna al rapporto sessuale e, comunque, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 609-bis c.p., avendo il S. agito nella convinzione che vi fosse il consenso della coniuge, secondo quanto riferito dalla stessa parte offesa. Nessuna risposta sarebbe stata fornita neppure alla censura relativa al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata.

5. Carenza della motivazione ed erronea applicazione degli artt. 582 e 609 septies c.p. con riferimento alla procedibilità d’ufficio del reato di lesioni e del reato di violenza sessuale. Il giudice non ha dato alcuna risposta al motivo di appello in ordine alla non procedibilità d’ufficio sia del reato di lesioni che del quello di violenza sessuale. In riferimento al reato di lesioni, con l’atto di appello era stata chiesta una perizia medico-legale, e su tale richiesta il giudice di secondo grado non ha fornito alcuna risposta.

Quanto alla procedibilità d’ufficio del reato di violenza sessuale, nei motivi di appello si evidenziava che non poteva ritenersi applicabile il disposto di cui all’art. 609-septies c.p. poichè la connessione con un reato procedibile d’ufficio non si deve connotare in senso processuale, ma in senso materiale, e sussiste ogni qualvolta l’indagine sul delitto perseguibile d’ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, connessione materiale che non appariva verificata nel caso di specie.

6. Assenza della motivazione in ordine alla richiesta di riduzione degli aumenti operati ex art. 81 cpv. c.p.: la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi anche in ordine all’ulteriore richiesta contenuta nei motivi di appello, relativa agli aumenti operati a titolo di continuazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Questa Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). E’ stato inoltre precisato che se l’appellante ha riproposto questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem.

Di contro, quando l’appellante ha specificamente censurato le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, il giudice del gravame non può limitarsi a respingere i motivi di impugnazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, richiamando la motivazione censurata, senza alcuna argomentazione circa l’inconsistenza, l’inadeguatezza o l’infondatezza nel merito, dei motivi di impugnazione, in quanto in tal modo incorre nel vizio di motivazione, sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (In tal senso si veda Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735).

Nel caso di specie, i giudici di appello, lungi dal fornire una risposta esaustiva ai numerosi e specifici motivi di appello proposti dal difensore, relativi in particolare alle contraddizioni delle dichiarazioni rese dalla persona offesa rispetto agli altri dati probatori acquisiti agli atti, poi trasfusi nei motivi di ricorso innanzi a questa Corte, si sono limitati ad affermare che ritenevano raggiunta la piena prova della responsabilità del S. per i reati ascritti, "condividendo l’interpretazione accuratamente argomentata" nella sentenza di primo grado, dedicando poche righe all’affermazione delle testimonianze della persona offesa ritenuta "chiara, dettagliata, attendibile" e pertanto credibile.

Tale minimo compendio motivazionale non soddisfa i requisiti che la legge impone per la redazione della parte motiva dei provvedimenti giurisdizionali di carattere decisorio, laddove si dispone che venga fornita concisa esposizione dei motivi in fatto e diritto sui quali la decisione è fondata, indicando le prove poste a base e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene di disattendere le prove contrarie e le ragioni della difesa.

La sentenza impugnata ha quindi fornito una motivazione meramente apparente e, dunque, ai limiti dell’inesistenza, in quanto ha utilizzato asserzioni apodittiche e argomentazioni che hanno semplicemente richiamato, in via del tutto generica, la decisione di primo grado; il ragionamento dei giudici di appello risulta pertanto fittizio e banalmente confermativo della precedente valutazione e non è stata data risposta alle censure che l’imputato aveva avanzato in relazione a specifici punti della decisione di primo grado. (In tal senso, in riferimento ad un caso analogo, dove la Corte ha annullato la sentenza di condanna che si era limitata ad affermare che la fonte di prova era costituita dalle dichiarazioni della persona offesa, senza indicarne il contenuto, nè le ragioni della ritenuta attendibilità, si veda Sez. 5, n. 24862 dell’1/7/2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682).

In conclusione, in accoglimento dei motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova per nuovo esame.
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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