Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-12-2010) 11-03-2011, n. 10103 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Lecce con sentenza del 24 febbraio 2010 ha confermato la sentenza del G.U. del Tribunale di Brindisi sez. distaccata di Ostuni, e ha condannato C.C., D.P. I.M. (in qualità di committenti) e L.G. (in qualità di direttore dei lavori), alla pena di mesi uno di arresto ed Euro 10.000,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa e non menzione, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), in quanto in difformità dal permesso di costruire rilasciato il 12 maggio 2005, realizzavano un piano interrato, più ampio di 20 mq rispetto a quello autorizzato e comunicante con il piano sovrastante, una piattaforma in cemento con ferri di armatura, una rampa con sbancamento e una ricostruzione del solaio ad altezza superiore, in (OMISSIS).

Gli indagati hanno proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Mancata applicazione dell’art. 157 c.p., in quanto i fatti contestati risalgono all’agosto 2005, così come si evince dal verbale e dalla notizia di reato redatta dai Vigili Urbani di Ostuni.

2. Nullità del procedimento penale, in quanto l’avviso della conclusioni delle indagini preliminari notificato agli imputati D. P. e C. non è stato mai notificato ai loro difensori di fiducia, per cui il procedimento penale deve retrocedere alla fase delle indagini preliminari.

3. Carenza di motivazione circa il mancato rinnovo dell’istruttoria dibattimentale. Il Giudice di primo grado ha rigettato senza alcuna motivazione la richiesta di espletamento di consulenza tecnica, nonchè l’ammissione ai sensi dell’art. 507 c.p.p. di alcuni testimoni (geometra in servizio presso l’ufficio tecnico del Comune di Ostuni, che aveva compiuto gli accertamenti tecnici unitamente al Maresciallo F.V. e D.P.G., custode giudiziario nominato nel verbale di sequestro, che è il reale esecutore delle opere), nonchè l’espletamento di una perizia. Non appaiono giustificabili le brevi motivazioni del rigetto della richiesta proposta dagli imputati.

4. Violazione ed erronea applicazione della L. n. 326 del 2003, art. art. 36 e art. 44, lett. b). Nel merito non sono state tenuti in considerazione alcuni elementi. In particolare i ricorrenti avevano ottenuto in data 3/5/2005 veniva rilasciata un permesso di costruire per "ristrutturazione immobile esistente al piano terra e piano primo e demolizione e ricostruzione parte dei solai e costruzione veranda al piano terra e centrale termica al piano primo con annesso garage al piano interrato" della superficie di oltre 150 mq. Le opere e i lavori oggetto delle contestazioni erano in corso e ben lungi dall’essere terminati. Si tratta di una superficie interrata che non può assolutamente rappresentare una difformità sostanziale. Quanto alla misurazione dell’altezza del piano preesistente, non si sarebbe tenuto conto di tutte le opere necessarie per il completamento del manufatto che avrebbero notevolmente ridotto l’altezza interna dello stesso manufatto alle dimensioni autorizzate.

5. Mancata applicazione dell’art. 44, lett. a): il giudice di prime cure avrebbe dovuto derubricare il contestato reato, trattandosi nella fattispecie di lievi difformità, essendo stata integralmente conservata la volumetria originaria del preesistente fabbricato e non essendo state alterate nè modificate la sagoma e la superficie dello stesso. La sentenza, pertanto, dovrà essere annullata per falsa applicazione della legge.

6. Carenza dell’elemento soggettivo del reato.

C.C. e D.P.I.M. sono solo i proprietari intestatari del bene e nessuna responsabilità può essere loro addebitata, nemmeno a titolo di colpa, per le eventuali lievi difformità che dovessero essere riscontrate, atteso che gli stessi non hanno seguito, partecipato, visionato i lavori in corso, avendo delegato tutto questo al genitore-suocero D.P.G..

L.G. non avendo potuto seguire i lavori nella fase antecedente il sequestro per motivi di famiglia, non può essere ritenuto colpevole di alcun reato.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso non sono fondati.

1. Quanto al primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha dato conto di alcuni rinvii del dibattimento di primo grado e di appello e delle ragioni degli stessi, i quali hanno determinato la sospensione del decorso dei termini prescrizionali, per cui la prescrizione maturerà solo il 23 febbraio 2011. 2. Per quello che attiene al secondo motivo di ricorso la decisione impugnata ha parimenti evidenziato la tardività dell’eccezione, in quanto l’omessa notifica al difensore di fiducia dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari rappresenta una nullità generale a regime intermedio che avrebbe dovuto essere eccepita non già con i motivi di appello – come avvenuto – ma prima della pronuncia di primo grado.

3. In relazione al terzo motivo di ricorso, va osservato che la Corte di appello ha fornito ampia descrizione sulle ragioni per le quali ha ritenuto manifestamente superflua in chiave decisoria l’integrazione istruttoria richiesta dalla difesa ex art. 603 c.p.p., illustrando per ciascun teste indicato le motivazioni per le quali fosse da ritenersi superfluo l’esame e chiarendo che la richiesta di perizia, avanzata dalla difesa in primo grado è stata rigettata dal giudice e non più reiterata dalla difesa, neppure nell’istanza formulata ai sensi dell’art. 507 c.p.p., relativa alle sole assunzioni testimoniali. Tale adempimento motivazionale risulta più che esaustivo, dovendosi tenere conto che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, quando ritenga invece di respingerla, può anche motivarne il rigetto in maniera implicita, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità penale (cfr. Sez. 3, n. 24294 del 25/6/2010, D.S.B., Rv, 247872; si veda anche Sez. 4, n. 47095 dell’I 1/12/2009, Sergio e altri, Rv. 245996).

4. Per quanto attiene al quarto e quinto motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha svolto una compiuta disamina, immune da vizi logici, degli elementi probatori raccolti, ricostruendo l’iter amministrativo del permesso e dei pareri successivi espressi dall’Ufficio tecnico comunale, confermando la correttezza della fattispecie configurata e riconosciuta dal giudice di primo grado, relativa alla difformità totale dei lavori realizzati e non già parziale ed i giudici hanno dato atto del fatto che non fosse intervenuta – nè avrebbe potuto esserlo, atteso il difetto della conformità urbanistica di quanto realizzato – alcuna sanatoria.

5. Del tutto infondata, parimenti, anche l’ultima censura proposta da ciascun ricorrete. A prescindere dalla genericità della stessa, si deve invece richiamare l’ampia motivazione illustrata nella sentenza impugnata circa la riconducibilità dell’illecito edilizio alle condotte colpevoli degli imputati, riconosciuti responsabili del reato loro ascritto, ciascuno nelle rispettive qualità.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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