Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-12-2010) 11-03-2011, n. 9883 Aggravanti comuni sevizie e crudeltà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

stino e Salvalaggio Catia.
Svolgimento del processo

1 – Con sentenza del 4/12/2009, depositata l’1/3/2010, la Corte di Assise di Appello di Venezia:

– ha confermato nei confronti dell’imputato B.A., esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 e tenuto conto delle già applicate circostanze generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti e della diminuente prevista per il rito, la pena di anni venti di reclusione già irrogata con sentenza 22/9/2008 del GUP di Treviso;

– ha altresì confermato le statuizioni adottate dal primo giudice nei confronti dell’imputato S.N., condannato in primo grado alla pena dell’ergastolo.

I due imputati erano stati ritenuti responsabili -in concorso con altri- dei reati, unificati sotto il vincolo della continuazione, di omicidio e rapina aggravati nei confronti di P.G. e C.L., custodi presso la villa della famiglia D., delitti commessi in (OMISSIS). La Corte di merito ha inoltre proceduto alla integrale liquidazione del danno subito dalle parti civili così come espressamente richiesto dalle stesse essendo adeguatamente provate in atti le circostanze di fatto alle quali faceva riferimento la domanda di risarcimento del danno.

2- Secondo la ricostruzione operata dai Giudici di merito tale L.A. (in seguito suicidatosi in carcere) si era introdotto con altra persona, in atti rimasta sconosciuta, nella villa della famiglia D., previo accordo con gli attuali imputati, avendo il B., che lavorava presso l’azienda della famiglia D., indicato l’abitazione dei suoi datori di lavoro come possibile luogo ove introdursi per prelevare denaro ed oggetti di valore, ed avendo lo S. organizzato il "colpo".

In particolare, da quanto riferito nel corso dei vari interrogatori e degli effettuati incidenti probatori dal L. e dal B., con dichiarazioni successive ma non sempre tra loro conformi, emergeva:

che il B. aveva indicato allo S. ed al L. la villa dei suoi datori di lavoro; che era stato lo S.N. a proporre di fare la rapina precisando al L. che, così come riferito dal B., nella villa abitava solo una persona o forse nessuno; che nella notte dei fatti, mentre il B. era andato al lavoro lasciando allo S. la sua automobile, quest’ultimo aveva accompagnato gli altri presso la villa, dopo che costoro si erano muniti di due scalpelli e di due cacciaviti; che il L. si era introdotto nella villa con uno dei complici (inizialmente ebbe ad affermare che si fosse trattato dello S. ma poi ebbe a precisare di essersi accompagnato con altra persona e di avere effettuato, sul punto, una falsa affermazione per timore di rappresaglie da parte di quest’ultima; che L. ed il complice avevano entrambi colpito violentemente e per circa 20/30 minuti le persone trovate nell’abitazione per indurli a dire loro dove si trovava la cassaforte (della cui esistenza aveva fatto menzione lo S., che aveva appreso di tale circostanza dal B.) ma, non avendo ottenuto l’informazione nè rinvenuto la cassaforte, avevano asportato i cellulari delle due vittime, alcuni gioielli ed un portafoglio; che nel mentre aveva luogo tale condotta erano intercorse plurime conversazioni telefoniche tra il L. e S. N. al quale ultimo, informato della presenza in casa della coppia, il L., come dallo stesso riferito, aveva chiesto indicazioni sul da farsi, ricevendo l’ordine di colpire i due per farsi dare le informazioni necessarie; che il L., accertato che le vittime non erano più in grado di parlare, aveva telefonato allo S. perchè venisse a prelevarli; che il B., ritornato a casa verso le sei del mattino, aveva, su indicazione telefonica dello S., prelevato dall’armadio gli oggetti provento della rapina (tra cui una carta postamat con il quale aveva effettuato un prelievo di Euro 20), e che quindi -sempre secondo le indicazioni dello S., che lo aveva informato di ciò che era successo precisandogli che il L. aveva ucciso due persone- aveva accompagnato lo S. a (OMISSIS), gettato un cellulare e i due scalpelli che gli era stato detto essere quelli utilizzati dal L. per uccidere le vittime nonchè un coltello, provvedendo anche a pulire in lavatrice indumenti lasciati in casa dallo S..

Dal canto suo quest’ultimo affermava: di non aver avuto dal B. alcuna informazione circa l’abitazione dei suoi datori di lavoro; di avere nella notte dei fatti consumato droga con L. e con il B. (circostanza riferita peraltro anche dai coimputati); di avere quindi accompagnato con la vettura del B. costui al lavoro ed il L. a (OMISSIS); di avere in seguito ricevuto dal L. una telefonata con la quale questi gli aveva chiesto di andarlo a prendere, cosa che aveva fatto, e di essere stato in tale circostanza informato dall’amico che costui aveva inferto "molti colpi ad un uomo perchè la donna non gli voleva dare i soldi"; di avere appreso degli omicidi solo in seguito ascoltando la televisione.

La Corte di Venezia ha quindi riferito:

che in sede di consulenza medica emergeva che le molteplici lesioni riportate dalle vittime erano state causate da armi da punta e taglio; che, considerati numero, tipologia e localizzazione delle lesioni, doveva ritenersi che gli autori delle stesse avessero, oltre che intendimenti omicidiari, anche il proposito di torturare e seviziare le vittime; che all’aggressione avevano partecipato almeno due persone; che dai tabulati relativi alle telefonate intercorse tra i soggetti coinvolti nella vicenda risultava la compatibilità della presenza del L. nel luogo del delitto dalle ore 00,38 alle 2,28 e dalle ore 3,26 nell’abitazione dello S.; che del pari emergeva la compatibilità della presenza dello S. nell’abitazione del B. fino alle ore 2,23 e poi fino alle ore 2,28 nel luogo del delitto, quindi alle ore 4,10 ancora nell’abitazione del B.; che, sulla base dei dati ricavabili dal sistema satellitare installato sulla vettura del B. emergevano con completezza gli spostamenti della vettura per i quali veniva data indicazione dei relativi orari e delle zone raggiunte.

3- La Corte di merito, riepilogate le argomentazioni della sentenza del GUP di Treviso e le doglianze articolate nei motivi di gravame dalle difese, ha in premessa precisato di non poter formulare un positivo giudizio di credibilità soggettiva ed oggettiva della chiamata in correità del L., potendo solo le sue dichiarazioni essere richiamate a conforto di dati ed elementi aliunde provati; a diverse conclusioni doveva invece pervenirsi in relazione alle dichiarazioni rese dall’imputato B., le discrepanze in esse rilevabili riguardando non già la ricostruzione dell’evento delittuoso ma dati marginali o successivi all’esecuzione dei delitti.

Pertanto la Corte, riportate le dichiarazioni rese da tale imputato e sottolineato come le stesse avessero ricevuto conferma negli esiti delle indagini ed in particolare nei tracciati del GPS nonchè nelle parziali ammissioni dello S., parzialmente coincidenti anche con quelle del L., ha ritenuto che i fatti emersi integrassero i reati ascritti e comprovassero il coinvolgimento in essi dell’imputato S.N., cosi come precisato alle pagg. 35-36 della sentenza impugnata. La Corte inoltre, pur condivisa l’impostazione difensiva per la quale il progetto iniziale fosse stato quello di commettere un furto ovvero una rapina, ove si fossero trovate persone nella villa, ha ritenuto che del poi consumato evento omicidiario dovessero rispondere entrambi gli attuali imputati seppure a diverso titolo.

3.1- Con riguardo alla posizione dello S., la Corte ha ritenuto che l’elevato numero di telefonate intercorse tra il L. e lo S. stesso durante l’aggressione costituisse di per sè elemento indiziante della partecipazione, seppure "da lontano", alla brutale esecuzione e che poi, valutato tale elemento con gli altri acquisiti in atti indicanti nello S. l’ideatore della rapina, dovesse verosimilmente ritenersi che l’imputato avesse, durante le intercorse telefonate, invitato il complice ad utilizzare violenze sulle vittime per ottenere a qualsiasi costo le notizie necessarie, non potendosi comunque dubitare del fatto che lo S. venisse sempre informato di quanto avveniva. Egli, pertanto, doveva rispondere anche degli omicidi (nella forma aggravata come contestata) quanto meno a titolo di dolo eventuale, avendo condiviso, seppure da lontano, la condotta criminosa attendendo che essa fosse portata a termine con le accertate modalità particolarmente cruente, delle quali era pienamente consapevole.

3.2- Con riferimento alla posizione dell’imputato B., la Corte ha ritenuto indiscutibile il concorso nel delitto di furto o rapina come inizialmente progettato, avendo partecipato consapevolmente all’organizzazione di tale progetto, ma ha anche soggiunto che lo stesso non aveva però previsto la drammatica evoluzione della vicenda, anche in considerazione della natura degli strumenti dei quali i complici si erano muniti, scelti per fini diversi da quelli in funzione dei quali erano stati poi utilizzati.

Pertanto, dovendo ritenersi l’evento omicidiario non previsto ma solo prevedibile, stante il gravissimo pericolo per la vita del rapinato determinato da azione aggressiva e violenta del tipo di quella concordata, la Corte ha affermato che era nei confronti del B. ravvisabile l’ipotesi del concorso anomalo ai sensi dell’art. 116 c.p..

3.3- In punto di trattamento sanzionatorio la Corte, pur esclusa ai sensi dell’art. 118 c.p., l’aggravante soggettiva di avere agito per motivi futili o abietti, ha ritenuto di confermare la pena già irrogata procedendo a ponderata valutazione di tutti gli elementi di fatto indicati dall’art. 133 c.p. ed argomentando al proposito.

4- Per l’annullamento di tale sentenza hanno proposto ricorso:

il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Venezia con atto del 16/4/2010 articolato su due motivi, il difensore di S.N. con atto del 14/4/2010 basato su sette motivi, – il difensore del B. con atto in data 13/4/2010 contenente cinque motivi.
Motivi della decisione

5 – Ritiene il Collegio, all’esito della separata disamina delle tre distinte impugnazioni, che debbasi rigettare per intero il ricorso del P.G. e che, delle due impugnazioni dei difensori degli imputati, debbano essere accolte le sole censure afferenti le aggravanti applicate ed il correlato trattamento sanzionatorio (nel ricorso proposto per lo S. il motivo 6^ e nel ricorso proposto nell’interesse del B. i motivi terzo e quarto), rigettati tutti gli altri motivi.

Nei limiti dei motivi accolti deve essere quindi disposto il rinvio per nuovo esame ad altra sezione della stessa Corte e conseguentemente, alla luce della limitata portata della sentenza di annullamento, deve essere disposta la condanna degli imputati alla refusione delle spese in favore delle parti civili.

Il ricorso del P.G. presso la Corte di Appello di Venezia.

6 – Il P.G. ricorrente ha, con riguardo al riconoscimento della diminuente ex art. 116 c.p. ed alla esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 in favore dell’imputato B., lamentato vizi di motivazione e travisamento della prova in relazione ad una circostanza fondamentale del panorama probatorio (l’adesione dell’imputato al piano criminoso della rapina e non già di un semplice furto) nonchè circa la valenza probatoria della falsa indicazione fornita ai correi sull’esistenza di una cassaforte nella villa dove doveva essere portata a termine l’azione criminosa. Il P.G. ricorrente ha infine argomentato sull’interesse della parte pubblica all’impugnazione pur rimasta uguale l’entità della pena inflitta non oggetto di censura in grado di appello.

Entrambi i motivi, a proporre i quali certamente sussisteva l’interesse del P.M. nel senso precisato in ricorso e nei termini indicati da questa Corte (cfr. da ultimo: Cass. Sent. N.32527 del 2010), non sono condivisibili.

Quanto al primo motivo della sintetizzata impugnazione, il Collegio ne rileva la evidente infondatezza. La Corte territoriale ha accuratamente descritto gli elementi di fatto (pagg. da 33 a 36) indicanti il ruolo del B. di compartecipe ad un progetto di intrusione nella abitazione dei D. e di perpetrazione ai loro danni, e con specifico riguardo ai beni che si supponeva essere custoditi in una cassaforte, di un furto o di una rapina (il primo da perpetrarsi con l’ausilio di cacciaviti e scalpelli che gli esecutori avrebbero recato seco e la seconda da realizzarsi ove abitanti della casa avessero frapposto resistenze e comunque per farsi indicare la posizione della "cassaforte"). Altrettanto chiaramente la Corte ha poi esaminato le conseguenze che, in siffatto quadro di programmazione alternativa e nella consapevolezza che gli esecutori erano ben provvisti di strumenti di scasso ed effrazione, dovevano trarsi per effetto della perpetrazione dei due efferati omicidi da parte degli esecutori e nella indiscutibile assenza dai luoghi (e da ogni contatto con gli esecutori) del B.: è stata al proposito rettamente affermata la indiscutibile ricorrenza della sola ipotesi del concorso anomalo di cui all’art. 116 c.p., dovendosi certamente:

– da un canto affermare che l’evento omicidiario conseguente alla rapina concordata non era stato in alcun modo previsto, pur se in forma eventuale, avendo riguardo al dato per il quale gli esecutori erano muniti non di armi da fuoco (si rammentano le sentenze S.U. 337 del 2009 e Cass. 18489 del 2010) ma di soli strumenti di scasso ed effrazione;

– dall’altro canto rilevare che nondimeno l’accordo per la consumazione anche di una rapina da parte di soggetti decisi a tutto era prevedibile potesse sfociare, di fronte alla resistenza degli occupanti l’abitazione od al loro rifiuto nel fornire informazioni sulla "cassaforte", in violenza sulle persone di tali occupanti e quindi anche nel più grave esito omicidiario.

Emerge quindi la totale irrilevanza dei pretesi contrasti e delle assunte contraddizioni della sentenza denunziati dal P.G. in ordine all’accertamento di un programma diretto al furto, posto che, quand’anche, come emerge chiaramente, il programma avesse avuto ad oggetto una rapina, la relativa conseguenza omicidiaria in quelle riferite condizioni "organizzative" non sarebbe stata in alcun modo prevista ma soltanto prevedibile quale conseguenza anomala ma non eccezionale del concordato programma criminoso (cfr. Cass. Sent.

N.39339 del 2009). Quanto alla ardita ipotesi sviluppata nel secondo motivo, per la quale la "invenzione" della presenza della cassaforte nella villa D. avrebbe la idoneità a evidenziare la certezza, sussistente nell’animo del propalante B., che quegli strumenti di scasso – inidonei a qualsiasi effrazione di cassaforti – sarebbe stati usati per torturare a morte gli occupanti la villa, essa appare di evidente implausibilità anche allo stesso fine divisato dal ricorrente P.M., quello di accreditare una concreta prevedibilità dell’esito omicidiario della intrusione nella villa stessa.

Il ricorso del difensore dell’imputato S.N..

7 – Il ricorrente, nell’articolato primo motivo, ha lamentato vizi di motivazione in relazione a diverse questioni dibattute, secondo profili che si esaminano partitamente:

– Quanto alla censura sulla valutazione di complessiva credibilità delle dichiarazioni rese dal B., che sarebbe minata nella sua plausibilità dalle riconosciute numerose contraddizioni (pur tacciate di irrilevanza con mera formula di stile), la doglianza non porta ad emergere nella sintetica ma chiara motivazione (pagg.32-33- 34) alcuna lacuna nè alcuna contraddizione, ma soltanto una valutazione che il ricorrente, inammissibilmente in questa sede, mostra di non condividere.

– In ordine alla questione del tipo di reato progettato (non essendo, ad avviso del ricorrente, probatoriamente giustificato l’assunto, ritenuto valido dalla Corte di merito, circa l’eventualità dell’uso della violenza per convincere le vittime a parlare) non si scorge contraddizione di sorta: una volta previsto il programma alternativo di consumare un furto ovvero, plausibile essendo la presenza di personale di servizio in una abitazione quale la villa in questione, di una rapina, la disponibilità degli attrezzi o strumenti di scasso atti alla effrazione non poteva non valere anche per ledere o quantomeno minacciare il personale stesso assicurandosi in tal modo il profitto del furto o la via di fuga.

In ordine al ritenuto preventivo accordo sul reato progettato la censura evidenzia come illogico l’asserto della Corte posto che, se si era preventivato di usare la violenza, non era certo necessario che il L., delinquente abituale già protagonista di reati contro il patrimonio, ritenesse di chiamare lo S. per avere indicazioni sul da farsi: la doglianza appena sintetizzata non appare prospettare questione rilevante, posto che la telefonata di L. allo S. ben poteva avere – più che incongrue finalità di richiedere chiarimenti "tattici" sul modus operandi della violenza in atto – la assai plausibile finalità di informare l’interlocutore sugli scarsi risultati "informativi" della violenza stessa: ed al proposito la Corte, con attenta e mai illogica valutazione (pagg. da 37 a 39), ha coniugato il ruolo dello S. di "ideatore" della rapina in villa e di addetto al trasporto degli esecutori, con quello di interlocutore di L. in svariate telefonate occorse proprio nell’arco temporale della consumazione della aggressione omicidiaria, per concludere che, assolutamente ragionevole essendo presumere che il L. avesse in tali telefonate informato lo S. sulla permanente "non collaborazione" dei poveri torturati, lo S. avesse esplicitamente o con il suo significativo silenzio rafforzato l’intento dei due aggressori di completare, sino all’esito finale, la brutale azione in atto.

In ordine alla valutazione del tipo di armi utilizzate, chiaramente essendo destinate quelle portate dal L. a forzare finestre e cassaforte – e quindi alla consumazione di un furto – si prospetta come illogica l’affermazione che esse potessero servire a quelle violenze alle persone da costui poi con esse commesse (così come peraltro si era argomentato nell’esame della posizione del B.): non si scorge alcuna illogicità nè contraddizione, posto che per il B. la disponibilità degli arnesi rendeva soltanto prevedibile l’esito violento ed omicidiario della concordata rapina mentre per lo S. il detto colloquio informativo rendeva la violenza sulle persone ben più che prevista ma direttamente conosciuta ed accettata.

– In ordine alla valutazione della rilevanza dei sopralluoghi, non ha ingresso la censura per la quale, anche per il loro numero, essi sarebbero stati chiaramente finalizzati alla perpetrazione di un furto e non già di una rapina: la proposta di valutazione vale solo quale inammissibile espressione di dissenso dalla plausibile iscrizione dei sopralluoghi nella logica esplorativa della preparazione di entrambe le alternative (ben essendo necessario tanto appurare i movimenti delle persone quanto l’accessibilità nell’immobile incustodito).

– Con riguardo, infine, alla valutazione (pagg. 14-16 ricorso) delle dichiarazioni del B. sul reato progettato, la pretesa contraddittorietà tra l’avere avvalorato la veridicità di tutte le dichiarazioni del predetto e non aver tratto le conseguenze da quelle stesse dichiarazioni relative al contegno posi factum dello S., appare mera affermazione difensiva posto che la sentenza riferisce a pag. 17 della questione posta dall’appellante ma non mostra di averne mai condiviso la premessa in fatto avendo seguito diverso itinerario valutativo che da quella questione prescindeva affatto.

7.1- Con il secondo motivo il difensore ricorrente ha lamentato vizi di motivazione in ordine alla ritenuta prevedibilità dell’evento omicidiario, avendo la Corte sostanzialmente considerato le sevizie e la morte non come esito di una progressione teleologica prevista o prevedibile ma come conseguenza di un fatto caratterizzato da eccezionalità, stante la indiscutibile alterazione psichica (per effetto di droghe assunte) dell’animo degli aggressori. Non si scorge alcuna incongruità argomentativa nell’avere la Corte indicato quale elemento di una consapevole partecipazione dello S. alla decisione omicidiaria, voluta o quantomeno accettata nel corso della lunga e crudele aggressione dei complici, la sua interazione telefonica, concitata ma ripetuta e protratta nel tempo, con il L., fornendo a costui, che lo informava per telefono della imprevista "laconicità" dei malcapitati custodi, il quadro dell’azione in atto (magari chiedendo allo S. quel che la sua mente obnubilata dalla droga, dalla eccitazione, dal sangue che già correva, non sapeva lucidamente suggerire) e da costui ricevendo o l’invito a concludere (come avvenuto) o, quantomeno, un silenzio eloquente della piena condivisione della condotta.

7.2- Con il terzo motivo il ricorrente difensore ha contestato la commissione di vizi motivazionali in ordine alla ritenuta condivisione da parte dello S. della condotta criminosa posta in essere dal L. essendo affermazione illogica e priva di autosufficienza sostenere che lo S. avesse condiviso la condotta di costui per ottenere lo scopo del delitto. La censura appare priva di alcuna consistenza, non scorgendosi alcun profilo di incongruità nella affermazione per la quale la piena consapevolezza e/o la piena accettazione dell’iter omicidiario in atto fosse insorta nello S. nel corso della concordata rapina.

7.3- Con il quarto motivo sono state prospettate analoghe censure nonchè denunzia di violazione dell’art. 192 c.p.p. in relazione al contenuto delle telefonate tra il L. e lo S., essendosi in sentenza descritte condotte antitetiche sul piano cronologico ed ontologico (prima affermando che lo S. avesse guidato le mani degli omicidi e poi affermando che lo S., dopo aver appreso dal L. che stava torturando le vittime, avesse atteso che il complice portasse a termine la sua azione); peraltro sarebbe stata la stessa Corte di merito a riconoscere la valenza meramente indiziaria dell’elemento costituito dalle ricordate telefonate circa le quali aveva altresì omesso di valutare specifica censura difensiva.

La censura non è condivisibile. La affermazione per la quale lo S. avrebbe "guidato le mani" degli aggressori è in sentenza (pag. 38) posta come espressione "colorita" volta ad indicare una delle due ipotesi sul ruolo dell’imputato, quella per la quale non poteva non essere che l’ideatore della rapina a dare stringenti indicazioni di concludere la violenta pressione fisica per conoscere il luogo dello sperato "tesoro", ipotesi subito seguita da quella, altrettanto ragionevole, di una silenziosa e connivente acquisizione tramite le telefonate di informazioni sullo "stato" dell’aggressione.

E che dal numero, dalla durata e dalla collocazione cronologica delle conversazioni tra le due utenze mobili (quella del L. e quella dello S.) fosse lecito arguire quantomeno l’esistenza di una piena e puntuale informativa sullo "stato" dell’aggressione è oggetto di un ragionamento inferenziale dei giudici del merito assistito da piena congruità logica e non fatto segno altro che ad irrilevanti espressioni di dissenso.

7.4- Con il quinto motivo il ricorrente ha lamentato, alle pagine da 23 a 30 del ricorso, vizi motivazionali sotto plurimi profili in ordine alle censure avanzate avverso le conclusioni della perizia medico-legale, altresì rilevando come si fosse omesso di vagliare e rispondere su alcuni rilievi difensivi. Il motivo, dopo una lunga e diligente trascrizione delle proprie censure poste in appello alle valutazioni del prof. M., relativamente alla omessa precisazione delle ragioni per collocare con esattezza la data del decesso dei coniugi P. a quella affermata dal perito, cerca di far emergere la rilevanza della contestata "fumosità" della sentenza, al proposito adducendo che la precisazione del momento del decesso sarebbe stata importante con riguardo al momento accertato delle telefonate tra L. e S.: ma la assoluta vaghezza di siffatta rilevanza, solo affermata tautologicamente e non correlata ad una prospettazione di precisi tempi incompatibili con le telefonate e con le conseguenze che da esse la sentenza ha tratto, rende la questione posta nella censura priva di alcuna decisività. 7.5- Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali in ordine alle formulate richieste difensive in punto di recidiva, circostanze aggravanti, attenuanti generiche e trattamento sanzionatorio, nulla la Corte avendo osservato al proposito e solo avendo formulato un laconico riferimento non esaustivo. La censura di laconicità del decisum della Corte di merito con riguardo alla attribuzione delle contestate aggravanti (definite "soggettive") di cui all’art. 577 c.p. e art. 61 c.p., nn. 1, 4 e 5 appare pienamente fondata, senza che alcuna integrazione con il richiamato decisum del primo giudice (anch’esso viziato da totale automaticità di attribuzione) valga a sanare la denunziata omissione, posto che dalla Corte di merito si sarebbe dovuta dare una pur sintetica ma completa e logica motivazione con riguardo alla posizione dello S., quale dalla Corte stessa rettamente individuata in termini di ruolo di concorrente nell’omicidio, per ritenere integrate a suo carico le aggravanti in discorso. Motivazione che, come detto e correttamente denunziato, è del tutto assente. Resta peraltro assorbita nell’effetto rescindente del relativo accoglimento la questione, nel motivo riproposta, della concedibilità delle attenuanti generiche, del rapporto tra aggravanti ed attenuanti e del complessivo trattamento sanzionatorio da applicare.

7.6- Con il settimo motivo il difensore ricorrente ha infine dedotto la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza ed in subordine omessa od illogica motivazione in ordine al contenuto delle istruzioni impartite dallo S. agli esecutori materiali. La censura non ha pregio, posto che, come emerso dalla trattazione dei precedenti motivi, la sentenza di appello ha solo attestato la sua valutazione sul ruolo dello S. nell’aggressione su ipotesi alternative di indiscutibile, e non validamente contestata, plausibilità, ben rimanendo all’interno del recinto di fatto e di diritto della contestazione e quindi nè commettendo la denunziata violazione dell’art. 521 c.p. nè incorrendo nella lamentata carenza di motivazione.

Il ricorso del difensore dell’imputato B.A.G..

8 – Con il primo motivo, dopo aver riepilogate le censure mosse con l’atto di appello e le argomentazioni poste dalla Corte veneziana a base delle sue statuizioni, il difensore ricorrente ha lamentato erronea applicazione dell’art. 116 c.p. e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ravvisata responsabilità dell’imputato in ordine agli omicidi, seppure a titolo di concorso anomalo: ad avviso del ricorrente i giudici del merito avrebbero assunto la prevedibilità dell’evento morte in modo del tutto astratto e non alla luce di tutte le circostanze del caso concreto -quali poste in evidenza dalla difesa (ed enumerate a pagg. 23-24 del ricorso)- così come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità e come peraltro correttamente sostenuto in premessa dalla stessa Corte, e sarebbero finiti per equivocare tra causalità materiale e causalità psichica.

Il motivo prospetta con accuratezza e plausibilità ragioni di fatto che avrebbero potuto condurre i giudici del merito a non ritenere prevedibile l’esito omicidiario della concordata rapina (l’assenza dei padroni di casa – l’ignoranza della presenza di personale di servizio – la notoria avidità del L. etc.) ma si tratta, come appare chiarissimo, di dati nè certi nè conducenti. Ed infatti, il motivo si duole del fatto che la prevedibilità non sarebbe stata apprezzata secondo le circostanze concrete disponibili dall’uomo medio, ma non considera che le circostanze concrete offerte ai punti da 1 a 7 delle pagine 23 e 24 del ricorso sono solo personali ricostruzioni dei fatti date dal difensore: non si scorge, in verità, da quale quadro di fatto potesse risultare la certezza che la villa fosse disabitata nè che non esistesse ivi (con la nota agiatezza del proprietari) personale di guardiania quantomeno in Agosto, nè tampoco si scorge su quali basi il B. avrebbe potuto scambiare la pavidità del L. con la sua innocuità (vieppiù sapendolo dedito agli stupefacenti) od ignorare che scalpelli, punteruoli e quant’altro ben posso essere utilizzati in modo…..improprio. La Corte di merito ha invece valutato come dati concreti quelli che riteneva assurgessero a livello di certezza e su di essi ha costruito un giudizio di prevedibilità, concreta ed ex ante, che pienamente risponde ai canoni delineati da questa Corte (cfr. ex multis Cass. sent. n.39339 del 2009).

8.1- Con il secondo motivo il difensore ricorrente ha dedotto contraddittorietà della motivazione laddove si era in sentenza ritenuta provata la partecipazione del B. alla progettazione del furto o della rapina, pur senza tenere conto delle dichiarazioni non credibili del L., sulla base delle asserite dichiarazioni confessorie dell’imputato il quale invece, come risultava dai suoi interrogatori, aveva soltanto affermato di essersi limitato ad indicare su esplicita richiesta dello S. quale fosse l’abitazione dei suoi datori di lavoro e di avere in seguito capito, ma senza con ciò partecipare in alcun modo al progetto, che lo S. ed il L. avevano in mente di derubare i suoi padroni.

Ove poi si fosse ravvisata una qualche sua partecipazione per avere l’imputato acconsentito all’utilizzo della propria auto risultava comunque che lo stesso aveva sempre pensato alla consumazione da parte dei suoi amici di un furto (nulla rilevando il riferimento in un interrogatorio ed in una sola occasione ad una rapina attesa la sua ovvia non padronanza di termini tecnici). La doglianza è priva di consistenza essa risolvendosi nel tentativo di proporre una diversa valutazione dei dati sui quali la Corte di Venezia ha costruito la sua valutazione di piena condivisione, da parte del B., del progetto di accedere alla villa dei suoi padroni, avvalendosi della automobile che egli al proposito rendeva disponibile, per derubare i proprietari anche vincendo con la forza le resistenze di eventuali occupanti. La sentenza, con sintetica ma chiara e mai illogica motivazione, ha ben indicato le ragioni sulle quali si basava la propria valutazione di pieno concorso dell’imputato nella decisione di apprestare ed eseguire la spedizione nella villa dei D. in (OMISSIS), sicchè le odierne doglianze appaiono solo inammissibili tentativi di operare una diversa valutazione.

8.2- Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto erronea applicazione di legge e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta estensibilità nei confronti del B. della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 4, pur dopo ravvisato il concorso anomalo e nonostante la natura soggettiva di tale aggravante, senza inoltre procedere alla valutazione della sua possibile estensibilità alla luce dei criteri di cui all’art. 59 c.p. comma 2. La censura merita piena condivisione. Solo che si ponga mente alla portata dell’aggravante in discorso, consistente nella intenzionale, malvagia ed ingiustificabile crudeltà che l’autore del delitto infligge alla sua vittima (cfr. Cass. sent. n.25276 del 2008), dovrà convenirsi sul fatto che, se essa appare estensibile al concorrente che dia volontaria adesione all’evento con il proprio contributo (cfr. Cass. sent. n.6775 del 2005), di essa, come affermato per la inestensibilità di altre aggravanti soggettive (cfr. Cass. sentenze n. 12875 del 2009 e n.48219 del 2003), non è predicabile alcuna applicazione alla ipotesi del concorso anomalo nella quale l’attribuzione dell’evento a detto concorrente non avviene certo sulla base del dolo ma solo della colpa cagionata dalla (sopra rammentata) prevedibilità dell’evento ulteriore ed al quale quindi non può essere ascritto altro che il possibile evento omicidiario e non certo le sevizie e crudeltà che il concorrente- autore abbia di sua iniziativa inflitto alla vittima. Per tale statuizione va quindi, come chiesto, annullata la pronunzia.

8.3- Con il quarto motivo si sono dedotte erronea applicazione di legge e contraddittorietà della motivazione in punto di conferma dell’entità della pena pur dopo l’accoglimento di due elementi favorevoli, e ciò in palese violazione del divieto della reformatio in peìus. Ritiene il Collegio che, ben prima della plausibilità della censura sulla contestata decisione di conferma della Corte di merito (fondata sul recente indirizzo di cui alla sentenza n.24895 del 2009), debbasi rilevare come, con l’accoglimento della censura sulla estensione al B. della (sola) aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 4, essendo stata esclusa quella di cui all’art. 61 c.p., n. 1, non vi è più margine per il formulato giudizio di "non prevalenza" delle due attenuanti rispetto all’aggravante sicchè la rideterminazione del trattamento sanzionatorio assorbe anche la questione posta con il motivo in disamina.

8.4- Con il quinto motivo infine si è lamentata la mancanza di motivazione sulla censura attinente al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 114 c.p.. La censura non è condivisibile posto che da tutto l’impianto motivazionale, che vede stagliarsi con chiarezza il ruolo decisivo del B. nella ideazione e progettazione della rapina nella villa dei suoi datori di lavoro e nell’apprestamento dell’indispensabile mezzo di trasporto, emerge la impossibilità di ipotizzare a suo beneficio un ruolo di assoluta "marginalità".
P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle aggravanti ed al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sui punti anzidetti ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Venezia. Rigetta nel resto i ricorsi degli imputati e condanna gli stessi alla refusione delle spese sostenute nel presente giudizio, che liquida nella somma complessiva di Euro 4.200 oltre spese generali, IVA e CPA a favore delle parti civili difese dall’avv. Jacobi Maurizio e nella somma complessiva di Euro 3.000 oltre spese generali, IVA e CPA a favore della parte civile difesa dall’avv.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *