Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01-12-2010) 11-03-2011, n. 10120 reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Napoli confermò il decreto del Gip del tribunale di Napoli del 14.1.2010, che aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni di P.G., tino alla concorrenza di Euro 428.385,00, in relazione al reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, per non avere versato nei termini previsti le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti di imposta per l’anno 2007.

L’indagato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione dell’art. 322 ter cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al requisito della impossibilità di procedere a sequestro del prezzo o del profitto del reato, impossibilità sulla quale la motivazione è meramente apodittica.

2) illegittimità costituzionale dell’art. 322 ter cod. pen. e L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 143, comma 1, nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria per equivalente anche per i reati tributari di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in riferimento agli artt. 23 e 25 Cost., sotto il profilo della duplicità della sanzione e della violazione del principio di legalità. Osserva che la confisca obbligatoria per equivalente costituisce una sanzione penale e non una misura di prevenzione. Di conseguenza, stante l’autonomia tra il processo penale e quello tributario e la mancanza di una disposizione che eviti la confisca quando il danno erariale sia venuto meno a seguito del pagamento delle imposte evase, si determina il contestuale operare di due sanzioni per il medesimo presunto illecito, con violazione del principio di legalità. Ed invero il processo penale non interrompe il procedimento amministrativo volto alla riscossione dell’importo delle ritenute che si assumono non versate.

3) illegittimità costituzionale del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis per ingiustificata disparità di trattamento, per irragionevolezza, per violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Osserva che il reato in esame si configura solo per le ritenute risultanti dalla dichiarazione rilasciata dal sostituto al sostituito. Ora il reato sanziona una condotta che si realizza in un momento diverso da quello relativo alla dichiarazione, fulcro del sistema del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. In secondo luogo, la norma attribuisce rilievo all’indebito trattenimento delle ritenute a prescindere dalla loro natura tributaria, diversamente dalle altre condotte previste nel testo normativo che riguardano il settore delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Vi è quindi un trattamento deteriore del sostituto d’imposta rispetto alle altre tipologie di reato tributario. Tutte le altre condotte del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono poi la specifica direzione della volontà al fine di evadere le imposte o consentire a terzi l’evasione, mentre nel reato in questione non si richiede tale specifico fine. Quindi, è con figurabile il reato anche per l’imprenditore che omette il versamento delle ritenute per una contingente crisi finanziaria e per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso i fornitori. Si verifica inoltre una disparità di trattamento rispetto al soggetto che non rilascia al sostituito alcuna certificazione, per il quale non è applicabile il reato in questione sebbene la condotta sia maggiormente pericolosa. Allo stesso modo risultano escluse dal reato le condotte consistenti nel rilascio di una certificazione mendace, perchè riportanti somme inferiori. Inoltre non si comprende perchè sia penalmente rilevante il mancato pagamento di un debito per imposte sostitutive dovute dal sostituto e non anche il mancato pagamento di un debito Irpef o Iva anche se di importo superiore.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta che non sussiste la prova del presupposto necessario per disporre il sequestro per equivalente, ossia della impossibilità di aggredire direttamente il prezzo o il profitto del reato. Il motivo è manifestamente infondato perchè, come esattamente rilevato dal tribunale del riesame, nella specie si tratta non di positiva acquisizione di denaro o di altre utilità, bensì di omesso versamento delle somme dovute, cosicchè è impossibile oggettivamente rinvenire un qualsiasi bene direttamente collegato al reato. Il sequestro per equivalente, pertanto, poteva essere legittimamente disposto.

Con il secondo motivo si eccepisce la illegittimità costituzionale dell’art. 322 ter cod. pen. e L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 143, comma 1, nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria per equivalente anche per i reati tributar di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in riferimento agli artt. 23 e 25 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di legalità e della duplicità della sanzione perchè, costituendo la confisca obbligatoria per equivalente una sanzione penale, qualora il danno erariale venga meno a seguito del pagamento delle imposte evase, si determinerebbe il contestuale operare di due sanzioni per il medesimo illecito. La proposta questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata essendo inesatto il presupposto, su cui essa si basa, della possibile duplicità di sanzioni. Ed infatti, la confisca per equivalente – quale che sia la sua natura giuridica – ha la finalità di impedire che l’impiego economico dei beni di provenienza delittuosa possa consentire al colpevole di garantirsi il vantaggio che era oggetto specifico del disegno criminoso. La determinazione del profitto suscettibile di confisca coincide, quindi, con l’ammontare della imposta evasa. Pertanto, la sanatoria della posizione debitoria con l’amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca.

Ne consegue che la restituzione all’erario del profitto derivante dal reato elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca. In caso contrario si avrebbe appunto una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato dal reato.

Con il terzo motivo si eccepisce la illegittimità costituzionale del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, in riferimento all’art. 3 Cost., per ingiustificata disparità di trattamento, per irragionevolezza, per violazione del principio di eguaglianza. Anche tale questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata perchè: a) l’art. 10 bis cit. sanziona una condotta diversa ed autonoma rispetto alle altre condotte previste dal medesimo testo legislativo, ed in particolare rispetto alla dichiarazione rilasciata dal sostituto, sicchè è irrilevante che tale specifica condotta si realizzi in un momento diverso dalla dichiarazione; b) per lo stesso motivo è irrilevante la circostanza che la specifica disposizione in questione, diversamente dalle altre dello stesso testo legislativo, attribuisca rilievo all’indebito trattenimento anche di ritenute non aventi natura tributaria e che, conseguentemente, non sia richiesta la specifica finalità di evadere le imposte o consentire a terzi l’evasione; c) la previsione di uno specifico reato per il mancato pagamento di un debito per imposte sostitutive dovute dal sostituto e non anche per il mancato pagamento di un debito Irpef o Iva anche se di importo superiore non costituisce un esercizio manifestamente illogico del potere legislativo, trovando giustificazione nel profilo di indebita appropriazione di somme altrui di cui si ha la detenzione; d) quest’ultimo rilievo dimostra anche come non sia manifestamente irrazionale il mancato rilievo di impreviste difficoltà economiche, nonchè la mancata specifica previsione – nell’ambito di applicazione della disposizione in esame – del caso in cui non sia rilasciata al sostituto alcuna certificazione o del caso di rilascio di certificazione mendace.

Le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale vanno quindi dichiarate manifestamente infondate, mentre il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara manifestamente infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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