Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-11-2010) 11-03-2011, n. 9882 lavoro subordinato stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Cagliari confermava la sentenza emessa in data 19 novembre 2008 dal Tribunale di Orestano, che aveva condannato M.S. alla pena di tre mesi di arresto e Euro 5.000 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, accertato il (OMISSIS).

La sentenza di primo grado era stata appellata sia dal Procuratore generale, per l’entità della pena, sia dall’imputato che contestava la sussistenza del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo e in subordine chiedeva una riduzione della pena.

A ragione del rigetto di entrambe le impugnazioni, la Corte d’appello osservava che l’imputato aveva occupato alle sue dipendenze, quale autista, il cittadino (OMISSIS) V.C. che era privo di permesso di soggiorno per motivi lavorativi, avendo ottenuto soltanto un breve permesso di soggiorno turistico dal (OMISSIS), Non risultava d’altronde alcun rinnovo di tale permesso e non rilevava la circostanza che lo straniero fosse stato assolto dal procedimento a suo carico per violazione all’ordine di espulsione. La pena era quindi nel complesso da ritenere adeguata.

2. Ricorre l’imputato a mezzo del difensore avvocato Uras Anna Maria, che chiede l’annullamento della sentenza denunziando:

2.1. violazione dell’art. 584 c.p.p. e nullità del procedimento di secondo grado, per omessa notificazione al ricorrente dell’appello del Procuratore generale;

2.2. violazione della legge processuale e incompletezza dell’istruzione dibattimentale, sul rilievo che risultava che lo straniero aveva inoltrato il 17.6.2003 richiesta di rinnovo del suo permesso di soggiorno presso la Questura di Milano e l’imputato l’aveva assunto alle proprie dipendenze nella convinzione che lo straniero si trovasse regolarmente nel territorio dello Stato; il Giudice di primo grado aveva disposto accertamenti presso la Questura di Milano in ordine alla richiesta di rinnovo, ma nonostante detta Questura non avesse dato risposta alla richiesta, il giudice di primo grado, senza revocare l’ordinanza istruttoria, aveva pronunziato sentenza di condanna giustificando la sua decisione soltanto in base alle (frettolose) informazioni fornite dalla Questura di Orestano, che evidentemente non era a conoscenza della reale situazione dello straniero; i giudici del merito avevano errato nel non considerare che era possibile impiegare un cittadino extracomunitario anche in pendenza della richiesta di rinnovo del permesso e che il Tribunale di Bergamo aveva assolto il V. dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter proprio perchè era regolarmente impiegato ed era in attesa del rinnovo del permesso;

2.3. violazione della legge sostanziale e vizi di motivazione in relazione alla sussistenza del reato anche sotto il profilo soggettivo, perchè non era stato considerato che la società del ricorrente aveva assunto lo straniero con contratto regolare, adempiendo a tutti gli oneri previdenziali, contributivi ed assicurativi; la sentenza del Tribunale di Bergamo consentiva di ritenere che la permanenza del V. sul territorio italiano era legittima ad ogni effetto; dall’informativa della Questura di Orestano emergeva inoltre che nel 2008 il V. era stato denunziato a piede libero per guida senza patente, sicchè anche il suo mancato arresto consentiva di ritenere che avesse un permesso di soggiorno.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo è infondato. E’ principio consolidato che l’omessa notificazione alle parti private dell’atto di impugnazione del pubblico ministero non causa la nullità degli atti del giudizio così instaurato, ma impedisce semmai la decorrenza del termine per la proposizione dell’impugnazione incidentale delle parti private, ove consentita (Sez. 2, n. 16891 del 11/04/2007, Rv. 236657, Paglino). Ora nel caso in esame l’imputato, che aveva già proposto appello in via principale, non soltanto non ha dedotto l’esistenza di un suo interesse a proporre anche impugnazione incidentale, ma detto interesse appare, ora per allora, in radice da escludere, atteso il rigetto dell’appello del Pubblico ministero.

2. Infondate sono da ritenere anche le censure che attengono alla sussistenza del fatto-reato dal punto di vista oggettivo.

L’occupazione quale lavoratore dipendente, a tempo determinato o indeterminato, di un cittadino extracomunitario è legittima soltanto se quest’ultimo è titolare di un permesso di soggiorno a fini lavorativi. Il permesso, sempre a fini lavorativi, deve essere validamente rilasciato e deve coprire l’intera durata del rapporto:

l’unica (apparente) eccezione prevista riguarda la situazione di permesso lavorativo scaduto per il quale sia stato tempestivamente avanzata richiesta di rinnovo. Sicchè l’esistenza di un permesso turistico, pur rinnovato o per il quale sia avanzata richiesta di rinnovo, non legittimerebbe comunque l’assunzione e l’occupazione.

Ciò posto, è evidente che l’ordinanza istruttoria, rivolta ad acquisire notizie dalla Questura di Milano circa la esistenza di un permesso di soggiorno a fini lavorativi è stata implicitamente ma inequivocabilmente revocata atteso il rilievo dato nella sentenza di primo grado alle informazioni acquisite dalla Questura di Oristano, a seguito della richiesta contemporaneamente rivolta ai due Uffici periferici.

Plausibilmente, quindi, la risposta della Questura di Orestano è stata ritenuta data all’esito di interrogazione della banca dati nazionale e la esaustività, al fini del decidere, delle informazioni così acquisite, dalle quali emergeva che mai nessun permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stato concesso al V., esclude che possa ravvisarsi la denunziata carenza in punto di accertamenti probatori e l’insussistenza del reato sotto il profilo oggettivo.

3. Il ricorso appare invece fondato quanto alla denunziata insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

3.1. In fatto, è pacifico, tanto risultando dalla sentenza di primo grado, che lo straniero occupato dal ricorrente aveva esibito all’atto del controllo della polizia stradale effettuato il 21 dicembre 2005, le sue buste paga dal marzo 2004 al dicembre 2005 e CUD. La difesa afferma che era stato dimostrato altresì il totale assolvimento degli oneri previdenziali, contributivi ed assicurativi, e le sentenze di merito non confutano tale assunto, che appare anzi del tutto verosimile attesa la attestata esibizione del CUD (certificato dei redditi da lavoro dipendente) rilasciato dall’imputato quale datore di lavoro.

Il ricorrente, insomma, aveva regolarmente denunziato l’occupazione dello straniero e assolveva tutti i suoi oneri retributivi, contributivi e previdenziali.

Giustamente, perciò, la difesa ha osservato che tale situazione imponeva quantomeno un dubbio ragionevole sul fatto che l’imputato fosse consapevole della irregolarità della permanenza dello straniero nel territorio italiano.

3.2. Il punto è stato completamente trascurato dalla sentenza di secondo grado che ha (implicitamente) aderito all’impostazione, fatta propria dal Tribunale (con sentenza del 19 novembre 2008) mediante il richiamo di sez. 1 n. 37409 del 25.10.2006, che "la responsabilità del datore di lavoro che assume alle proprie dipendenze uno straniero privo del permesso di soggiorno non è esclusa dalla buona fede invocata per aver preso visione della richiesta di permesso di soggiorno avanzata dallo straniero" (Rv. 235083).

Sennonchè tale sentenza, e le molte conformi, partivano dall’assunto che la natura contravvenzionale del reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma, 5, oggetto di contestazione, lo rendeva punibile anche a titolo di colpa, non elisa dal credito prestato in buona fede alla situazione rappresentata dalla persona impiegata, in difetto della doverosa verifica della sua veridicità (così esplicitamente, tra molte Sez. 1, Sentenza n. 8661 del 08/02/2005, Pace).

3.3. I giudici del merito non hanno però considerato che il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 5, comma 1 ter, convertito in L. 24 luglio 2008, n. 125 – volendo reprimere più gravemente il reato e sostituendo la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno e dell’ammenda di Euro 5.000 per ogni lavoratore impiegato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di Euro 5.000, sempre per ogni lavoratore impiegato – ha trasformato la contravvenzione in delitto.

Ciò comporta, ex art. 42 c.p., comma 2, che il fatto è ora punito solamente se commesso con dolo, non essendo nulla di diverso espressamente preveduto dalla norma incriminatrice. L’intervento normativo del 2008 ha reso per conseguenza penalmente irrilevante la responsabilità colposa, risolvendosi, per tale ipotesi, in una abolizione parziale della fattispecie previgente.

Ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2, anche le condotte pregresse, di impiego di stranieri privi del permesso di soggiorno valevole a fini lavorativi, possono dunque essere tuttora punite solamente se dolose;

fermo, a mente medesimo art. 2, comma 4, che ad esse resta applicabile il trattamento sanzionatorio previgente, più favorevole (e quindi la pena dell’arresto e dell’ammenda).

4. Deve concludersi che l’errore, ancorchè colposo, del datore di lavoro sul possesso di regolare permesso di soggiorno da parte dello straniero impiegato, cadendo su elemento normativo integrante la fattispecie comporta l’esclusione della responsabilità penale. E alla stessa conclusione deve pervenirsi, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, quando, come nel caso in esame, le circostanze di fatto non consentono di escludere l’esistenza di un ragionevole dubbio su tale errore.

5. La sentenza impugnata deve per l’effetto essere annullata senza rinvio perchè il fatto non costituisce (più) reato.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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