Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-11-2010) 11-03-2011, n. 9879 Armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1.- Con Sentenza in data 13.01.2010, depositata il 13.4.2010, la Corte di Assise d’Appello di Bologna , confermava la sentenza 4.2.2009 del GUP del Tribunale di Bologna che in esito al processo celebrato con il rito abbreviato, aveva condannato T.A. (alias C.E.) alla pena di anni 14 e giorni 20 di reclusione per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, cui A): art. 110 c.p., art. 628, c.p., commi 1 e 2 e comma 3, n. 1;

B) artt. 110 e 575 c.p., art. 576 c.p., comma 1 n. 1; C) art. 110 c.p., L. n. 110 del 1975, art. 4, commi 2 e 4, con la concessione delle attenuanti generiche, e D.T.D. alla pena di anni 1, mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 628 c.p., commi 1 e 2 e comma 3, n. 1, con le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, e ad anni 7 e mesi 4 di reclusione con le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 116 c.p., per il delitto di cui agli artt. 110 e 575 c.p., art. 576 c.p., comma 1, n. 1.

La vicenda, quale esaminata dai giudici di merito, era la seguente: a seguito di segnalazione telefonica anonima personale della Polizia di Stato e del 118 rinvenivano nei pressi dell’Hotel (OMISSIS) il cadavere di un giovane che giaceva prono e presentava una ferita da arma da taglio al torace. Poco dopo le 6,37 giungeva sul posto tale K.A., identificato con il nome di B.A. di nazionalità (OMISSIS), il quale riferiva di essere l’autore della telefonata e di avere assistito all’omicidio del suo amico e connazionale E.M., con il quale condivideva l’attività di spaccio al minuto di stupefacenti. Il seguito delle indagini consentiva di appurare che la sera precedente, mentre il K. e l’ E. si trovavano nel parcheggio di via della (OMISSIS), zona di spaccio abituale, vicino al chiosco di generi alimentari gestito da M.A., anche egli cittadino marocchino, l’ucciso era stato avvicinato da una persona di origine magrebina, scesa da una macchina di piccole dimensioni, probabilmente una Ford KA, con a bordo altri tre uomini, che gli aveva chiesto della cocaina per un valore di circa Euro 330.

Poichè E.M. non aveva la disponibilità dello stupefacente, per procurarlo saliva a bordo dell’auto con la quale era arrivato l’acquirente e si allontanava; aggiungeva il K. che poco dopo, avendo saputo dal gestore del chiosco di alimentari che l’acquirente in compagnia del quale il suo amico si era allontanato in macchina era un tunisino pericoloso, chiamava al telefono mobile l’ E. avvisandolo di stare in guardia e venendo da questi tranquillizzato. Successivamente K., mentre tornava nella fabbrica dismessa di "(OMISSIS)", ove generalmente dormivano sia lui che E.M., scorgeva quest’ultimo che discuteva animatamente con la persona che prima gli aveva chiesto la cocaina chiedendogli il pagamento del prezzo pattuito, vedeva quindi il tunisino spruzzare del liquido urticante sul volto dell’amico che afferrava il bavero dell’interlocutore insistendo per essere pagato.

Subitaneamente il tunisino estraeva un coltello con il quale colpiva la vittima al torace, il feritore si girava, quindi, verso di lui facendo il gesto di avvicinarglisi, sempre armato del coltello. Egli si dava alla fuga ma poi, visto l’accoltellatore allontanarsi a bordo della macchina dei suoi amici, che durante lo svolgimento dell’episodio era ferma nella vicina (OMISSIS) con tre persone a bordo, si avvicinava all’ E. che era ancora vivo e domandava aiuto e, dopo aver chiesto inutilmente l’intervento di alcuni extracomunitari che erano nella fabbrica abbandonata, chiamava il 113. Dall’autopsia era emerso che la vittima era stata colpita al cuore con una sola coltellata infetta dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra. Le successive indagini, articolate attraverso i primi riconoscimenti fotografici, l’esame di tabulati telefonici, l’audizione di testimoni, portavano all’individuazione dei due imputati alla quale conseguiva il riconoscimento, sia in primo che in secondo grado della loro penale responsabilità in ordine ai reati come loro ascritti.

1.2.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori di entrambe gli imputati.

1.3.- Il difensore di T.A. (alias C.E.) in relazione ai seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 125 c.p.p. e art. 111 Cost., perchè la sentenza impugnata difetta di motivazione relativamente al mancato accoglimento dei motivi di appello o comunque interpreta erroneamente gli stessi.

Il giudice d’appello, senza peraltro argomentare sui suddetti motivi, si è infatti limitato a riportare, riducendole in maniera superficiale e poco approfondita, le contraddizioni probatorie della difesa, definite infantili ripicche, riportandole solamente per valorizzare la sentenza di condanna.

2) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) quale emergente dalla ricostruzione dei fatti, delle modalità temporali e della concatenazione degli stessi effettuata dal giudice di appello. Questi ritenendo attendibili testi che palesemente non lo erano, senza esplicitare il ragionamento logico deduttivo che ha portato a tale giudizio di attendibilità, ovvero interpretando circostanze provate, ma non concludenti, secondo la ricostruzione già fatta propria dal giudice di primo grado, per aver omesso di riesaminare tali circostanze alla luce degli argomenti apportati dalla difesa, è caduta nel vizio di illogicità di motivazione sia sui singoli punti che nella complessiva argomentazione.

1.4.- Il difensore del D.T. in relazione ai motivi di seguito riportati:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), e per difetto, contraddittorietà della motivazione. Violazione dell’art. 192 c.p.p. ed omessa valutazione dell’intero complesso probatorio con riferimento a specifici atti processuali.

I giudici di merito non hanno infatti considerato alcuni dati obbiettivi, risultanti dagli atti processuali ed utilizzabili per effetto del rito in forma abbreviata, che interpretati globalmente avrebbero assunto una efficacia dimostrativa tale da incidere sulla loro decisione. In particolare le modalità dell’azione omicidiaria da parte del coimputato che, correttamente e logicamente valutate, non consentono di ritenere configurabile il concorso anomalo del D. T. nel delitto partendo dalla consuetudine dei due di perpetrare rapine in danno di spacciatori mediante l’uso di spray orticante. La occasionalità del ruolo del ricorrente nella concatenazione fattuale che portò alla commissione dell’omicidio esclude che egli abbia potuto rappresentarsi, in termini di prevedibilità, quanto poi concretamente verificatosi. Da censurare, in termini di completezza motivazionale e coerenza logica la ritenuta credibilità del teste A., il quale riferì della confessione stragiudiziale del D.T., nonchè la valenza attribuita al teste K..

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p., comma 1 e 2, nonchè art. 27 Cost.. Illogicità e contraddittorietà della motivazione art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

I giudici di merito hanno ridotto la pena applicata al D.T. in misura inferiore ad un terzo facendo riferimento al ruolo avuto da questi nel gruppo dei rapinatori e, soprattutto, all’elemento soggettivo del reato che è valutato prossimo al vero e proprio concorso; ciò senza tenere conto delle finalità rieducative della pena quali delineate dall’art. 27 Cost., comma 3, che riflettendosi sul meccanismo di cui all’art. 133 c.p. dovrebbero orientare il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena tenuto conto della gravità del reato e della personalità dell’imputato che, nel caso di specie, si sarebbe dimostrato ampiamente e decisamente collaborativo. Di più, l’accostamento tra gli istituti dell’art. 110 c.p., e dell’art. 116 c.p. ai fini della determinazione in concreto della pena irrogata viola il principio secondo il quale, pur in assenza di preciso dovere di analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, il giudice deve viceversa esplicare quelli resisi determinanti per la soluzione adottata assumendo come parametri di riferimento quelli enunciati dall’art. 133 c.p..

1.5.- Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto di entrambe i ricorsi.
Motivi della decisione

2.1.- I ricorsi sono infondati e devono, in conseguenza, essere rigettati.

2.2.- Il primo motivo a sostegno del ricorso del T. è palesemente infondato. Come premesso anche dalla Corte di assise di appello di Bologna il giudizio abbreviato trova fondamento giustificativo nella volontà delle parti che da vita, attraverso la richiesta dell’imputato e il consenso del pubblico ministero, ad un negozio processuale a mezzo del quale le parti stesse accettano che il giudizio sia definito sulla base degli atti già acquisiti, rinunciando a richiedere ulteriori mezzi di prova e consentendo ad attribuire agli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente privi nel giudizio che si svolge nelle forme ordinarie del dibattimento.

L’efficacia, in tale senso, della volontà delle parti è subordinata alla sola condizione che il giudice verifichi la sussistenza del requisito della definibilità allo stato degli atti e rende possibile l’applicazione della diminuente prevista dall’art. 442 c.p.p., comma 20, la cui ratto "risponde a una esigenza utilitaristica di sollecita definizione dei giudizi, proponendo all’imputato uno sconto secco della pena, già determinata, come premio della scelta dei rito abbreviato contro la rinunzia alle maggiori garanzie del dibattimento "(Cass., Sez. Un., 31 maggio 1991, Volpe, rv. 188523 e Cass., Sez. Un., 1312.1995 n. 00930, rv 2032427). Riguardo al materiale probatorio esaminato la Corte territoriale ha, quindi, congruamente e compiutamente argomentato in relazione al percorso logico attraverso il quale è pervenuta alla conclusione che la sentenza di primo grado andava confermata a fronte di motivi di appello che, nella sostanza, si concretavano in una ipotizzata, diversa ricostruzione dei fatti, in base alla quale, senza peraltro riscontro alcuno diverso dalle dichiarazioni non neutre dell’imputato, sarebbe stato il T. vittima di aggressione da parte dell’ E., spalleggiato da ignoti sodali. L’attendibilità dei testi esaminati, B. A., D.T., A.M. è stata ampiamente vagliata e la ricostruzione storica del fatto è coerente rispetto sia alle emergenze dichiarative, che alle altre risultanze quali: la evidente sproporzione di prestanza fisica tra i T. e la vittima; la presenza di capsaicina nella zona oculare riscontrata in sede di autopsia e di accertamenti sul cadavere; la modalità di realizzazione del fatto omicidiario incompatibile con il prospettato accecamento, o comunque con una menomata capacità di azione, derivante dall’uso da parte dell’ E. di uno spray orticante contro il T., bomboletta peraltro non rinvenuta sul luogo del delitto; la circostanza che l’imputato non fosse nuovo, unitamente al D.T. ad altro complice, tale B.R. presente anche in questa occasione, alla perpetrazione di rapine in danno di spacciatori con l’uso della violenza e di spray orticante.

2.3- Analoghe considerazioni devono essere svolte anche in relazione al secondo motivo di ricorso con il quale i vizi di motivazione denunciati si concretano, secondo l’esposizione difensiva, nella non corrispondenza delle argomentazioni della Corte d’appello alle ricostruzioni difensive degli accadimenti sostenute dall’imputato; di qui l’assunta inattendibilità delle dichiarazioni dell’ A., la non significanza della capsaicina rinvenuta nella zona oculare del cadavere laddove, invece, anche il T., dopo aver compiuto l’accoltellamento per difendersi dall’aggressione ed essere rientrato in macchina e solo allora, avrebbe avvertito bruciore agli occhi perchè l’ucciso aveva usato contro di lui lo spray orticante; sino ad arrivare a sostenere che non fu la violenza della coltellata che attinse la vittima alla parte sinistra del torace a determinare la morte, bensì che il coltello penetrò nel corpo, tanto da provocare l’apertura del cuore, a cagione non già della forza esercitata nel colpire, ma della elasticità della gabbia toracica del giovane accoltellato.

La motivazione della sentenza di appello su ciascuno dei singoli punti richiamati in ricorso appare del tutto congrua perchè ha logicamente ed esaurientemente confutato gli argomenti che costituiscono l’ossatura dello schema difensivo dell’imputato (Cass.;

Sez. 6, sent.26.9.2002, n. 1307, Rv. 223061; Cass., Sez. 4, sent.24.10.2005, n.1149, Rv. 233187, impropriamente richiamate in ricorso). Invero la ricostruzione difensiva che vede l’imputato reagire ad una aggressione dopo, che avendo già pagato la cocaina che intendeva acquistare gli era stato invece consegnato del bicarbonato, come ben evidenziato e correttamente argomentato dalla Corte territoriale, non solo contrasta con le dichiarazioni dei testi, in particolare del coimputato D.T., e anche dell’ Az. e dell’ A., ma è , altresì, inverosimile laddove prospetta l’avvenuto anticipato pagamento della cocaina prima ancora di aver verificato se fosse effettiva la disponibilità della medesima sostanza da parte di persona diversa dallo spacciatore al quale il T. si inizialmente era rivolto dopo averlo scorto per strada. Che al T. fosse stata consegnata la quantità di droga pattuita, e non bicarbonato, lo afferma D.T. che lo vide, dopo che E.M. lo aveva chiamato con un cenno lui era uscito dall’automobile, rientrare in macchina sporco di sangue e con la droga, che poi era stata consumata nell’abitazione di R..

Ed è sempre il D.T. che, anche autoaccusandosi di reati non prima disvelati, descrive come il modus operandi del R., del T. e suo stesso, fosse stato, in diverse occasioni, proprio quello di farsi consegnare della droga da piccoli spacciatori e, una volta entrati in possesso della sostanza, usare violenza e rendere inoffensivi i venditori con l’uso di spray orticante, per potersi allontanare senza pagare il prezzo. Sempre il D.T., infine, riferisce che il T. era già armato del coltello, che celava aperto nella manica del giubbotto, quando avvicinò la prima volta la vittima nel parcheggio di via della (OMISSIS), comportamento, questo, ampiamente disvelatore di una intenzionalità ben diversa da quella, prospettata difensivamente, di procedere ad un acquisto di droga previa corresponsione del prezzo concordato.

3.1- Ugualmente infondato è il ricorso del D.T.. Osserva il collegio con riferimento al primo motivo, che i presupposti del concorso anomalo quale previsto dall’art. 116 c.p., consistono nell’adesione dell’agente ad un reato concorsualmente voluto, la realizzazione da parte di altro compartecipe di un reato diverso e più grave, l’esistenza di un collegamento causale e psicologico tra l’azione del compartecipe al reato inizialmente voluto ed il diverso reato poi commesso dal concorrente, che deve essere prevedibile, in quanto logico sviluppo di quello concordato, senza peraltro che l’agente lo abbia effettivamente voluto o ne abbia accettato il rischio, perchè in tal caso vi sarebbe concorso ordinario ex art. 110 c.p. a titolo di dolo diretto od eventuale (ex plurimis, Cass. Sez. 5, Sent. 08/07/2009 n. 39339, Rv. 245152). La responsabilità concorsuale in questione resta esclusa soltanto se il reato ulteriore o diverso, si riveli un evento assolutamente non prevedibile per la sua eccezionalità rispetto alle circostanze che ne hanno determinato la commissione da parte del correo (Cass. 10.11.2006, n. 40156, Rv.

235449). Tanto premesso nel caso in esame i presupposti del concorso anomalo, come correttamente e motivatamente argomentato dai giudici di merito, sussistono tutti: il D.T. aveva progettato, per sua stessa ammissione, assieme al T., al R. e ad un altro complice rimasto ignoto, una rapina ai danni della vittima per procacciarsi dello stupefacente senza pagarlo e già in altre occasioni gli stessi complici avevano realizzato condotte analoghe.

Nell’episodio in esame si verificava, a differenza dei precedenti, per quel che è dato sapere, che il compartecipe incaricato di prendere la droga dallo spacciatore, oltre ad avvicinarsi a questo portando con sè una bomboletta di spray orticante, ha indosso, celato nella manica del giubbotto, un coltello aperto, pronto ad essere eventualmente adoperato, e si tratta di una circostanza che prima che l’evento rapina si verifichi, il D.T., come da lui stesso riferito, è ben in grado di conoscere ed apprezzare posto che vede materialmente l’oggetto sporgere dagli indumenti del T. mentre questi si appresta ad approcciare, nella prima fase dell’evento, la vittima designata e, ciò nonostante, partecipa anche alle fasi successive della perpetrazione della rapina tragicamente conclusasi. La Corte territoriale sul punto, pur manifestando dubbi circa l’effettiva configurabilità del concorso anomalo in luogo del vero e proprio concorso a titolo di dolo eventuale, in mancanza di appello conferma la decisione di primo grado, più favorevole all’imputato, respingendo con motivazione congrua e logicamente conseguente, siccome infondato, perchè in contrasto con le risultanze del processo e con le comuni regole di esperienza, l’assunto difensivo secondo cui il D.T. non poteva sapere che, nella successiva fase dell’evento, il T. detenesse ancora il coltello o fosse intenzionato a pagare la droga.

3.2- Infondato è anche il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di D.T.. Osserva in proposito il collegio come sia principio generale e consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base, ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale. Al di fuori di queste ipotesi il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato operati dal giudice di merito sono idonei a ritenere osservati e valutati, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferito dalla disposizione in ordine alla misura della pena irrogata (Cass. Sez, 2, sent. 26.6.2009, n. 36245, Rv.

245596; Cass. Sez.3. senti 1.3.2010 n.13210, Rv. 246820; Cass. Sez. 1, sent. 5.5.1995, n. 6677, Rv. 201537).

Nel caso di specie la piena collaborazione dell’imputato e la sua condizione di tossicodipendenza sono state congruamente valutate, secondo quanto argomentato dal giudice di appello, nel concedere le attenuanti generiche in prevalenza rispetto alle aggravanti e riguardo alla mancata concessione della massima diminuzione per il concorso anomalo nel delitto di omicidio, la Corte di assise di appello ha ritenuto, conformemente al giudice di primo grado e con giudizio sul fatto non sindacabile in sede di legittimità, che il ruolo svolto dall’imputato nel gruppo dei rapinatori e l’elemento soggettivo, componenti essenziali del giudizio in ordine alla adeguatezza della pena anche, e soprattutto, in relazione alla finalità di recupero educativo ad essa costituzionalmente sottesa, non consentissero di diminuire la pena nella misura più ampia quale prevista dagli artt. 65 e 116 c.p..
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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