T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09-03-2011, n. 419 Sospensione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1.Con ricorso notificato il 23/01/2006 e depositato il 13/02/2006 la S. s.p.a. impugnava i provvedimenti specificati in epigrafe, chiedendone l’annullamento previa sospensione, per i motivi di censura seguenti.

1)Violazione e falsa applicazione dell’art.51 della L. n. 142/1990, del T.U. n.267/2000, del D.Lgs. 259/03.Incompetenza assoluta, elusione dell’ordine del giudice, eccesso di potere, falso presupposto, travisamento dei fatti, omessa istruttoria, difetto di motivazione, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento di potere ed illogicità manifesta.

2)Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, e 10 della L. n.241/1990. Violazione del D.Lgs. 259/03, della L.n.36/01. Eccesso di potere, difetto di istruttoria, omessa e/o insufficiente motivazione.

3)Violazione del D.Lgs.259/03, dell’art.103 L.r. n.17/04, della L.36/01. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria. Violazione del giusto procedimento, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per contraddittorietà. Illegittimità derivata.

1.2.Si costituiva, con memoria depositata alla camera di consiglio del 03/03/06 il Comune di Comitini che sosteneva la legittimità degli atti impugnati e concludeva per il rigetto della domanda cautelare di sospensiva e per il rigetto nel merito del ricorso.

1.3.Con ordinanza collegiale n.278/06 veniva accolta la domanda incidentale di sospensione.

1.4. Alla pubblica udienza del 04 febbraio 2011 il ricorso veniva posto in decisione.

2. Il ricorso è fondato.

Col primo motivo di censura si deduce l’incompetenza del Sindaco ad adottare l’impugnata ordinanza di sospensione dei lavori e di rimessione in pristino dei luoghi, che spetterebbe invece ai Dirigenti, ai sensi dell’art.51 della L.n.142/1990, del quale, infatti, si deduce la violazione e falsa applicazione.

La censura va condivisa, in quanto dopo l’entrata in vigore della predetta legge (art. 51), non spetta più al Sindaco, ma ai Dirigenti degli Uffici e dei Servizi l’adozione di "tutti i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi… ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie", nonché di "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale" (art. 51, comma 2°); tale norma si applica pacificamente anche nella Regione Siciliana, in forza del suo recepimento disposto dall’art. 1 della l.r. 11.2.1991, n. 48, dall’art. 2 della l.r. 7.9.1998, n. 23 e, infine, dalla l.r. 23.12.2000, n. 30. La circostanza è, altresì, confermata dall’art. 6 della legge 15 maggio 1997, n. 127, contenente l’espressa previsione della competenza dirigenziale in tema di autorizzazioni e concessioni edilizie (comma 2, lett. f), che è stata recepita nell’ordinamento della Regione Siciliana con l’art. 2 della L.r. 7 settembre 1998, n. 23.

Di conseguenza al Sindaco spettano compiti che si esauriscono sul piano delle scelte urbanistiche ed edilizie identificantesi in atti di indirizzo e di controllo, mentre in capo ai Dirigenti comunali residua la competenza ad adottare atti singoli, privi del connotato della discrezionalità, quali rilascio, diniego ed annullamento delle concessioni edilizie (cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia – CT, Sez. I – 2514 – 10 dicembre 2002; n.72 – 27 gennaio 2004; n.915 15 maggio 2008).

Nella memoria difensiva del Comune resistente si obietta che si tratterebbe di ordinanza contingibile ed urgente, rientrante, come tale, nella competenza del Sindaco, ai sensi dell’art. 54 D.Lgs. 267/2000.

E’ sufficiente in contrario osservare da un canto che l’ordinanza di sospensione immediata dei lavori e di ripristino dello stato dei luoghi non fa alcun riferimento normativo all’esercizio di detto potere, dall’altro, che non ricorreva, comunque, alcuna delle situazioni di emergenza indicate nell’art.54, comma 2, del D.Lgs.267/2000 che rendono legittimo il ricorso a tale potere da parte del Sindaco, che lo esercita quale ufficiale del Governo.

La norma infatti riguarda " provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini ", situazione certamente non ravvisabile nella specie, trattandosi di semplice avvio di lavori per la realizzazione di una stazione radio base che, in ipotesi, avrebbe potuto formare oggetto di provvedimento del Responsabile del Servizio Tecnico che, difatti, ha poi adottato la determinazione n.106 del 24/11/2005, parimenti impugnata.

Il secondo motivo di censura deduce la violazione, tra l’altro, degli artt. 7, 8 e 10 della L. n.241/1990, in quanto la predetta determinazione dirigenziale – avendo ad oggetto un atto di secondo grado – avrebbe dovuto essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento.

La censura merita condivisione atteso che la comunicazione dell’avvio del procedimento – salvi i casi di comprovate esigenze di celerità – va sempre disposta quando l’amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado, di annullamento, di revoca o di decadenza (cfr. ex plurimis Consiglio Stato, sez. VI, 27 febbraio 2006, n. 821).

Nella specie si tratta invero di una determinazione di annullamento del silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione ex art. 87 D.Lgs.n.259/2003 e quindi di un atto di secondo grado, mentre non è desumibile dal provvedimento, né aliunde, una esigenza di celerità, per cui l’atto doveva essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, prevista dagli artt. 7 ed 8 della L. n.241/1990.

E’ fondato anche il terzo motivo si censura col quale si deduce l’illegittimità della determinazione dirigenziale n. 106 del 24/11/2005 derivata dalla norma del regolamento comunale sulla quale si basa (art.1, comma 1).

Ed invero, tale norma prevede che " L’installazione dei sistemi fissi e mobili delle telecomunicazioni, radiotelevisivi e di apparecchiature e dispositivi similari… può essere autorizzata a distanza non inferiore ad 1,5 Km dal perimetro del centro abitato "

La ricorrente deduce l’illegittimità di detta norma regolamentare, principalmente per violazione e falsa applicazione della L. n.36/2001, del D.Lgs.259/03, in quanto, in sintesi, la disposizione sarebbe finalizzata alla tutela della salute pubblica, in contrasto con le attribuzioni che la citata legge quadro n.36/01 riserva allo stato ed alle Regioni.

La tesi va condivisa alla stregua delle stesse argomentazioni giuridiche già svolte nella sentenza della Sezione n.1213 dell’08 luglio 2009 (confermata dal C.G.A. con decisione n.1448 del 2 dicembre 2010) e nella più recente n. 22 dell’11/01/2011, resa in fattispecie analoga alla presente e che possono perciò qui riaffermarsi.

Si deve anzitutto osservare, in linea generale, che a seguito dell’entrata in vigore del predetto d.lgs. n. 259/2003, recepito nella Regione Siciliana con l’art. 103 della l.r. 28 dicembre 2004, n. 17, le valutazioni urbanistiche edilizie sono assorbite nel procedimento delineato dall’art. 87 che prevede un unico procedimento autorizzatorio per l’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica. Procedimento che è finalizzato a garantire, tramite procedure tempestive e semplificate, la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione delle proprie reti di comunicazione sul territorio nazionale, nonché la osservanza di livelli uniformi di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche, stante che l’intento perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale è quello di consentire la installazione di stazioni radio base in forza di un unico provvedimento autorizzatorio, che deve essere rilasciato sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale che di tipo urbanistico (cfr. Corte Costituzionale, 28 marzo 2006, n. 129; 6 luglio 2006, n. 265).

Si deve poi considerare che, in presenza della specifica previsione di cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il quale assimila, ad ogni effetto, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, ed in assenza di specifiche previsioni, deve ritenersi che gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non sia soggetta a prescrizioni urbanisticoedilizie preesistenti, le quali si riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del territorio, nell’inconsapevolezza del fenomeno della telefonia mobile e, più in generale, dell’inquinamento elettromagnetico in generale. Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I, 13 febbraio 2002, n. 983, 20 dicembre 2004, n. 14908).

Pertanto – come si è già statuito in fattispecie analoga, con sentenza n. 9/08 del 09/01/08 – ancorchè il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa) in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero nel territorio comunale.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331/2003 ha, infatti, chiarito che nell’esercizio dei suoi poteri, il Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione, che pure il comune può fissare, in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001.

In particolare, il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura ediliziaurbanistica, adottare misure le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2006, n. 6994; TAR Sicilia – PA – Sez. I, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 06 aprile 2009, n. 661).

Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2002, n. 3095, 20 dicembre 2002, n. 7274, 14 febbraio 2005, n. 450, 5 agosto 2005, n. 4159; sez. VI, 1° aprile 2003, n. 1226, 30 maggio 2003, n. 2997, 30 luglio 2003, n. 4391; 26 agosto 2003, n. 4841, 15 giugno 2006, n. 3534).

Anche di recente il Consiglio di Stato ha precisato al riguardo che la potestà attribuita all’ente locale dall’art. 8 comma 6 l. n. 36 del 2001 di disciplinare "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione a campi elettromagnetici" deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione d’uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle immissioni elettromagnetiche), ma non può introdurre, come avvenuto nel caso di specie, un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate; tale previsione viene a costituire una misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, riservando, tuttavia, l’art. 4 l. n. 36 del 2001 alla competenza dello Stato, la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi uniformemente su tutto il territorio dello Stato(Consiglio Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557).

Va, ancora osservato che l’art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno "carattere di pubblica utilità", con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 5 luglio 2006, n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5096).

Orbene, nella fattispecie in esame l’impugnata norma regolamentare si risolve, sostanzialmente, in un generalizzato divieto di localizzazione di impianto UMTS (nell’intero perimetro del centro abitato) e nella introduzione di una distanza fissa (non meno di 1,5 Km da detto perimetro), sicchè la disposizione deve ritenersi illegittima e va annullata, unitamente – per illegittimità derivata – alla determinazione dirigenziale n. 106/2005.

3.Le spese del giudizio si possono compensare tra le parti, a ciò sussistendo giusti motivi, anche in relazione alla natura della controversia.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione i provvedimenti impugnati.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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