T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09-03-2011, n. 416 Aiuti e benefici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

l verbale;
Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe è impugnato il decreto n° 35 del 15 dicembre 2008 del dirigente del servizio XX dell’Ispettorato Provinciale Agricoltura di Trapani, con cui è stato disposto il recupero integrale del contributo già conseguito dalla ricorrente per la riconversione e ristrutturazione di un vigneto, unitamente alle informative prefettizie prot. n° 485, in data 21 aprile 2008, e prot. n° 670 in data 03/09/2007.

Per resistere al ricorso, si è costituita l’amministrazione intimata, che, con memoria depositata in vista dell’udienza di discussione, ne ha domandato il rigetto, con vittoria di spese.

Con ordinanza cautelare n° 329 del 20 marzo 2009, è stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati, sul rilievo della natura atipica delle informazioni prefettizie poste a base della revoca.

Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2011, sentiti i difensori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto per essere deciso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta illegittimità e nullità dei provvedimenti impugnati per violazione dell’obbligo di comunicazione avvio del procedimento.

Il motivo è infondato.

L’art. 7 L. n° 241/1990 sottrae al regime dell’avviso di avvio i provvedimenti di natura cautelare, quali, appunto, le informative antimafia ed i conseguenti provvedimenti di revoca.

A tal proposito, il Collegio condivide le statuizioni giurisprudenziali di ultima istanza, volte a rimarcare che:

"a) certamente non corrisponde allo scopo partecipativo, cui mira l’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, la comunicazione dell’avvio di un accertamento indagatorio in tema di contatti con la criminalità organizzata;

b) altrettanto negativamente va risolta la questione della previa conoscenza da darsi dell’avvio del procedimento di revoca in questione, dopo il compimento delle indagini. E ciò proprio per il carattere spiccatamente cautelare della misura, nella quale esso sfocia, e che fa rilevare quelle esigenze di celerità, che, nell’esplicita premessa dell’art. 7, comma 1, rendono giustificata l’omissione della notizia partecipativa altrimenti prescritta" (Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2006, n° 851; analogamente, Cons. Stato, Sez. VI, 25/09/2006, n° 5595; Cons. Stato, Sez. V, 29 agosto 2005, n° 4408).

A ciò si aggiunga che, in applicazione dell’art. 21octies della L.n° 241/1990, non è annullabile il provvedimento censurato per vizi procedimentali, quando il ricorrente non abbia indicato alcun elemento giuridicamente rilevante che, ove rappresentato in sede procedimentale, avrebbe potuto indurre l’amministrazione ad una diversa determinazione (conforme, Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 2009, n. 2737; Cons. Stato, Sez. IV, 21 maggio 2008 n. 2410; Cons. Stato, 10 dicembre 2007 n. 6525; Cons. Stato, 9 ottobre 2007 n. 5251; Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2006, n. 6194; Cons. Stato, Sez VI, n. 2763/2006; Cons. Stato, n. 4307/2006; Cons. Stato, Sez. IV, n. 3/1996; Cons. Stato, Sez. V, n. 283/1996; Cons. Stato, Sez. VI n. 2069/1999).

Nel caso sottoposto all’esame del Collegio, la ricorrente, per escludere i fattori di rischio evidenziati nelle informazioni prefettizie, avrebbe dovuto rappresentare circostanze conducenti, atte a dimostrare l’assenza di condizionamenti per l’attività economica beneficiaria del finanziamento, derivanti dalla frequentazione con il coniuge, sottoposto a misura di prevenzione e condannato per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, con sentenza confermata in parte qua in appello.

Viceversa, dall’atto introduttivo del giudizio e dagli atti di causa nessuna deduzione e prova è dato rinvenire in tal senso.

Da ciò deve inferirsi la correttezza della determinazione impugnata, stante che, in base all’id quod plerumque accidit, in mancanza di dimostrazione concreta quanto meno della fine della convivenza (elemento non dedotto da parte ricorrente neanche agli atti dell’odierno giudizio), è ragionevole attribuire rilievo alla comunanza di interessi insita e giuridicamente presunta nel rapporto di coniugio (conforme, Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, 26 ottobre 2010, n° 1324).

Quanto alla ritenuta nullità, è agevole rilevare che:

1) non sussistendo la patologia di violazione di legge asseritamente invalidante, nessuna sanzione può conseguirne per l’atto legittimo;

2) la comunicazione di avvio del procedimento non è un elemento essenziale dell’atto amministrativo e, come tale, la sua mancanza non determina alcuna nullità strutturale per difetto di elementi essenziali ai sensi dell’art. 21septies della legge n° 241/1990;

3) come è ormai pacifico in giurisprudenza, nel diritto amministrativo le ipotesi di nullità dell’atto sono tassative e rappresentano un numerus clausus, a differenza dell’ordinamento civile, in cui la nullità è una categoria generale (conforme, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2011 n. 676).

Il primo motivo va, quindi, respinto per infondatezza.

Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dei principi in materia di autotutela per mancato rispetto del legittimo affidamento.

Il motivo è infondato.

Il principio, di matrice comunitaria, della tutela dell’affidamento ingenerato da provvedimenti attributivi di posizioni di vantaggio, per un verso è fondato sul generale canone di tutela della buona fede, intesa in senso soggettivo, quale inconsapevolezza dell’esistenza di cause di illegittimità dell’atto, dall’altro incontra un limite, in materia di finanziamenti pubblici, nel principio cardine dell’ordinamento comunitario, della tutela della concorrenza tra operatori economici.

E’ di immediata evidenza, infatti, che l’attribuzione di risorse economiche pubbliche a soggetti non titolati a riceverle, a causa di legami di interesse o di sangue con ambienti riconducibili alla criminalità organizzata, introduce incontrollabili fattori distorsivi nel corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali di mercato, per l’abbassamento della soglia di guardia ordinamentale contro i rischi di contaminazione tra capitali leciti (oltretutto di provenienza pubblica) e capitali illeciti, incentivando implicitamente comportamenti elusivi, non infrequentemente attuati, per dato di comune esperienza, attraverso interposizioni fittizie nelle attività economiche, con tutte le implicazioni in termini di inquinamento dei fondamentali economici e finanziari che ne derivano.

Pertanto, sul piano oggettivo, nessun affidamento ragionevole è dato riconoscere a fronte della revoca di un finanziamento pubblico, disposta per ragioni imperative di interesse pubblico, insite nella salvaguardia della corretta concorrenza tra operatori economici, oltre che, prioritariamente, nella tutela della trasparenza e legalità delle erogazioni di risorse pubbliche, rispetto a fenomeni invasivi, più o meno diretti, da parte della criminalità organizzata.

Sul piano soggettivo, non sussistono i presupposti per il consolidamento di qualsivoglia affidamento in ordine ad un atto concessorio di un contributo, la cui erogazione e mantenimento sono sottoposti alla condizione legale del possesso, sin dalla domanda di attribuzione, per tutta la durata e fino all’estinzione del rapporto, dei requisiti di idoneità morale, la mancanza originaria, o la perdita dei quali, determina la decadenza dai benefici, quale espressione di funzione cautelare e sanzionatoria, finalizzata alla prevenzione e repressione della criminalità organizzata di tipo mafioso, restando del tutto irrilevante l’eventuale esecuzione del programma agevolato, per l’autoritatività della revoca e la correlativa ininfluenza sull’esercizio del potere "a monte" di profili afferenti al rapporto paritetico "a valle" (conforme, per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 29 novembre 2005, n° 6745).

Per tale ragione, la conoscibilità, dedotta dalla ricorrente, delle circostanze rappresentate nell’impugnata informativa prefettizia, già dall’epoca della domanda di concessione, lungi dall’inficiare in concreto i presupposti del potere, semmai conferma, per espressa ammissione dell’interessata, l’insussistenza dello stato di inconsapevolezza soggettiva in ordine agli elementi ostativi all’erogazione della chiesta provvidenza.

Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, si lamenta illegittimità procedimentale ed eccesso di potere per violazione del d.lgs. n° 490/1994 e del d.P.R. n° 252/1998, nonché nullità dell’atto sotto vari profili, per carenza di presupposti, di istruttoria e di motivazione, nonché eccesso di potere per ingiustizia manifesta e mancata dimostrazione dell’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto.

I motivi sono infondati.

Al riguardo, ritiene il Collegio di rivisitare l’orientamento espresso dalla Sezione con l’ordinanza cautelare n° 329 del 20 marzo 2009, resa nell’odierno giudizio, oltre che con recente sentenza n° 152 del 26 gennaio 2011, condividendo l’iter argomentativo della recentissima sentenza del Consiglio di Stato nel frattempo intervenuta (n. 396 del 20 gennaio 2011.

Va, preliminarmente, confermata la tradizionale tripartizione delle "informazioni prefettizie", in tre categorie:

– quelle "ricognitive" di cause di per sè interdittive di cui all’art. 4, comma 4, del d.lgs. 8 agosto

1994, n. 490;

– quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva

discende da una valutazione del prefetto, oggi tipizzata in base all’art. 10 del d.P.R. n° 252/1998;

– quelle "supplementari" (o atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione

autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa prevista dall’art. 1

septies, del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito dalla l. 12 ottobre 1982, n. 726, ed aggiunto

dall’art. 2 della legge 15 novembre 1988, n. 486 (Cons. Stato, Sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7362).

Con specifico riferimento a tale ultima tipologia di informazioni prefettizie, alla quale sono riconducibili le informative impugnate con l’odierno ricorso, la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 396/2011 ha puntualizzato che "le informative "atipiche" rappresentano una sensibile anticipazione della soglia dell’autotutela amministrativa in correlazione a possibili ingerenze criminali nella propria attività: esse costituiscono espressione della esigenza, valutata dal legislatore, di anticipare la soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto con la criminalità organizzata e possono anche non essere basate sulle rilevanze probatorie tipiche del diritto penale (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2867; sez. IV, 1° marzo 2001, n. 1148). Infatti, tali atti si possono basare anche su elementi che costituiscono solo indizi (che comunque non devono costituire semplici sospetti o congetture privi di riscontri fattuali) del rischio di coinvolgimento associativo con la criminalità organizzata delle imprese – che abbiano partecipato al procedimento di evidenza pubblica -. (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 2 ottobre 2007, n. 5069; sez. VI, 17 luglio 2006, n. 4574).

In materia, pertanto, l’atto del prefetto non si deve necessariamente basare sulla "certezza", bastando la "qualificata probabilità" delle circostanze di fatto rilevanti per la legislazione di settore", con l’ulteriore precisazione che "nell’ordinamento di settore, e già nel precedente quadro normativo, gli atti prefettizi non possono essere emanati solo quando ci si trovi al cospetto di una impresa "criminale" (cioè posseduta, gestita o controllata da soggetti dediti ad attività contrastanti con la legge penale), risultando sufficiente che vi sia la "possibilità" che essa possa, "anche in via indiretta", favorire la criminalità".

Anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, con la già menzionata sentenza n° 1324 del 26 ottobre 2010, in punto di rilevanza del vincolo di consanguineità, ha statuito che "nell’ipotesi in cui l’imprenditore abbia rapporti di coniugio con un soggetto pluripregiudicato, a tutela dell’interesse pubblico, la regola della personalità della responsabilità va mitigata con la presunzione di continuità dei rapporti tra coniugi che rende non opportuno il mantenimento di un contratto – di appalto- del tipo di quello per il quale è controversia. In tal caso, è onere dell’interessato provare l’inesistenza di tali rapporti o, meglio, la dissociazione, non potendosi escludere la influenza negativa non appariscente del coniuge pluripregiudicato sull’imprenditore. In difetto di tale prova, l’amministrazione correttamente rescinde il contratto – d’appalto. E ciò senza violare alcuna disposizione del nostro ordinamento" (analogamente, Cons. Stato, Sez. V, 3 ottobre 2005, n° 5247; T.A.R. Napoli, Sez. I, 20 luglio 2010, n° 16884; Id., Sez. I, 1 agosto 2007, n° 7188).

I principi di diritto sin qui richiamati, applicati al caso di specie, impongono la reiezione dell’impugnativa, non risultando dagli atti del giudizio prova alcuna della dissociazione della ricorrente dalle condotte integranti il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in relazione al quale è intervenuta doppia condanna penale a carico del coniuge Scimemi Baldassare, peraltro sottoposto a misura di prevenzione.

A tale conclusione non osta la natura "atipica" dell’informativa prefettizia, atteso che l’amministrazione, pur non essendo avvinta dal divieto legale di contrarre e dalla previsione legale della revoca ai sensi del comma sesto dell’art. 4 del d.lgs. n° 490/1994, riprodotto dall’art. 11 del d.P.R. n° 252/1998, ben può valutare, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, la contrarietà all’interesse pubblico del mantenimento di misure finanziarie incentivanti attività di cui non possa escludersi la soggezione a condizionamenti di tipo mafioso o la contiguità con ambienti criminali (Cons. Stato, Sez. VI, 25 novembre 2008, n° 5780; Id., Sez. VI, 14 gennaio 2002, n° 149; Id., Sez. V, 24 ottobre 2000, n° 5710).

Né il mero decorso del tempo può, sic et simpliciter, far ritenere cessato o affievolito il pericolo rappresentato in informativa, atteso che, per dato di comune esperienza, la sottoposizione all’influenza criminale di tipo mafioso, in mancanza di azioni positive di dissociazione e denuncia, tende piuttosto a radicarsi nel tempo che non ad estinguersi, come ha rilevato la giurisprudenza del Consiglio di Stato in punto di attualità del pericolo rappresentato nell’informativa antimafia, da ritenersi perdurante in mancanza di fatti nuovi inequivocamente rappresentativi di una "rottura" dei precedenti assetti di interessi riconducibili a centri decisionali criminosi (Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2007, n° 3126; Sez. V, 28 febbraio 2006, n° 851, cit.).

Nel caso di specie, il provvedimento di revoca, fondato sulle valutazioni discrezionali, pacificamente rientranti nella sfera del potere amministrativo, in concreto esercitato in aderenza al principio di legalità dell’azione amministrativa e all’interesse pubblico come sopra enucleato, resiste alle censure dedotte, non ravvisandosi alcuno sviamento dai canoni dettati dalla norma attributiva e di disciplina del potere, di cui all’art. 1septies del d.l. n° 629/1982, conv. in L. n° 726/1982.

Appare adeguatamente assolto l’onere motivazionale, ai sensi dell’art. 3, comma terzo, della L. n° 241/1990, attraverso il rinvio per relationem all’informativa prefettizia n° 485/08/Area 1^ Antimafia del 21 aprile 2008, indicata con completezza di estremi nell’impugnata revoca e resa disponibile alla parte ricorrente ed infatti prodotta da quest’ultima in allegato al ricorso (conforme, Cons. Stato, Sez. IV, 30 novembre 2009, n° 7502; Id., Sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2770; Id., Sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 435; id., Sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6814; Id., Sez. VI, 25 settembre 2002, n° 4879).

Sull’inconfigurabilità della calendata nullità degli atti, valgano le osservazioni superiormente esposte in ordine alla tassatività delle fattispecie di nullità contemplate dall’art. 21septies della legge n° 241/1990, nessuna delle quali è ravvisabile nel caso di specie.

In conclusione, per tutte le suesposte ragioni, il ricorso in epigrafe dev’essere respinto perché infondato.

Le spese processuali possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della rimeditazione giurisprudenziale di precedenti avvisi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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