T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09-03-2011, n. 412 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame, notificato il 5/0172010 e depositato il successivo 22/01, la curatela fallimentare dell’impresa L. s.r.l. ha chiesto l’annullamento -previa sospensione- dei provvedimenti in epigrafe indicati con i quali il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Trapani ha revocato, per mancato rispetto dei termini contrattuali e della legge regionale n.1/84 quanto alla realizzazione dello stabilimento industriale, la vendita del lotto 63/B3 già trasferito in data 9 ottobre 2002 con atto notarile (rep. N.28038, racc.12944 Notaio Di Vita di Trapani).

Parte ricorrente, in punto di fatto, ripercorre il lungo iter amministrativo che ha fatto seguito alla vendita del predetto lotto, alla richiesta e al rilascio della concessione edilizia per la realizzazione dello stabilimento industriale, siccome la predetta attività edificatoria era contrastata dall’ente gestore della vicina Riserva Orientale Orientata "Saline di Trapani" e dagli altri entri locali a vario titolo intervenuti, siccome era contestato a più riprese che il lotto in parola rientrava all’interno della perimetrazione del sito di importanza comunitaria (S.I.C.) in area prospicente la zona "A" della riserva Saline di Trapani e Paceco, ovvero (salvo diverso successivo avviso della stessa Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani) insisteva nel cono d’ombra visivo rispetto a beni oggetto di tutela (Mulino Mania Stella). Si rinvia a quanto nel dettaglio meglio specificato nel ricorso.

Ciò posto, espone che in data 15/11/2007 era dichiarato il fallimento della L. s.r.l. e pertanto i lavori di costruzione dello stabilimento erano definitivamente interrotti.

Con nota n.198 del 21/1/2009 il Consorzio ASI di Trapani comunicava alla Curatela Fallimentare, nel frattempo subentrata, l’avvio del procedimento di revoca dell’atto di vendita, da definire entro 60 gironi dalla data di avvio, atteso il mancato rispetto dei termini per l’ultimazione dei lavori per la realizzazione dell’impianto, il ché costituiva la realizzazione della condizione risolutiva espressa prevista nell’atto di compravendita (come disciplinato dall’art.23 L.R.1/84). Con nota n.3156 del 30/10/2009 il Consorzio dava notizia che il Dirigente Generale dell’Ente aveva provveduto alla revoca suddetta, giusto provvedimento n.68 del 28/10/2009, con il quale è stata ingiunta la riduzione in pristino dei luoghi.

Avverso i suddetti provvedimenti è stato proposto il presente ricorso, affidato a sei motivi di censura riconducibili alla violazione di legge ed eccesso di potere.

In particolare, con la prima doglianza, parte ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicaiozne dell’art.23 co.9L.R.1/1984, nonché l’incompetenza e la violazione dell’art.18 dello Statuto del Consorzio, contestando la competenza del Dirigente Generale dell’ASI di Trapani alla adozione del provvedimento impugnato, appartenendo la questione alla competenza del comitato direttivo.

Con la seconda, lamenta la violazione degli artt.2, 2bis, ed 8 L.241/90 nonché l’eccesso di potere atteso che il procedimento di revoca non si sarebbe concluso nel termine di 60 giorni come evidenziato nella nota del 21 gennaio 2009.

Con la terza censura lamenta la violazione di legge in ordine alla mancata indicazione dell’autorità e del termine entro il quale possibile ricorrere.

Con la quarta si contesta la violazione e falsa applicazione della normativa regionale atteso che i termini per l’avvio e la conclusione dei lavori potranno essere prorogati in presenza di una impossibilità obiettiva dell’impresa a poterli rispettare: il ché appare lapalissiano nel casi di specie avendo riguardo al lungo iter burocratico amministrativo, costituente causa estranea al soggetto istante. Inoltre, atteso che con la concessione edilizia in variante il termine di inizio dei lavori è cominciato a decorrere a partire dal 16/11/2005, la contradditorietà tra il termie previsto per l’efficacia della concessione edilizia e quello disciplinato nell’atto di cessione comporta (stante l’impossibilità del secondo) di considerare come non apposta la condizione risolutiva espressa inserita nell’atto di vendita cit..

Con la quinta doglianza, parte ricorrente lamenta la violazione dell’art.36 co.12 L.R.71/1978 e la violazione dell’art.104 Legge Fallimentare (R.D.267/1942) nonché l’eccesso di potere, atteso che la dichiarazione dello stato di fallimento costituisce causa di forza maggiore che interrompe il termine decadenziale di tre anni previsto dalla normativa regolatrice dell’attività edilizia. Non essendo per altro intervenuta l’autorizzazione al proseguo dell’attività di impresa, la Curatela non poteva né allo stato può portare a compimento i lavori di realizzazione dell’impianto.

Con il sesto ed ultimo motivo di censura, parte ricorrente lamenta la violazione dell’art.63 L.448/1998, nonché l’eccesso di potere e la violazione dei principi di cui alla legge fallimentare. La normativa in parola prevede la possibilità per il consorzio, anche in presenza di curatela fallimentare, di riacquistare le aree corrispondendo un prezzo attualizzato di acquisto delle stesse. Differentemente, con il provvedimento impugnato, l’Ente ha ritenuto di recedere dal precedente contratto corrispondendo il prezzo irrisorio pari al 75% del prezzo pagato dalla L. s.r.l., intimando altresì la riduzione in pristino dei luoghi.

Ha chiesto parte ricorrente l’annullamento dei provvedimenti impugnati, previa sospensione,vinte le spese.

Resiste il Consorzio ASI intimato.

Con ordinanza n.103 del 5/2/2010 la domanda cautelare è stata accolta nei limiti della intimata riduzione in pristino, ordinanza appellata dalla parte resistente e riformata dal C.G.A. con ordinanza n.580 del 10 giugno 2010.

In prossimità della pubblica udienza di trattazione, parte resistente ha articolato memoria difensiva.

Alla pubblica udienza del 6 dicembre 2010, il ricorso è stato introitato per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso, tenendo anche contro ai fini di economia processuale di quanto statuito dal giudice di seconde cure in sede di appello cautelare, non è meritorio di accoglimento per le considerazioni che seguono.

Preliminarmente, come già evidenziato in sede cautelare, va ribadita la sussistenza della giurisdizione di questo decidente in conformità con l’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione in fattispecie analoga (Cassazione civile, sez. un., 12 marzo 2004, n. 5178)

Ciò posto, priva di pregio si appalesa la prima doglianza in quanto anche ai sensi delle disposizioni statutarie, l’attività del Consiglio Direttivo (che per altro nella seduta del 14/10/2009 ha all’unanimità deliberato di non avere interesse alla restituzione del capannone e quindi sottolineato l’interesse e la convenienza a rientrare nel possesso dell’area libera) è strumentale alla adozione di atti di indirizzo politicoamministrativo dell’Ente ASI, mente compente al Dirigente Generale l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi di gestione che impegnano l’ente verso l’esterno, in virtù della riforma di sistema che ha decretato la separazione dei poteri politici da quelli propriamente amministrativigestionali (rif. L.R.10/2000): principi che trovano applicazione anche rispetto ai Consorzi di che trattasi, come cotrodedotto puntualmente sul punto dallo stesso Consorzio ASI di Trapani che richiama sia l’art.2 L.R.10/2000, sia l’art.2 del Regolamento Organico – tipo – dei Consorzi ASI regionale, approvato con D.A. n.371 del 5/4/2001 (come in seguito modici dato con D.A. n.70 del 17/11/2005).

Anche la seconda censura non merita condivisione, considerato che in mancanza di specifica disposizione di legge, i termini come quelli richiamati dalla parte ricorrente non possono che essere considerati meramente ordinatori. Né il superamento del termine previsto nella nota di avvio del procedimento di revoca postula la consumazione del relativo potere.

Anche la terza censura è da disattendere, atteso che la mancata indicazione dell’autorità e del termine entro il quale è possibile proporre il gravame non assume effetto invalidante, ma sostanzia una mera irregolarità da cui discende, eventualmente, la concessione ope iudicis del beneficio dell’errore scusabile in caso di errata o tardiva proposizione del gravame (cfr ex multis di recente T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 17 novembre 2010, n. 2660).

Quanto alla quarta censura, si osserva che non può essere condivisa la prospettazione della parte ricorrente secondo cui in specie il contratto di cessione dell’area avrebbe previsto una condizione risolutiva impossibile e come tale da ritenersi non apposta ai sensi dell’art.1354 co.2 c.c..

Come evidenziato dalla difesa resistente, la doglianza è priva di pregio considerato che la valutazione circa la possibilità o impossibilità della condizione (qui risolutiva, apposta per espresso obbligo di legge ex art.23 L.R.1/1984) va compiuta non ex post, ma ex ante ed in base ad un giudizio di ordinaria prevedibilità. Ed invero, in conformità con la previsione di legge, il contratto di cessione di area aveva sin da allora previsto che i lavori per la realizzazione dell’impianto avrebbero dovuto essere ultimati improrogabilmente entro il termine di trentasei mesi dalla data di sottoscrizione del relativo atto di cessione: termini espressamente riconosciuti perentori dalle parti contraenti, salva la facoltà per il beneficiario di poter richiedere una proroga per comprovati motivi e sussistendo i presupposti di cui all’art.23 L.R. cit.. Richiesta di proroga che tuttavia non è mai stata formulata da parte della L. s.r.l.. Né la stessa società ha azionato i rimedi previsti dalla legge per contrastare l’eventuale nelle opportune sedi eventuali profili di illegittimità dei provvedimenti che hanno costituito ostacolo alla realizzazione nei termini suddetti dell’impianto.

Anche la quinta doglianza è priva di pregio.

La Curatela qui ricorrente confonde il profilo delle eventuale sospensione del titolo concessorio rispetto al termine di conclusione dei lavori rilevante quale condizione risolutiva ed apposto nell’atto di cessione, rispetto al quale -ripetesi- non è stato mai avanzata richiesta di proroga. Per latro, come evidenziato dallo stesso ricorrente e sottolineato viepiù dalla parte resistente, la stessa Curatela lealmente dichiara di non essere né autorizzata all’esercizio di impresa ne in grado di portare a compimento i lavori di che trattasi.

In ultimo occorre infine procedere allo scrutinio della sesta censura.

Con detta doglianza, come già evidenziato, parte ricorrente contesta l’applicazione congiunta della disciplina di cui all’art.23 L.R.1/1984 e di quella di cui all’art.63 L.448/1998. In particolare, secondo la prospettazione della Curatela ricorrente, mentre l’art.23 prevede un potere di revoca/risoluzione del contratto per mancato rispetto dei termini, con obbligo a corrispondere il solo 75% del prezzo di acquisto (nulla aggiungendo in ordine alla applicabilità di detta norma ai casi di curatela fallimentare) la previsione di cui all’art.63 L.448/98 sancisce la differente facoltà per i consorzi ASI di rientrare in possesso dell’area -previa corresponsione del prezzo attualizzato di acquisto – anche in presenza di procedure concorsuali.

La censura non ha pregio.

Invero, nel caso in esame il Consorzio ASI ha dato meramente attuazione alla previsione contenuta dell’art.23 L.R.1/1984, come espressamente recepita anche nell’atto pattizio con il quale è stata ceduta l’area: allora, il comma 4 art.63 L.448/98 ha reso estendere la previsione regionale anche in presenza di procedure concorsuali. Né è in astratto revocabile in dubbio la legittimità dell’esercizio del potere di "riacquistare la proprietà delle aree cedute" con atto unilaterale anche in presenza di procedure concorsuali (cfr.TAR Salerno n.787/2005; TAR Pescara n.344/2001).

Il motivo va quindi disatteso.

Quanto premesso postula altresì l’infondatezza della ulteriore domanda risarcitoria, formulata in termini del tutto generici e per altro non provata, atteso che non è certo imputabile all’ente resistente alcuna colpa in ordine al mancato rispetto dei termini per la conclusione dell’intervento, né tanto meno per aver dato seguito ad una precisa disposizione dell’atto di cessione quanto alle ulteriori evenienze in caso di avvera mento della condizione risolutiva espressa. Come evidenziato dall’Ente resistente con la memoria conclusiva, che sul punto richiama quanto già fatto osservare al giudice di seconde cure in sede di appello cautelare (accolto), "la L. non ha avanzato, neppure in via subordinata (come specificato in seno al citato rogito notarile) domanda di restituzione della minor somma tra le spese sostenute per il manufatto, le addizioni e migliorie dell’immobile, ed il maggior valore complessivo dell’immobile al momento della restituzione"; senza contra re che risulta incontestato che le parziali opere eseguite sono state ritenute non suscettibili di proficuo utilizzo da parte del medesimo Ente.

In conclusione, il ricorso va respinto in quanto infondato.

Considerata la natura della controversia e stante che il ricorso investe una Curatela fallimentare, ritiene il Collegio che sussistono giusti motivi per non fare applicazione della regola della soccombenza, compensando tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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