Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-02-2011) 14-03-2011, n. 10191

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione G.A. avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta in data 4 marzo 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine al reato di lesioni aggravate in danno di S.R., fatto commesso il (OMISSIS).

Il reato era stato contestato nella forma aggravata derivante dalla circostanza dell’uso di un’arma che, tuttavia, il giudice di primo grado aveva escluso, solo confermando la procedibilità di ufficio, per essere, le lesioni guarite in un tempo superiore ai venti giorni.

La vicenda processuale aveva tratto origine da una lite intercorsa tra le parti, già in rapporti estremamente tesi per questioni di lavoro.

La Corte aveva ritenuto probanti sia le dichiarazioni della persona offesa, sia il tenore delle certificazioni mediche riesaminate anche dal consulente del PM sia infine il contenuto di una registrazione che la persona offesa aveva realizzato durante la lite.

Deduce il vizio di motivazione.

La difesa aveva contestato nei motivi di appello il calcolo della durata delle lesioni, basato sia sulle affermazioni di una parte offesa già ritenuta scarsamente affidabile dal giudice di prime cure, sia sulle conclusioni del consulente del PM, errate però dal momento che questi aveva tenuto conto di fattori irrilevanti quali il periodo di convalescenza.

La difesa aveva anche contestato che la atrofia maculare dalla quale la persona era stata trovata affetta potesse porsi in relazione causale con la condotta incriminata al pari della lamentata ipoacusia.

La Corte aveva però evitato di motivare, evidenziando la sussistenza della aggravante in ragione dell’uso di un mezzo contundente, invece già escluso dal giudice di primo grado con decisione che, quindi risultava oggetto di una illegittima reformatio in pejus.

Un ulteriore vizio di motivazione era quello che riguardava la affermata utilizzabilità della registrazione contenuta nel CD versato in atti. Invero si trattava di una registrazione derivata dalla fonte originaria che era il registratore e senza che vi fossero garanzie sulla assenza di manipolazioni.

Un terzo vizio di motivazione concerneva il motivo di appello col quale si era sollecitato il riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno, della provocazione e del beneficio della non menzione. Era stato infatti dedotto che era stato il S. a determinare la reazione del G. con un pugno, fatto seguito oltretutto da una querela che quest’ultimo aveva poi rimesso e da un risarcimento del danno non valorizzato dal giudice del merito.

Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini che si indicheranno.

I primi due lamentati profili del vizio di motivazione denunciato dal ricorrente sono invero manifestamente infondati.

La parte lamenta la mancata valutazione, in termini corretti, della circostanza che la durata delle lesioni, guarite in trenta giorni, sarebbe stata desunta da emergenze del tutto inidonee a sostenere l’assunto: e cioè affermazioni di una parte lesa inattendibile e conclusioni di un consulente del PM in parte errate e in parte generiche.

Si tratta però non della deduzione di manifeste illogicità della motivazione esibita dal giudice del merito, ma del tentativo, inammissibile in questa sede, di provocare una alternativa ricostruzione e valutazione delle emergenze di causa, in presenza di un ragionamento invece completo e logico da parte del giudice dell’appello.

In primo luogo occorre sgomberare il campo dalla prospettazione di una reformatio in pejus che la Corte nissena avrebbe operato reintroducendo la aggravante dell’uso dell’arma che il primo giudice aveva escluso.

Infatti, fermo restando che in nessuna parte della motivazione impugnata vi è il riferimento all’uso – da parte dell’imputato – di una sbarra di ferro, oggetto della originaria contestazione, è invece da evidenziare che laddove la Corte ha ribadito che l’aggressione è stata verosimilmente perpetrata con l’uso di un corpo contundente, deve ritenersi che essa abbia inteso alludere all’impatto delle mani nude che, raccolte a pugno, ben possono integrare la detta configurazione.

Non si apprezza dunque la reformatio in pejus denunciata anche perchè non risulta che dalla detta affermazione siano scaturite conseguenze in tema di procedibilità o di pena.

Resta la motivazione sulla durata della malattia, tale da rendere il reato procedibile di ufficio, in presenza di remissione di querela.

Ebbene la Corte ha argomentato plausibilmente sulla credibilità dell’accusante, valorizzando la decisione di costui di rimettere la querela e di non costituirsi parte civile.

Inoltre ha evidenziato che la durata della malattia si desumeva non solo dalla durata del ricovero (appunto superiore a 20 giorni) ma anche dalla certificazione medica che aveva accompagnato la dimissione e che aveva attestato la permanenza di cervicalgia post- traumatica ossia di una patologia che rendeva evidente il perdurare delle conseguenze lesive della azione del ricorrente.

Le contrarie osservazioni della difesa, in ordine alle diverse patologie che non sarebbero legate da nesso di causalità con l’azione del S. e che non dovrebbero essere valorizzate ai fini che ci occupano, risultano in conclusione del tutto inconferenti ed eccentriche rispetto al nodo della motivazione adottata dal giudice del merito.

Inammissibili sono parimenti le doglianze riguardanti la utilizzabilità della registrazione prodotta dalla persona offesa.

La parte non solo trascura del tutto le condivisibili affermazioni della Corte di merito circa la modalità di analisi delle stesse che ha fatto ritenere la assenza di manipolazioni, ma soprattutto non evidenzia l’interesse al vizio di motivazione sul punto.

La registrazione è stata valorizzata infatti come elemento a sostegno della tesi della aggressione da parte del G., tesi che la parte sembra non contestare in sè dal momento che si lamenta, semmai, di avere risarcito il danno senza che tale evenienza abbia provocato il dovuto riconoscimento da parte del giudice del merito ai fini del calcolo della pena.

Non è dunque segnalata, in modo apprezzabile e specifico, la rilevanza della questione posta, rilevanza che, allo stato degli atti, sembra dovere essere esclusa.

Fondato è invece l’ultimo motivo di ricorso.

Con l’ultima doglianza formulata nell’atto di appello il G. aveva sollecitato il riconoscimento della attenuante della provocazione avendo, tra l’altro, ricevuto un pugno dalla persona offesa, nonchè quella del risarcimento del danno, avendo provveduto a versare congrua somma ed infine aveva richiesto il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario.

La sentenza di primo grado non si era pronunciata al riguardo.

Ciò nonostante, la Corte territoriale nulla ha replicato, rendendo una motivazione che sul punto è assolutamente carente e che deve essere emendata in sede di rinvio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla richiesta delle attenuanti della provocazione e del risarcimento del danno e del beneficio della non menzione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta per nuovo giudizio sul punto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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