Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-02-2011) 14-03-2011, n. 10189

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

scritto.
Svolgimento del processo

La CdA di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale G.L. fu condannato alfa pena di giustizia e al risarcimento danni nei confronti delle costituite PP.CC, in relazione al delitto ex art. 483 c.p. per avere falsamente attestato nella dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 22.10.2001 che l’appartamento in (OMISSIS) faceva parte dello stabile da lui edificato e che la suddetta unità immobiliare era stata di sua esclusiva proprietà e in suo possesso sin dal 1971, trattandosi viceversa di appartamento di proprietà condominiale, realizzato tra il 1988 e il 1992.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce: 1) violazione di legge sostanziale per omessa considerazione della assenza dell’elemento soggettivo, 2) violazione e omessa applicazione degli artt. 74, 75 e 82 c.p.p., 3) contraddittorietà e "manifesta illegittimità" della motivazione.

Argomenta come segue.

Il delitto contestato ha natura dolosa e il dolo deve essere escluso quando la dichiarazione non veritiera sia frutto di leggerezza o negligenza. La CdA, pur investita della questione, non ha fornito adeguata risposta in merito. La coscienza e volontà di agire contro il proprio dovere giuridico non sono adeguatamente provati;

oltretutto l’imputato non aveva alcun interesse alla falsa dichiarazione, atteso che, per i fini cui la dichiarazione era diretta, bastava affermare di essere in possesso dell’immobile, circostanza che corrispondeva al vero. Per altro, nella istanza di condono avanzata al comune di Roma il G. ha sempre affermato di avere realizzato il manufatto nel 1980.

La CdA ha poi rigettato l’impugnazione anche nella parte afferente la costituzione delle PP.CC. Gi.St. e Ro.. La loro legittimazione è stata ritenuta sulla base del fatto che gli stessi sarebbero condomini nel medesimo stabile nel quale si trova l’appartamento oggetto della dichiarazione dell’imputato. In realtà gli stessi non sono nè proprietari, nè titolari di alcun diritto di godimento, atteso che il Tribunale civile di Roma (nel giudizio civile 10610/99 RG, con sentenza 7788/08 del giorno 11.4.2008) ha dichiarato che la titolarità del locale terraneo che i fratelli Gi. sostenevano essere loro è in realtà del G. Gli stessi per altro hanno proposto e coltivato la loro domanda anche in sede civile. La CdA ha sostenuto, erroneamente, che le due domande hanno diverso fondamento.

In realtà, identico è il petitum e identica è la causa petendi, il preteso danno derivante dalla occupazione da parte dell’imputato di un’area condominiale.

La motivazione con la quale il giudice di appello ha negato tale identità è priva di coerenza logica, in quanto ha trascurato che nel giudizio civile la domanda dei Gi. non era solo tesa alla demolizione del manufatto edilizio, ma vi era la richiesta di risarcimento del danno derivante dalla occupazione del manufatto stesso.
Motivi della decisione

Come fatto rilevare dal difensore del ricorrente, la prescrizione del reato è maturata dopo la pronunzia della sentenza di primo grado.

Tanto premesso, poichè la prima censura proposta con il ricorso appare infondata, ma non inammissibile, la predetta prescrizione deve ritenersi operativa, con tutte le conseguenze del caso.

Invero, la dichiarazione rilasciata dall’imputato consegue a richiesta dell’Ufficio condoni che intendeva accertare chi avesse titolo sull’immobile.

In particolare doveva essere accertato se trattavasi di proprietà condominiale, oppure no. Il G. ebbe a rispondere di essere tanto proprietario, quanto possessore dell’immobile sin dal 1971, anno di costruzione della palazzina.

Orbene, se può esser dubbio che, per quel che riguarda i rapporti col Comune, avrebbe potuto esser sufficiente affermare il possesso del bene, è da rilevare che, con la medesima dichiarazione, l’imputato non avrebbe potuto fare affermazioni a sè sfavorevoli, sotto altro aspetto. Lo stesso infatti aveva interesse a dichiarare la proprietà del bene, perchè aveva sottoscritto promessa di vendita a favore di B.P..

La seconda censura è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.

La mancata legittimazione dei fratelli Gi. a costituirsi PC è meramente enunciata, ma non provata.

Non basta certo la indicazione della esistenza di una sentenza (per altro, neanche si chiarisce se la stessa sia passata in giudicato) per fondare tale affermazione, quasi che debba poi essere questa Corte di legittimità ad acquisire i relativi documenti.

Sotto altro aspetto, è da rilevare come i giudici del merito abbiano sottolineato la diversità di causa petendi tra la pretesa risarcitola fatta valere in sede civile e quella avanzata in sede penale. Nel primo caso si chiedeva il risarcimento dei danni per il materiale impossessamento da parte del G. di una porzione condominiale di edificio, nel secondo per la falsa dichiarazione, attraverso la quale la illegale situazione di fatto sopra descritto è stata protratta nel tempo.

Conclusivamente: la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione; il ricorso va rigettato agli effetti civili.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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