Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-02-2011) 14-03-2011, n. 10209 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1) il dispositivo della sentenza 14 luglio 2008 del G.U.P. del Tribunale di Napoli.

Il G.U.P. del Tribunale di Napoli ha condannato: G. M., per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2 e 5, applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione; Ge.Lu., per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 4 e 5, art. 629 c.p., comma 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7 come contestatigli ai capi D), G), I), L), N); L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 quinquies, comma 1, aggravato L. 12 luglio 1991, n. 203, ex art. 7 come contestatogli ai capi R), S), T), U), unificate tutte le suddette violazioni con il vincolo della continuazione, applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p. alla pena di anni nove, mesi sei di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; Gu.An. e D.F.A., per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1 e 5, ciascuna, con attenuanti generiche, ed applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., alla pena di anni due e mesi otto di reclusione;

D.M., per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p., commi 2, 4 e 5; art. 629 c.p., comma 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7 come contestatigli ai capi A), B), D), L), unificati con il vincolo della continuazione, applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p. alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa;

B.F., per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p., commi 10, 40 e 5; L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 quinquies, comma 1, aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7 unificati con il vincolo della continuazione, applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., alla pena di anni quattro di reclusione; Ga.Gi., per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p., commi 2, 4 e 5; art. 56, art. 629 c.p., comma 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7; L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 quinquies, comma 1, aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7 unificati con il vincolo della continuazione, concesse le attenuanti generiche, ed applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa; S. K., per il delitto di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 quinquies, comma 1 aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7 con attenuanti generiche, ed applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., alla pena di anni due di reclusione, condizionalmente sospesa; P.D., per il delitto di cui all’art. 629 c.p., comma 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7 come da contestazione sub B), applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa; V.E. e M.C., per il delitto di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 quinquies, comma 1, aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7 come loro rispettivamente contestato ai capi T ed U), ciascuno, concesse le attenuanti generiche, ed applicata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., alla pena di anni due di reclusione, condizionalmente sospesa.

Interdizione legale durante l’espiazione della pena ed interdizione perpetua dai pubblici uffici quanto agli imputati Ge.Lu., D.M. e P.D.; interdizione dai pubblici uffici per anni cinque quanto agli imputati G. M., B.F. e Ga.Gi.; misura di sicurezza della libertà vigilata dopo l’espiazione della pena, quanto a G.M., Ge.Lu., G. A., D.F.A., D.M., B. F. e Ga.Gi. per la durata di anni uno.

Confisca, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, ex art. 12 sexies convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, di tutti gli automezzi, quote societarie e conti correnti in sequestro.

Avverso la suddetta decisione hanno proposto appello i difensori degli imputati: G.M., Ge.Lu., G. A., D.F.A., D.M., S. K., P.D., B.F., Ga.

G., V.E. e M.C..

1.2) il dispositivo della sentenza 30 settembre 2009 della Corte di appello di Napoli.

La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza 14 luglio 2008 del G.U.P. del Tribunale di Napoli, appellata dagli imputati dianzi indicati, ha assolto: – G.M. dalla imputazione sub A) per non aver commesso il fatto; – Ge.Lu. dalla imputazione sub I) perchè il fatto non sussiste e da quella sub L) per non aver commesso il fatto; – D.M. dalle imputazioni sub A), D) punto 5 ed L) per non aver commesso il fatto;

– S.K. dalla imputazione sub R) perchè il fatto non sussiste; – Ga.Gi. dalla imputazione sub O) per non aver commesso il fatto.

Con la stessa sentenza: – è stato qualificato come ricadente sotto le previsioni di cui all’art. 378 c.p., comma 2 e alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7 il fatto sub A), ascritto a B. F.; – è stata esclusa, quanto alle accuse sub T) ed U), rispettivamente ascritte a V.E. e M.C., l’aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7; – è stata conseguentemente rideterminata la pena inflitta a: – Ge.

L., in anni otto di reclusione; – D.M. (applicato l’art. 63 c.p., comma 4), in anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa.

Con successivo provvedimento, trasmesso a questa Corte, senza data, la corte distrettuale ha disposto la correzione della odierna gravata sentenza, integrando il dispositivo con la decisione di assoluzione del Ge.Lu. e del D.M. anche dalle imputazioni di cui ai punti 1,2,3, 4 del capo D) della rubrica.

2.0) le impugnazioni nei confronti della sentenza della Corte di appello.

La sentenza della corte distrettuale è stata impugnata:

dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli, nei confronti di G.M. (per l’assoluzione dal capo A della rubrica), nonchè da tutti gli altri imputati che hanno proposto i motivi di ricorso che verranno ora proposti.

2.1) il ricorso del Procuratore generale per l’assoluzione di G.M. (capo A) e la decisione di rigetto di questa Corte.

Il Procuratore generale, premesso che l’accusa a G. M., di partecipazione qualificata al sodalizio criminoso di cui al capo A), va valutata per la durata di un solo mese dal 13 giugno al 13 luglio 2005, censura, per mancanza e contraddittorietà, la motivazione assolutoria della corte distrettuale – non confermativa sul punto della decisione del giudice di primo grado – basata sull’assunto che il detto periodo di libertà non fu sufficiente all’imputato per "rimbastire i rapporti con i Cava nè a consumare reati per conto del clan".

A giudizio del ricorrente siffatto argomentare ignorerebbe il contenuto degli interrogatori 25 maggio e 4 luglio 2006 (tangente Sp.) e l’esito delle intercettazioni (indicate a pagg. 161- 166 della sentenza del G.U.P.) relativamente all’intestazione fittizia a D.P. della pala meccanica.

I motivi, per come prospettati e sviluppati, sono per più profili inammissibili o infondati.

La decisione di proscioglimento della Corte di appello ha infatti considerato, valutando difformemente le risultanze processuali, i dati nuovamente evidenziati dall’Accusa, dando alle questioni prospettate una condivisibile giustificazione che ha tenuto in particolare conto dell’angusto spazio cronologico della contestazione associativa, contenuta – come peraltro rilevato dalla stessa parte pubblica – in una trentina di giorni.

Le valutazioni proposte appaiono infatti tutte improntate ad una coerente esposizione dei dati valorizzati il cui apprezzamento, in termini di insussistenza del sodalizio, risulta incensurabile in questa sede, in quanto esso risulta condotto con criteri di logicità, espressi in aderenza al concreto paniere processuale, e con una giustificazione dell’insuccesso degli obbiettivi d’accusa, ragionevolmente sostenuta ed altrettanto coerentemente motivata.

Le difformi conclusioni, pur chiaramente delineate nel ricorso del Procuratore generale, oltre che configgere con tale accettabile corretto apparato argomentativo, si risolvono spesso in una non consentita indicazione di una via alternativa che si suggerisce quale percorso diversamente praticabile nella valutazione ex art. 192 c.p.p..

E’ infatti risaputo che, per costante giurisprudenza, l’esito del giudizio di responsabilità non può essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente, parte pubblica o privata, le quali si risolvano nel delineare una "mirata rilettura" di quegli elementi di fatto che sono stati posti a concreto fondamento della decisione, nonchè nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, in quanto illustrati come maggiormente plausibili, oppure perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta si è in concreto esplicata.

Da ciò il rigetto del ricorso del Procuratore generale.

2.2) Ge.Lu., Gu.An. e D.F. A.: i motivi di impugnazione e la decisione della Corte, escluso il reato associativo.

Il G.U.P. ha dichiarato Ge.Lu. colpevole dei reati di cui ai capi A (reato associativo), D (estorsione D.P.), G (estorsione Ma.Ga.), I), L), N (estorsione SA.), R (intestazione fittizia con aggravante 2^ ipotesi L. n. 203 del 1991, art. 7), S (intestazione fittizia con aggravante 2^ ipotesi L. n. 203 del 1991, art. 7), T (intestazione fittizia con aggravante 2^ ipotesi L. n. 203 del 1991, art. 7), U (intestazione fittizia con aggravante 2^ ipotesi L. n. 203 del 1991, art. 7).

La Corte di appello ha invece assolto il Ge.Lu. dalla imputazione sub I) perchè il fatto non sussiste e da quella sub L) per non aver commesso il fatto, e lo ha altresì assolto (unitamente a D.M.) anche dalle imputazioni di cui ai punti 1, 2, 3, e 4 del capo D) della rubrica, con rideterminazione della pena, inflitta per gli altri reati, ad anni otto di reclusione.

Per Ge.Lu. esistono due ricorsi il primo dell’avv. Vannetiello ed il secondo dell’avv. Severino.

Con il primo ricorso e con un primo motivo l’avv. Vannetiello, con specifico riferimento al sodalizio del capo A, deduce vizio di motivazione e contraddittorietà della stessa, evidenziando la sussistenza di elementi decisivi di prova, non valutati a favore del Ge., nonchè criticando il giudizio di responsabilità di Gu.An. (secondo motivo) e D.F.A. (terzo motivo).

Con un quarto motivo dello stesso ricorso si evidenzia violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla confisca.

Nello specifico si osserva che, nonostante l’asserzione della presenza di attività "lecite", la sentenza non abbia argomentato sulla sproporzione della capacità reddituale delle persone ( Ge.Lu., Gu.An. e D.F.A.), rispetto al valore di acquisto dei beni, non bastando in proposito il sostenere che gli interessati non hanno fornito alcuna convincente prova di fonti reddituali lecite idonee a giustificare gli acquisti.

Il detto quarto motivo, esclusa la vicenda dell’Alfa 174, è inaccoglibile.

Premesso che il dettato del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, costituisce deroga ai principi generali fissati dall’art. 240 c.p., va ribadito che il sequestro e la confisca ex art. 12-sexies:

a) non esigono l’accertamento di un nesso eziologico tra il reato e i beni, dal momento che opera una presunzione legislativa di illecita accumulazione, non rilevando se detti beni siano o meno derivanti dal reato per il quale è stata inflitta la condanna (Sez. 1^, Sentenza n. 8404 del 15/01/2009 Rv. 242863. Massime precedenti Conformi Sezioni Unite: N. 920 del 2004 Rv. 226490);

b) possono avere ad oggetto beni acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna e che abbiano un valore superiore al provento del medesimo reato (Cass. pen. sez. 1^, 11269/2009 Rv. 243493 (Cass. pen. sez. 1^, 11269/2009 Rv. 243493);

c) non sono impediti da allegazioni, finalizzate a giustificare la provenienza dei beni, offerte da regolari atti di acquisto, essendo viceversa necessario risalire alla origine dei mezzi finanziari impiegati per la acquisizione dei predetti beni, il cui valore sia sproporzionato rispetto alle possibilità economiche del soggetto (Cass. pen. sez. 5^, 27656/2001 Rv. 220228;

d) soltanto ai fini dell’operatività, nei confronti del terzo, grava sull’accusa l’onere di provare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e salvaguardarlo dal pericolo della confisca (Cass. pen. sez. 1^, 27556/2010 Rv. 247722 Massime precedenti Conformi: N. 3990 del 2008 Rv. 239269).

Orbene nella specie i giudici di merito (la decisione d’appello è ampiamente integrata dalla motivazione di primo grado) hanno fatto buon governo delle regole dianzi indicate, dando ragionevole giustificazione dei provvedimenti assunti, con una motivazione che, priva di incoerenze e salti logici si sottrae a censure in questa sede, eccezion fatta per la vettura Alfa 147, acquistata dalla stessa Gu., per la quale la corte distrettuale non ha in alcun modo considerato la necessaria risposta alle decisive considerazioni difensive attinenti alle modalità della compravendita ed alla circostanza che trattavasi di acquisto di "veicolo usato".

Pertanto la gravata sentenza va – limitatamente a tale punto – annullata con rinvio ad altro giudice che fornisca, sul bene in questione, diversa ed adeguata giustificazione della deliberata confisca.

Conferma nel resto in ordine alla confisca degli altri beni.

2.3) D.M. e Ge.Lu.: i motivi di impugnazione e la decisione della Corte, anche sul reato associativo, ritenuto per i due ricorrenti, nonchè per Gu.An. e D.F.A..

Il G.U.P. ha dichiarato D.M. colpevole dei reati di cui ai capi A (reato associativo), B (estorsione D.P.), D (estorsione D.P., punti: l,2,3,4,e 5), L).

La Corte di appello ha invece assolto D.M. dalle imputazioni sub A), D) punto 5 ed L) per non aver commesso il fatto;

ha altresì assolto D.M. (unitamente a G. L., per il quale è rimasta la sola condanna per il punto 5 della lettera D) anche dalle imputazioni di cui ai punti 1, 2, 3, 4 e 5 del capo D) della rubrica, rideterminando la pena, applicato l’art. 63 c.p., comma 4, in anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa.

GU.An. e D.F.A. sono state invece entrambe dichiarate dal G.U.P. colpevoli del solo reato associativo di cui al capo A) e la Corte di appello ha confermato tale decisione.

Relativamente a D.M. e Ge.Lu., entrambi i ricorrenti, assistiti dagli avv.ti Severino e Vannetiello, evidenziano le seguenti doglianze critiche espresse in dieci motivi i quali hanno riguardato nell’ordine: una questione di nullità (1^ motivo); l’insussistenza del reato associativo (capo A: 2^ motivo);

l’errore nel conteggio della sanzione (3^ motivo); l’estorsione a D.P., titolare della "(OMISSIS)" (capo B: 4^, 5^, 6^ motivo); estorsione in danno di Ma.Ga., presidente della cooperativa (OMISSIS) (capo G: 7^ motivo); l’estorsione in danno dell’impresa Sa. (capo N: 8^ motivo); intestazione fittizia della società "(OMISSIS)" (capo R: 9^ motivo); intestazioni fittizie di un motociclo, di un quadriciclo, e di una autovettura fuori strada (capi S-T-U: 10^ motivo).

Con un primo motivo di impugnazione – nell’interesse di Ge.

L. e D.M. – viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge con riferimento all’art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 441 bis c.p.p., L. n. 203 del 1991, art. 7 e art. 99 c.p..

Secondo i ricorrenti la sentenza impugnata viola l’art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 441 bis c.p.p. nella parte in cui la corte distrettuale ritiene legittime le ordinanze adottate dal G.U.P. alle udienze del 20.03.08 e 17.05.08, affermando, inoltre, la mancanza di legittimazione della difesa ad impugnare i suddetti provvedimenti, per carenza di interesse (v. pag. 15 della sentenza impugnata), considerato che il G.u.p., all’udienza del 17.05.08, aveva revocato la sua precedente ordinanza (con la quale aveva ammesso le suddette nuove contestazioni) e non aveva dato seguito alla richiesta difensiva di rito ordinario, mantenendo il rito abbreviato.

Il motivo, per il suo valore prioritario e pregiudiziale, va subito trattato, prima ancora della decisione sulla realtà associativa del capo sub A, che interessa, oltre al Ge.Lu., anche gli imputati Gu., D.F. e Ga.Gi..

In buona sostanza, per i ricorrenti Ge. e D., tutti i provvedimenti adottati dal Giudice di prime cure in ordine alla contestazioni suppletive sarebbero abnormi e, comunque, contra legem, non avendo il G.u.p. alcun potere all’esito della volontà del P.M. di effettuare una contestazione suppletiva.

In particolare sul punto si lamenta l’errore di diritto della Corte di appello che ha ritenuto, con riferimento all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, che si sia trattato di una integrazione descrittiva e non di una autonoma contestazione.

Il motivo è a giudizio del Collegio inaccoglibile, posto che la contestazione ex art. 7 (la quale in ogni caso si è sostanziata in una integrazione descrittiva e non di una "autonoma contestazione", comunque revocata), non risulta aver svolto un ruolo causale nella determinazione della sanzione, che è stata fissata pertanto con esclusivo riferimento al metodo ed alla modalità della condotta illecita.

Nè appare fondata la doglianza sulla recidiva, per il Ge., dal momento che di essa non si è tenuto alcun conto nel conteggio della pena, avendo in proposito la corte distrettuale aggiunto alla pena base (per il delitto sub A, oggi oggetto di annullamento con rinvio) soltanto la pena di anni 5 di reclusione per i delitti in continuazione dei capi D, G, N, R, S, T ed U. Il motivo va quindi rigettato.

2.3.1) la decisione di annullamento con rinvio sul reato associativo del capo A) per gli imputati Gu.An. e D.F. A., Ge.Lu., Ga.Gi..

Il giudizio di responsabilità ex art. 416 bis c.p., che per la corte distrettuale è stato limitato a quattro imputati ( Ge.Lu., Gu.An. e D.F.A., Ga.Gi.) è oggetto delle critiche formulate nei motivi (sub 1, 2, e 3) dell’avv. Vannetiello, e delle doglianze (motivi sub 2 e sub 5) prospettate nel ricorso dell’avv. Severino (sottoscritto peraltro anche dal primo professionista).

Pertanto i motivi dell’avv. Vannetiello, vanno correlati alle posizioni dei quattro condannati per il reato sub A) e quindi esaminati – in modo congiunto – con i motivi dell’avv. Severino.

Con il primo ricorso e con un primo motivo l’avv. Vannetiello, con specifico riferimento al sodalizio del capo A, deduce vizio di motivazione e contraddittorietà della stessa evidenziando la sussistenza di cinque elementi di prova non valutati (la comunicazione della notizia di reato 8 giugno 2006 ove gli odierni ricorrenti sono indicati come semplici affiliati del clan Cava; le conversazioni telefoniche tra Ge.Lu. e D.R. A.; tra D.P.C. e il m.llo Mo.; il giudizio di D.P. sulla capacità di intimidazione dei quattro ragazzini di Ge.); nonchè tre travisamenti della prova (l’espressione "i marocchini"; "il lasciar fare tutto a I.C.; la lode di D.F.A. a Ge.Lu. per aver "preso in mano la situazione)".

Inoltre il ricorso (punto sub c) rileva una pretesa illogicità manifesta della motivazione nel senso che la gravata sentenza da un lato enfatizza la portata accusatoria della condotta di Ge.

L. in ordine al pentimento del padre G.M. e dall’altro ritiene che l’uomo abbia confidato all’altro figlio Ge.Ma. la simulazione della sua attività collaborativa.

Con un secondo motivo si lamenta, per Gu.An. (fidanzata del figlio di G.M., An., deceduto nel 2004), l’affermazione di partecipazione al sodalizio, fatta senza tener conto della sentenza 394/2008 della Corte di cassazione in sede cautelare, la quale aveva proprio stigmatizzato l’omessa precisazione del ruolo e dello stabile contributo della donna nell’associazione e ripetendo le stesse omissioni nella giustificazione fatte dai giudici cautelari, e enfatizzando la sua presenza all’atto della consumazione della estorsione del capo N in danno dell’imprenditore sa., senza prova della sua consapevolezza del precedente comportamento violento realizzato dal solo Ge.Lu..

Da ciò la richiesta subordinata di valutare la condotta della ricorrente sotto i profili degli artt. 378 o 379 c.p..

Con un terzo motivo e con riferimento alla posizione di D.F. A. si prospetta, come per la Gu., violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sua partecipazione all’associazione, della quale difetterebbero gli elementi soggettivi ed oggettivi ed in una realtà semmai suscettibile di valutazione sotto il profilo del favoreggiamento, reale o personale.

Con un secondo motivo (avv.ti Severino e Vannetiello) relativamente al Ge.Lu. (motivo estensibile alla Gu. ed alla D.F., già ricorrenti come da separato atto e nei termini dianzi trascritti) si lamenta violazione di legge in relazione all’art. 416 bis c.p., comma 4 e manifesta illogicità della motivazione e contraddittorietà interna in ordine alla qualità armata dell’associazione.

Secondo i ricorrenti, i dati, che hanno determinato la Corte territoriale ad affermare che l’associazione possa ritenersi armata, sono due: il possesso da parte di Ge.Lu. di una pistola al momento del suo arresto avvenuto in data 13.08.06 ed il riferimento al mero possesso di una imprecisata pistola, fatto da tale I. (soggetto pure non provatamente appartenente all’associazione).

Ciò posto, ritiene la Corte che la partecipazione al "sodalizio" della Gu. e della D.F., anche in relazione alle assoluzioni decise dal G.U.P., il quale ha limitato – come la Corte di appello – la pronuncia di responsabilità delle due donne al solo delitto associativo, non sia stata supportata da una argomentazione indenne dai vizi indicati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con conseguente annullamento sul punto e rinvio ad altra sezione della corte distrettuale per nuovo giudizio.

L’annullamento della pronuncia di responsabilità della Gu. e della D.F., riducendo il sodalizio a due sole persone, il Ge.Lu. e il Ga.Gi., travolge la decisione di colpevolezza anche di tali due imputati per i quali va del pari pronunciato l’annullamento con rinvio.

Tanto premesso, ed in relazione al tenore dei motivi di ricorso, va preliminarmente rammentato, in punto di diritto, che sia il codice penale (artt. 416 e 416 bis) che il t.u. delle leggi sugli stupefacenti ( D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74) non recano nozioni definitorie dell’associazione che intendono reprimere, ma rimandano all’interprete per l’individuazione del concetto.

La dottrina e la giurisprudenza (cfr. in termini: Cass. pen. sez. 6^, 10725/1998 Rv. 211743) quindi hanno indicato quale elemento essenziale dei reati previsti dalle norme suindicate "l’accordo associativo" il quale crea un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale.

Tale essendo la caratteristica del delitto, ne discende a corollario la secondarietà degli elementi organizzativi che si pongono a substrato del sodalizio, a ciò bastando un’organizzazione minima perchè il reato si perfezioni.

Va inoltre in proposito ricordato:

a) che, sul piano probatorio, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purchè si tratti di indizi gravi e precisi, quali, ad esempio, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici e significativi "facta concludentia", idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Cass. Pen. Sez. 1^, 1470/2008 Rv.

238839, Procuratore generale c. Addante, Massime precedenti Conformi Sezioni Unite: N. 33748 del 2005 Rv. 231670);

b) che, peraltro, la prova della partecipazione di un imputato al reato associativo può essere data con ogni mezzo, non essendo necessaria la condanna per alcuno dei reati fine, stante l’autonomia del reato associativo (Cass. Pen. Sez. 1^, 33033/2003 Rv. 225977, Vitello Massime precedenti Conformi: N. 2691 del 1992 Rv. 190746, N. 3241 del 1998 Rv. 210683);

c) che è sufficiente la presenza di almeno tre persone e non è necessario nè un numero notevole di persone, nè una distinzione precisa di ruoli tra le stesse, con l’osservazione, peraltro, che nelle associazioni con un modesto organigramma (come quella di specie costituita da sole quattro persone) è indispensabile il vincolo continuativo, scaturente dalla consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminale e di partecipare con il proprio contributo causale alla realizzazione di un programma criminale duraturo, per la realizzazione del quale è stata predisposta la struttura con i mezzi necessari al raggiungimento degli scopi illeciti. (Cass. pen. sez. 1^, 34043/2006 Rv. 234800). d) che in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (cfr: Sez. U, 33748/2005 Rv. 231670 Mannino, Massime precedenti Conformi: N. 26119 del 2003 Rv. 228303, N. 6101 del 2004 Rv. 228058, N. 2350 del 2005 Rv. 230718, Massime precedenti Vedi: N. 32094 del 2004 Rv. 229488, Massime precedenti Vedi Sezioni Unite: N. 16 del 1994 Rv. 199386).

Orbene, proprio in adesione a tali parametri valutativi va censurata la decisione della corte distrettuale la quale, a fronte di precise e consistenti osservazioni critiche sviluppate nel gravame, non ha fornito: adeguata giustificazione dei profili psicologici della condotta delle due imputate; della essenziale connotazione della "affectio societatis" e della conforme consapevolezza di ciascuna delle due associate di far parte del sodalizio criminale e di partecipare con il proprio personale contributo causale alla realizzazione di un programma criminale duraturo.

Motivazione questa tanto più esigibile a fronte del modesto organigramma personale del sodalizio e delle condotte attribuite ed accertate delle due pretese associate, nonchè della teorica ipotizzabilità, nella specie, di diversi paradigmi penalmente rilevanti.

In conclusione, sussistendo il vizio di motivazione denunciato dai ricorrenti, la gravata sentenza va annullata, relativamente all’affermazione di colpevolezza per il reato associativo, con rinvio al giudice competente per nuovo giudizio sul punto.

Tale giudice procederà a nuova ed autonoma valutazione degli elementi di prova, in punto di sussistenza dell’associazione in capo alle due imputate e agli imputati Ge.Lu. e G. G., tenendo conto dei principi dianzi affermati, conformi d’altronde alla costante giurisprudenza di legittimità, e ovviando al vizio di motivazione rilevato.

2.3.2) D.M.: la decisione di annullamento con rinvio limitatamente alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

Con un terzo motivo (avv.ti Severino e Vannetiello) si prospetta (pag.4), relativamente alla posizione di D.M. violazione di legge in relazione all’art. 62 bis c.p. e all’art. 597 c.p.p., n. 3.

All’esito del giudizio di primo grado al D. (ritenuto inizialmente dal G.U.P. responsabile del delitto di partecipazione all’associazione di cui all’art. 416 bis c.p. e di tre episodi di estorsione) venivano concesse le attenuanti generiche prevalenti (v. pag. 437 sent.).

La decisione del G.U.P. non veniva impugnata dal P.M. ma dal solo imputato.

In sede di appello, il D. veniva assolto sia dal delitto di cui all’art. 416 bis c.p. sia da due dei tre episodi di estorsione;

tuttavia, nel determinare il trattamento sanzionatorio per D. M., la Corte territoriale non ha operato la riduzione di pena per le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti.

Ne consegue che, essendo appellante il solo imputato, la sentenza di appello viola il divieto di "reformatio in peius" sancito dall’art. 597 c.p.p., n. 3 in relazione all’art. 62 bis c.p., non essendo stata ridotta la pena ex art. 62 bis c.p. su quella da infliggere per l’unico reato per cui è intervenuta condanna, riduzione che il giudice di primo grado aveva operato nella massima estensione prevista dalla legge.

Il motivo è fondato e la gravata sentenza va annullata nei confronti del D. limitatamente alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

Con un quarto motivo si evidenzia vizio di motivazione, per mancanza od apparenza, in ordine alla partecipazione di D., all’episodio estorsivo del capo sub B), che era stata ricavata dalle dichiarazioni rese dalla p.o. D.P.C., soggetto tutt’altro che attendibile, così come rilevato anche dal Tribunale del Riesame.

Con un quinto motivo si sostiene ancora violazione di legge in relazione all’art. 629 c.p., art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione all’art. 192 c.p.p., nonchè manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione anche rispetto ad atti del processo; violazione di legge con riferimento all’aggravante di cui all’art. 629 c.p., comma 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3 ed alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

I motivi sub 4 e sub 5 sono per più profili infondati o inammissibili.

Nella specie invero ci si trova di fronte ad una ragionevole e adeguata motivazione dei giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, la quale ha utilizzato le emergenze processuali ed in particolar modo le dichiarazioni del D.P., dopo attenta e puntigliosa verifica della attendibilità intrinseca ed estrinseca del suo dire, con ricerca efficace dei riscontri – anche logici – della sua prospettazione dei fatti e della loro progressiva dinamica relazionale.

In definitiva si versa in un quadro di critiche non consentite in quanto preordinate a conseguire un risultato alternativo non utilmente praticabile in sede di giudizio di legittimità con la conseguenza che risultano destituite di fondamento le doglianze difensive concernenti la ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di merito, mediante la prospettazione di inesistenti vizi logici della motivazione.

2.3.3) G.M.: la decisione della Corte sulle restanti accuse dei capi: sub D, punto 5, sub G, sub N, sub R, sub S, sub T, sub U. Con un sesto motivo si illustra, relativamente alla posizione di Ge.Lu. con specifico riferimento al capo D punto 5 (estorsione a D.P. con riferimento ad alcuni mezzi meccanici) violazione di legge con riferimento agli artt. 629 e 393 c.p.; agli artt. 192 e 546 c.p.p. e vizio di motivazione in ordine all’art. 2697 c.c., per omessa, manifesta illogicità della motivazione e contraddittorietà con atti del processo.

Con un settimo motivo si eccepisce, con riferimento al capo sub G – contestato al solo Ge. – violazione di legge relativamente agli artt. 629 e 610 c.p. ed L. n. 203 del 1991, art. 7, nonchè vizio di motivazione rispetto alle dichiarazioni rese da Ma.

G., presidente della cooperativa (OMISSIS).

Con un ottavo motivo, con riferimento al capo sub N (estorsione in danno dell’impresa SA., contestato al solo Ge.) si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 629 e 610 c.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7, mancando nell’episodio in parola i connotati tipici di cui all’art. 629 c.p., ed in particolare l’ingiusto profitto con l’altrui danno.

I motivi 6^, 7^, 8^, in punto di declaratoria di responsabilità non sono accogli bili sia per profili di inammissibilità, nelle parti in cui vengono prospettate alternative valutazioni probatorie, sia per ragioni di infondatezza nelle restanti doglianze, avuto riguardo alla completa motivazione dei giudici di merito che con una doppia conforme pronuncia hanno – come già detto – ampiamente pesato le indicazioni di credibilità delle persone offese e le hanno convenientemente correlate con sintonici elementi, anche di ordine logico, in ordine alla ricostruzione della dinamica degli eventi e ai concreti ruoli assunti dagli accusati.

Accoglibili appaiono invece le critiche in ordine alla L. n. 203 del 1991, contestato art. 7 avuto riguardo al deliberato annullamento con rinvio per il reato associativo.

La gravata sentenza va quindi annullata con rinvio – per i reati in questione – limitatamente alla ritenuta aggravante ex art. 7 legge ultima citata, considerata la decisione assunta sul reato associativo del capo sub A della rubrica.

Con un nono motivo, con specifico riferimento al capo R (intestazione fittizia della società"(OMISSIS)"), si prospetta violazione di legge in relazione alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies e all’art. 192 c.p.p. nonchè vizio di motivazione.

Il reato di intestazione fittizia relativo alla società " (OMISSIS)" è rimasto a carico del solo Ge.Lu., essendo state assolte dal medesimo reato coloro che avrebbero svolto il ruolo di prestanome, ossia S.K. e Gu.An..

Il motivo è infondato avuto riguardo alle causali dell’assoluzione delle due donne, correlate: la prima assoluzione (per "assenza di un motivo animante la condotta" pag. 34 sentenza impugnata); la seconda assoluzione, per Gu.An., per non aver commesso il fatto.

Causali che peraltro non escludono la sussistenza del reato in capo al beneficiario dell’intestazione fittizia, il quale comunque ha realizzato l’intento illecito di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

Con un decimo motivo, con specifico riferimento ai capi S-T-U, si evidenzia violazione di legge in relazione alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies; alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e all’ art. 192 c.p.p., nonchè mancanza della motivazione in ordine alle ritenute intestazioni fittizie di un motociclo, di un quadriciclo, e di una autovettura fuori strada.

Nei motivi di gravame veniva rilevato che per tutti e tre i delitti in contestazione difettava il profilo dell’elemento intenzionale, non essendo stata in alcun modo provata la determinazione del Ge. alla fittizia intestazione e, comunque, non potendo escludersi che la finalità realmente perseguita fosse soltanto di natura fiscale o di altro genere.

Il motivo per come formulato è inammissibile in quanto prospetta una diversa valutazione dei dati probatori a fronte di una giustificazione sulla responsabilità – doppia e conforme dei giudici di merito – priva di incoerenze logiche e adeguata alle emergenze processuali.

Con ulteriore sviluppo della stessa doglianza viene dedotta la necessità di escludere l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in quanto la finalità di agevolare il sodalizio non poteva considerarsi in re ipsa ma, al pari di qualsivoglia altro elemento del reato, doveva essere provata in maniera rigorosa.

Tale critica che attiene alla L. n. 203 del 1991, contestato art. 7 è fondata per i reati dei capi S), T), e U) (nonchè per i capi: A – modificato, R; D, punto 5; G; N; V), considerata la decisione assunta sul reato associativo del capo sub A della rubrica.

Invero il deliberato annullamento con rinvio della gravata sentenza, sul punto della ritenuta associazione del capo A (per gli imputati Ge.Lu., Gu.An., D.F.A. e Ga.Gi.), comporta la caducazione di tutte le contestazioni ad essa fisiologicamente correlate, ed in particolare dell’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7, se ed in quanto essa – come nella specie – risulti formulata con riferimento, non già ai profili del "metodo mafioso" adottato, ma con riferimento alla seconda previsione di detta norma, notoriamente connotata dal fine specifico di agevolare l’attività di una associazione di tipo mafioso.

La risalente giurisprudenza di questa Corte ha infatti evidenziato che la seconda delle due ipotesi, previste dal citato art. 7, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di "agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso", implica di necessità (a differenza della 1^ ipotesi che concerne il "metodo mafioso") l’esistenza reale e non più semplicemente supposta del sodalizio, essendo impensabile un aggravamento di pena per il favoreggiamento di un’entità solo immaginaria. (Cass. Pen. Sez. 1^, 1327/1994 Rv. 197430 Torcasio; massime successive conformi: S.U. 10/2001, r.v. 218337).

La gravata sentenza va quindi annullata sul punto con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per gli imputati Ge.Lu., B. e Ga.Gi..

L’annullamento con rinvio si estende quindi alle accuse per i reati dei capi:

– sub A (riqualificato ex art. 378 c.p. per il solo B. F.);

– sub R; sub T; sub D, punto 5; sub G; sub N (contestati al solo Ge.Lu.);

– sub S (contestato a Ge.Lu. e B.F.);

– sub U (contestato con detta aggravante al solo Ge.Lu., aggravante esclusa invece per V. e M.);

– sub V (contestato al solo Ga.Gi.).

2.4) P.D.: i motivi di impugnazione e la decisione della Corte.

Il G.U.P. ha dichiarato P.D. colpevole del reato di cui al capo B) ed applicato l’art. 63 c.p., comma 4 lo ha condannato alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa e la Corte di appello ha ridotto la sanzione ad anni 4 e mesi 8 di reclusione ed Euro 800,00 di multa.

Con ricorso personalmente redatto il P. lamenta con il primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata la pronuncia di colpevolezza fondata su di un pregiudizio decisorio e con una sentenza fortemente deduttiva poco aderente alle dichiarazioni della persona offesa e con una asserzione insostenibile di assoluta affidabilità del D.P..

Il motivo è inaccoglibile per le medesime ragioni (qui da richiamarsi) dianzi indicate per il correo D. al 2.3.2):

trattasi infatti di doglianze non consentite, tenuto conto che il sindacato di legittimità, sulla valutazione operata dal giudice della cognizione, in merito ai fatti presupposto dell’applicazione di una norma processuale è limitato alla verifica della sussistenza e della logicità della motivazione adottata sul punto (Cass. pen. sez. 4^, 6222/2009 Rv. 243768), motivazione che, nella specie, risulta dotata di tutte le dovute caratteristiche di ragionevolezza, completezza e coerenza.

Con un secondo motivo si prospetta l’erronea esclusione della chiesta continuazione tra reati, giustificata dalla omessa allegazione della relativa documentazione.

Asserzione questa che si riferisce scorretta in quanto l’allegazione venne effettuata sia in primo che in secondo grado "in molteplicità ed esuberanza di copie" con precisazione dei dati necessari per il relativo giudizio.

Il motivo è fondato, atteso il compiuto onere di allegazione della parte, e la gravata sentenza va quindi annullata nei confronti di P., limitatamente alla riconoscibilità della continuazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli che – con libertà di giudizio – ponga rimedio al rilevato deficit motivazionale in relazione alla documentazione prodotta ed acquisita agli atti.

2.5) B.F.: i motivi di impugnazione.

B.F. è stato dal G.U.P. dichiarato colpevole dei reati di cui ai capi A) ed S).

La Corte di appello ha invece qualificato il fatto sub A) ascritto a B.F. come ricadente sotto le previsioni di cui all’art. 378 c.p., comma 2 e L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7 con irrogazione della pena di anni 3 e mesi 3 di reclusione.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il duplice aspetto della illogicità della motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova rappresentata:

dall’intercettazione telefonica del 13.08.2006 intercorsa tra Ge.Lu. e B.F.; dall’intercettazione ambientale del 23.08.2006 intercorsa tra Ge.Lu. e D. F.A.; dalle indagini difensive relative le condizioni meterologiche del giorno 13.08.2006.

Con un secondo motivo si lamenta erronea applicazione dell’art. 378 c.p. e mancanza di motivazione sul punto.

I motivi sono fondati nei termini che seguono.

Quanto alle due prime critiche, va rilevato in fatto che la Corte di appello, derubricando la condotta del B. in favoreggiamento personale, ha individuato nella telefonata 13 agosto 2006, intercorsa tra il B. ed il Ge. l’unica e sola condotta "favoreggiatrice" posta in essere dal ricorrente, e, per l’effetto, lo ha condannato per il reato di cui all’art. 378, comma 2 aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Il ricorso lamenta sul punto: da un lato la carenza di motivazione in ordine al procedimento logico interpretativo utilizzato per ritenere quale "criptico" il linguaggio utilizzato dal B. in ordine alla "pioggia", nonostante la documentazione circa la corrispondenza in fatto delle condizioni meteorologiche reali, rispetto a quelle comunicate dall’imputato e senza tener conto che, se vera fosse l’interpretazione favoreggiatrice, sostenuta dai giudici di merito, sarebbe difficilmente spiegabile la circostanza che, nonostante "l’avviso", il quale non poteva che essere per il destinatario chiaro ed univoco, la persona "favorita" sia stata tratta in arresto.

La doglianza è ragionevolmente fondata, posto che era obbligo del giudice di merito, a fronte della produzione documentale di tipo meteorologico, che avvalorava la "veridicità" e non la "convenzionalità criptica della comunicazione", di precisare le ragioni della diversa sua interpretazione, nonchè il reato presupposto, precisazione quest’ultima tanto più necessaria avuto riguardo all’annullamento con rinvio pronunciato per il reato associativo sub A).

Dalla rilevata carenza argomentativa consegue l’annullamento della gravata sentenza, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello per nuovo giudizio che, nella piena libertà delle valutazioni di merito di competenza, ponga rimedio al vizio di motivazione suindicato.

Con un terzo motivo si prospetta erronea applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7 e vizio di motivazione per il fatto-reato ex art. 378 c.p., anche questa doglianza è fondata per le ragioni dianzi indicate (cfr. retro 2.3.3 ultimi capoversi) ed è comunque assorbita dall’accoglimento del motivo che precede.

Con un quarto motivo (indicato come 2^) si evidenzia mancanza di motivazione e/o illogicità della stessa in ordine al capo S) della rubrica (intestazione fittizia di motoveicolo), considerato che nell’appello la corte distrettuale si sarebbe pedissequamente riportata all’ordinanza di custodia cautelare, in ordine alla configurabilità, in capo al B., del reato di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356 art. 12 quinquies, comma 1 con riferimento al motociclo Honda ed alle vicende negoziali successive concernenti la "permuta".

Il motivo è fondato solo in punto di contestazione dell’aggravante ex art. 7 ma è inammissibile per il resto.

Contrariamente all’assunto difensivo, esiste invero in atti una adeguata seppur stringata motivazione dei giudici di merito, con indicazioni puntuali delle conformi emergenze processuali, usate per la pronuncia di responsabilità, qui osservandosi che non può affatto considerarsi viziata per mancata risposta alle doglianze d’appello, la decisione della corte distrettuale che, come nella specie (pagg. 36 e segg.), non si è limitata ad una mera ed acritica riproduzione della sentenza di primo grado, ma, al contrario ha arricchito con autonome e conformi considerazioni il piano argomentativo, la struttura portante e le sequenze logico giuridiche che hanno imposto la conclusione di penale responsabilità del ricorrente.

La sentenza impugnata va quindi annullata con rinvio, limitatamente alla ritenuta aggravante ex art. 7, qui integralmente ripresa l’argomentazione dianzi formulata per gli imputati Ge.Lu. e Ga.Gi. (cfr. retro 2.3.3 ultimi capoversi).

Con un ultimo motivo il ricorso deduce mancanza di motivazione in ordine al negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, essendo il B. gravato di unico precedente in tema di falsa testimonianza.

Il motivo è fondato posto che a fronte di uno specifico e non generico motivo di appello la corte distrettuale ha omesso qualsivoglia motivazione, neppure per relationem.

La gravata sentenza va quindi annullata sul punto per nuovo giudizio che dia ragionevole e adeguata risposta alle censure ritualmente proposte e non genericamente formulate nell’atto di appello.

2.6) Ga.Gi.: i motivi di impugnazione.

GA.Gi. è stato dal G.U.P. dichiarato colpevole dei reati di cui ai capi A), O), V).

La Corte di appello ha invece assolto il Ga.Gi. dalla imputazione sub O) per non aver commesso il fatto determinando la pena in anni 3 e mesi 4 di reclusione.

La corte distrettuale, in parziale riforma della decisione del G.U.P., ha escluso per il Ga.Gi. le attenuanti generiche già riconosciute, e con la riduzione per il rito lo ha condannato alla pena di anni tre mesi quattro di reclusione per il reato ex art. 416 bis c.p., assolvendolo invece dal reato di tentata estorsione aggravata (capo O della rubrica).

Con un unico articolato motivo si prospetta nullità della sentenza per violazione di legge in relazione all’art. 416 bis c.p., art. 192 c.p.p.; art. 125 c.p.p.; art. 597 c.p.p., commi 3 e 4, nonchè vizio di motivazione per evidente, manifesta illogicità e contraddittorietà risultante dal testo impugnato e dagli atti richiamati in ricorso e per travisamento della prova.

Il motivo è fondato nei termini dianzi argomentati per i correi Ge.Lu., Gu. e D.F.: da ciò annullamento con rinvio della gravata sentenza con la precisazione che l’annullamento per il reato associativo travolge l’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 quale indicata per il capo sub V), essendo stata nella specie contestata la specifica finalità di favorire l’attività della associazione mafiosa e qui richiamate le argomentazioni l’argomentazione dianzi formulata per gli imputati Ge.Lu. e B. (cfr. retro 2.3.3 ultimi capoversi).

2.7) V.E.: i motivi di impugnazione.

V.E. è stato dal G.U.P. dichiarato colpevole del reato di cui al capo T) e la Corte di appello ha escluso, quanto alle accuse sub T) ed U), rispettivamente ascritte a V.E. e M. C., l’aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7 fissando la pena in anni 1 e mesi 6 di reclusione.

V.E., dipendente della (OMISSIS) s.r.l. di Ge.

L., lamenta con unico motivo vizio di motivazione in punto di elemento soggettivo del reato, senza che la prova del dolo specifico della intestazione fittizia sia stata giustificata da circostanze significative idonee a supportarlo.

Il motivo è infondato.

Esiste sul punto una doppia conforme pronuncia dei giudici di merito, connotata da una giustificazione plausibile, priva di illogicità, aderente agli esiti ed alle emergenze processuali, non superabile in sede di legittimità mediante diverse alternative costruzioni degli eventi.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna al pagamento delle spese processuali.

2.8) M.C.: i motivi di impugnazione.

M.C. è stato dal G.U.P. dichiarato colpevole del reato di cui al capo U) e la Corte di appello ha escluso, quanto alle accuse sub T) ed U), l’aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7 fissando la pena in anni 1 e mesi 6 di reclusione.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies e con una affermazione di responsabilità, resa senza alcuna risposta alle deduzioni specifiche dell’appello.

Il ricorso rileva che nei motivi di appello si era lamentato che dagli elementi di accusa utilizzati dal primo giudice (intercettazioni di conversazioni telefoniche: la n. 704 del 10/7/2006; la n. 150 del 20/7/2006 ed inoltre intercettazioni ambientali dei colloqui in carcere tra Ge.Lu. e D.F. A. del 23 e del 30 Agosto del 2006) non si evinceva con assoluta certezza: che le persone coinvolte facessero effettivamente riferimento all’autovettura intestata al M.; che la eventuale intestazione fittizia da parte del M. fosse stata pienamente libera e spontanea e non subita dallo stesso imputato; che sussistesse il dolo specifico, e cioè la finalità di eludere le misure di prevenzione patrimoniale, considerato pacificamente elemento necessario per la configurabilità del delitto in questione.

Il motivo è inaccoglibile per le identiche medesime ragioni dianzi sviluppate per il V. ed avuto preciso riguardo al doppio conforme giudizio di responsabilità ed alla compiutezza della giustificazione offerta in punto di responsabilità.

Per consolidata giurisprudenza, eccede infatti dalla competenza della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito risultando nella specie: sia la corretta esposizione delle ragioni – giuridicamente apprezzabili – che hanno originato la decisione, sia l’assenza di illogicità nell’esposizione, per la verificata coerenza delle argomentazioni, rispetto al fine che le hanno determinate ed ai risultati concreti di prova.

Con un secondo motivo si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche senza motivazione da parte della corte distrettuale nonostante la precisa e motivata richiesta nell’atto di appello.

Il motivo è inammissibile per la sua palese infondatezza: a pag. 436 della decisione del G.U.P. risulta infatti che al M. (come pure al V.) sono già state riconosciute ed applicate – nella determinazione della sanzione – le circostanze attenuanti generiche in ragione della sua incensuratezza.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del M. al pagamento delle spese processuali.

In definitiva, e concludendo in relazione a tutti i ricorsi proposti, la gravata sentenza va annullata con rinvio nei confronti:

a) di Ge.Lu., Gu., D.F. e Ga.Gi. in ordine al reato associativo del capo sub A), nonchè, quanto al Ga.Gi., in ordine anche alla mancata applicazione delle attenuanti generiche e quanto alla Gu., anche in ordine alla confisca dell’autovettura Alfa Romeo;

b) di Ge.Lu., B. e Ga.Gi., limitatamente all’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 e alle imputazioni loro rispettivamente ascritte ai capi sub A ( art. 378 c.p.), D), G), N), R), S), T), U) e V) e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, con rigetta nel resto dei ricorsi di Ge., Ga.Gi. e Gu.;

c) di P.D., limitatamente alla riconoscibilità della continuazione e rinvia per l’esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, con rigetto nel resto del ricorso;

d) di B.F., limitatamente al reato di cui all’art. 378 c.p. e alla riconoscibilità delle attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, con rigetto nel resto del ricorso. e) di D.M., limitatamente alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, con rigetto nel resto del ricorso.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.

Rigetta i ricorsi di V.E. e M.C., che condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di GE.LU., GU.AN., D.F.A. e GA.GI. in ordine al reato associativo, nonchè quanto al GA.GI. in ordine anche alla mancata applicazione delle attenuanti generiche e quanto alla GU. anche in ordine alla confisca dell’autovettura Alfa Romeo, e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Rigetta nel resto i ricorsi di GE., GA.GI. e GU..

Annulla altresì la stessa sentenza nei confronti di P. D. limitatamente alla riconoscibilità della continuazione e rinvia per l’esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Rigetta nel resto il ricorso.

Annulla la stessa sentenza nei confronti di B.F. limitatamente al reato di cui all’art. 378 c.p. e alla concedibilità delle attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Rigetta nel resto il ricorso.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.

Rigetta i ricorsi di D.M., V.E., M. C., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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