Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-03-2011, n. 1563 Ricorso per revocazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Gli odierni appellanti in revocazione facevano valere la pretesa alla liquidazione delle prestazioni di lavoro straordinario relative al periodo 19972001, in ordine alle quali in primo grado veniva emesso decreto ingiuntivo, opposto dall’amministrazione.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia.Romagna, con la sentenza n. 2756 del 2003, respingeva l’opposizione ministeriale, osservando come gli interessati, i quali non avevano potuto fruire del riposo compensativo, avessero diritto al pagamento delle ore di servizio effettivamente prestate in eccedenza al normale orario lavorativo.

Questa Sezione, con la decisione n. 1435 del 12 marzo 2009, in accoglimento dell’appello proposto dall’amministrazione interessata ed in riforma della suddetta sentenza, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 2 del 203 emesso dal TAR in prime cure, dopo avere ricostruito il relativo quadro giuridico di riferimento per la liquidabilità delle prestazioni straordinarie, rilevando in sintesi come:

– la controversia riguardasse in effetti il (mancato) pagamento delle ore di lavoro straordinario prestate, eccedenti il limite massimo procapite liquidabile secondo il monte ore previsto, rispetto al quale soltanto era assicurata la corrispondente copertura finanziaria;

– non fosse stata fornita prova alcuna dell’effettiva autorizzazione preventiva a svolgere le prestazioni straordinarie della cui liquidazione v’era discussione;

– non potessero essere considerati sostitutivi di tale autorizzazione eventuali atti prodotti in giudizio, ancorché provenienti dalla stessa Amministrazione, trattandosi di meri prospetti riassuntivi delle prestazioni lavorative rese complessivamente e mensilmente da ogni singolo dipendente, senza fornire alcun elemento circa il provvedimento autorizzatorio allo svolgimento di prestazioni eccedenti l’orario d’obbligo;

non vi fosse traccia, in atti, neppure di una autorizzazione in sanatoria, non potendo ritenersi a tal fine utile la circostanza che le prestazioni eccedenti l’orario ordinario siano state rese in esecuzione di appositi ordini di servizio, atteso che, come osservato nella parte relativa alla ricostruzione normativa, la particolare natura dell’ordinamento militare fa ragionevolmente ritenere che qualsiasi attività espletata sia sempre direttamente ricollegabile ad un ordine di servizio, senza che perciò quest’ultimo possa automaticamente ed implicitamente valere come provvedimento autorizzativo allo svolgimento di lavoro oltre l’orario d’obbligo;

– gli interessati potessero unicamente far valere il titolo a riposi compensativi.

2.- Con il gravame in esame, i militari ricorrenti in revocazione per errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 del codice di procedura civile, hanno sostenuto che la Sezione non si sarebbe pronunciata su un elemento decisivo costituito dalla "memoria depositata in data 25 novembre 2008", non considerata dalla decisione impugnata e, in particolare, sulle ragioni in tale atto difensivo addotte, vale a dire: il riposo compensativo essere fruibile solo entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale le ore aggiuntive siano state rese e non ipotizzabile nei confronti del personale deceduto o collocato in quiescenza; la espressa richiesta formulata di compensazione tra debito/credito monetario a termini dell’art, 1242 del codice civile; la pretermissione di precedenti favorevoli; il fatto che l’indirizzo giurisprudenziale evocato dalla decisione revocanda si era formato solo a partire dalla fine del 2006.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio e con la memoria depositata in data 2 luglio 2009 ha concluso per il rigetto dell’appello, non trattandosi nella specie di una erronea percezione degli atti processuali.

Gli odierni appellanti, con la memoria versata il 2 ottobre 2009, hanno domandato espressa pronuncia sulla richiesta avanzata di compensazione monetaria per equivalente economico.

All’udienza del 23 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

3.- Ad avviso del Collegio, il ricorso in revocazione oggetto di esame è inammissibile, sia perché il vizio revocatorio lamentato non è per nulla decisivo e sia perché il giudice d’appello censurato, come da suestesa esposizione in fatto, si è limitato ad argomentare unicamente sull’assorbente rilievo della non spettanza retributiva di prestazioni orarie non autorizzate e non rientranti nel monte orario pianificato come liquidabili: d’altro canto, l’epigrafe della decisione dà atto della presa in considerazione delle memorie prodotte dalle parti.

Ora, com’è noto, l’errore di fatto, il quale può dar luogo a revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., consiste nell’erronea percezione degli atti di causa, che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita: ma, nella specie, non si controverte su un fatto se esistente o meno, bensì fatto della questione se spetti o meno la pretesa introdotta.

Peraltro, l’errore revocatorio è deducibile solo se il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato e presuppone quindi il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti: nel giudizio revocando v’è stata, però, contestazione proprio sul punto della debenza per le ore aggiuntive di straordinario non liquidabili.

Infine, l’errore di fatto deve essere decisivo, nel senso che l’erronea affermazione dell’esistenza di un fatto la cui realtà, invece, debba ritenersi positivamente esclusa in base al tenore degli atti o documenti di causa può costituire motivo di revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., solo se sussiste un rapporto di causalità necessaria fra l’erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito, dovendosi invece escludere che tale mezzo di impugnazione possa essere utilizzato in relazione ad errori incidenti su fatti che, non decisivi in se stessi, devono essere valutati in un più ampio contesto probatorio, anche quando, nell’ambito appunto della globale valutazione degli elementi di prova, l’elemento pretermesso avrebbe potuto in concreto assumere un rilievo decisivo (Cass. civ. Sez. lav. 28.8.1997, n. 8118): senonchè, nella fattispecie, non solo difetta il nesso di causalità, ma la memoria non è per nulla decisiva, quand’anche pretermessa, perché l’infondatezza della pretesa avanzata è stata pronunciata con riguardo al quadro di riferimento giuridico ricostruito nella decisione revocanda.

Nella specie, pertanto, facendo applicazione al caso di specie dei criteri ora enunciati, costantemente seguiti da questo Consiglio di Stato e recentemente ribaditi (Sez. IV: 18 febbraio 2010, n. 949; 27 giugno 2007, n. 3750; 26 aprile 2006, n. 2278; 28 febbraio 2005, n. 743), può agevolmente escludersi che la decisione di questa sezione n. 1435 del 2009 integri la fattispecie dell’errore revocatorio in base all’art. 395, n. 4, c.p.c..

4.- In realtà, quel che, ad avviso dei ricorrenti, integrerebbe un errore di fatto, altro non è che il frutto dell’interpretazione dei documenti presenti agli atti di causa operata dal Collegio decidente, in particolare quanto alle richiamate mancate prove: a ciò, viene solo contrapposta una personale valutazione di essi avulsa dalla realtà documentale e giuridica.

I deducenti, infatti, con diffuse argomentazioni, si limitano a confutare le considerazioni svolte dalla Sezione per accogliere l’appello e, così facendo, finiscono per richiedere un ulteriore grado di giudizio e non, come prevede lo strumento della revocazione, la correzione di una svista ovvero di un errore in cui sia incorso il giudice nella rappresentazione della realtà fattuale e giuridica portata alla sua attenzione: tanto, l’ordinamento processuale non lo consente.

Ad ogni modo, per quanto possa occorrere, il problema revocatorio ventilato non si pone proprio: male hanno fatto gli interessati a non fruire in tempo utile dei riposi compensativi, come analogamente accade per le ferie, e quindi non possono ora venire contro un fatto proprio; il merito assorbe ogni decisione cautelare di segno opposto; i precedenti valgono come orientamento e non possono condizionare la fattispecie.

Quanto alla prospettata compensazione monetaria per equivalente economico, è sufficiente rilevare che la compensazione presuppone ed implica due ragioni di credito reciproche, laddove nella fattispecie non esiste in radice un credito: invero, nel giudizio revocando è stata controversa proprio l’esistenza del credito fatto valere in via ingiuntiva, non sussistendo alla base alcun valido titolo, che per la Contabilità di Stato si forma solo quando la pretesa sia certa, liquida ed esigibile.

Segue da ciò che la dedotta compensazione non può operare, perché non sono credito un beneficio orario compensativo non remunerabile se non fruito ed una prestazione straordinaria non autorizzata e, in quanto tale, non certa, liquida ed esigibile.

Giustamente il Collegio decidente ha quindi riformato la sentenza gravata d’appello e revocato l’erroneo decreto ingiuntivo rilasciato in prime cure.

6.- Alla stregua delle considerazioni tutte che precedono, il ricorso per revocazione in esame deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite relative all’odierna fase, che si liquidano a favore dell’Amministrazione resistente nella misura complessiva di Euro 5.500,00 (euro cinquemilacinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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