Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-02-2011) 14-03-2011, n. 10184 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

volgimento del processo

C.M. è imputata del delitto ex art. 110 c.p. – L. Fall., art. 216, comma 1 e art. 219, con riferimento al fallimento della sas CRISCITTNO LUIGI A C. (della quale il padre era socio accomandatario), dichiarato con sentenza 2.6.2000, perchè, come amministratrice della srl IMMOBILPRESTIGE, concorreva nella distrazione di un immobile, che veniva ceduto dalla sas alla srl per un corrispettivo di L. 240 milioni, corrispettivo mai incassato e mai registrato dalla società venditrice, nonchè del delitto ex art. 110 c.p. – art. 223 c.p. in rel.ne L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1 – art. 219, comma 2, n. 1, con riferimento al fallimento della srl GILIA (del quale il padre era amministratore), dichiarato con sentenza 11.4.2000, perchè, sempre quale amministratrice della IMMOBILPRESTIGE, concorreva nella distrazione di denaro liquido e beni immobili, non essendovi alcuna prova dell’avvenuto pagamento del prezzo di tale cessione immobiliare.

D.R. (titolare della srl DECOPRINT) e L.A. (titolare della srl ENTERPRESS) sono imputati del delitto ex art. 110 c.p. – L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1 – art. 219, comma 2, n. 1, con riferimento al fallimento della sas CRISCITTNO LUIGI & C, perchè concorrevano alla distrazione di immobili per un valore dichiarato di oltre L. 4 miliardi 663 milioni, che la predetta sas cedeva alla DECOPRINT, la quale, tra l’altro, si accollava mutui e debiti della cedente, immobili che la DECOPRINT rivendeva per un prezzo maggiorato di L. 50 milioni alla ENTERPRESS, non provvedendo, però, nè a estinguere il mutuo, nè a pagare i debiti della sas CRISCITINO. In primo grado ai tre predetti venivano riconosciute le attenuanti generiche; C.M., ritenuta la continuazione, veniva condannata alla pena di anni 5 di reclusione, D. e L. alla pena di anni 4; a tutti venivano applicate le previste pene accessorie.

La CdA di Napoli, investita della impugnazione degli imputati, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma parziale della pronunzia di primo grado, ha rideterminato la pena per C.M. in anni 3 e mesi 6 di reclusione, rimodulando la pena accessoria e ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti di D. e L..

Tutti e tre gli imputati ricorrono per Cassazione.

C.M. e L.A., con separati, ma contenutisticamente identici, ricorsi, deducono violazione di legge processuale e sostanziale e manifesta illogicità di motivazione, argomentando come segue.

I giudici del merito non hanno minimamente chiarito in base a quali elementi ritengono sussistente in capo ai due ricorrenti l’elemento psicologico del delitto loro attribuito.

Il fatto che il L. sia nipote di C.L. e che M. ne sia la figlia, ovviamente, non può legittimare gratuite presunzioni (oltretutto, altri congiunti sono stati assolti).

Il prezzo della cessione fu contenuto in quanto gli acquirenti si accollarono le rate di mutuo scadute e da scadere.

Il fatto che la cessione dei beni di cui al capo di imputazione sia stato ritenuto un atto in danno dei creditori non può configurare automaticamente la responsabilità degli acquirenti, finchè non si prova che essi conoscessero sia lo stato di decozione (e dunque la prevedibile insolvenza) della sas LUIGI CRISCITINO & C, sia le intenzioni del titolare della predetta sas e intendessero dare un contributo al suo disegno di depauperamento della società. Il dolo dell’extraneus non si configura come quello che caratterizza la posizione dell’imprenditore o dell’amministratore.

Oltretutto, il tempo trascorso tra l’operazione per la quale i due sono chiamati in causa e la dichiarazione di fallimento rende evidente l’estraneità di C.M. (con riferimento alla quale non vi è prova della natura simulatoria della vendita) e L. al disegno criminoso del C.L..

Insomma, la condanna dei due ricorrenti si fonda solo su congetture e supposizioni, mentre la loro condotta rispecchia, in realtà, una normale attività di impresa, anche perchè il mancato pagamento del prezzo non può ex se assurgere a ipotesi di reato, anche perchè sussistevano altri crediti non incassati.

Entrambi questi imputati deducono poi – subordinatamente – violazione degli artt. 133 e 81 c.p..

La CdA non ha tenuto conto della loro personalità. Si tratta di soggetti incensurati e la pena non può essere commisurata unicamente sulla pretesa gravità del fatto. Vi era, viceversa, possibilità di applicare il trattamento sanzionatorio con riferimento al minimo edittale.

D.R., a sua volta, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 110 c.p. e L. Fall., art. 216. atteso che, se può convenirsi che, nella bancarotta distrattiva, il dolo dell’intraneus sia qualificabile come dolo generico, lo smesso non può dirsi per l’extraneus, per il quale è certamente richiesto un quid pluris; occorre invero la prova che effettivamente l’extraneus fosse a conoscenza dello stato di decozione dell’impresa alienante e che vi fosse un accordo a tal fine tra l’imprenditore e il terzo.

Il ricorrente certamente non conosceva lo stato di decozione nel quale versava la sas CRISCITINO LUIGI A C, con la conseguenza che è stato erroneamente ritenuto il concorso del predetto nel delitto di bancarotta.

Deduce inoltre – subordinatamente – violazione dell’art. 133 c.p..

La CdA ha rideterminato il trattamento sanzionatorio in maniera del tutto disarmonica, riducendo notevolmente la pena per C. M. e lasciandola invariata, per gli altri imputati, così sottraendo la sanzione anche alla funzione rieducativa ex art. 27 Cost., comma 3.

E’ noto che la pena deve essere graduata secondo la gravità della colpa o la intensità del dolo.

I giudici del merito hanno viceversa tenuto conto della pretesa intensità del danno. Ma, in tal maniera, non si è tenuto conto del fatto che il D. certamente non poteva rappresentarsi lo stato di decozione della azienda alienante; in realtà, per quel che riguarda questo imputato, l’elemento psicologico è praticamente assente.

Nessun conto poi ha tenuto la CdA della condotta post delictum di questo imputato. Egli, come riconosciuto nella sentenza di primo grado, ha di fatto risarcito il danno, versando alla curatela ben Euro 650 mila, somma ritenuta equa dal comitato dei creditori.
Motivi della decisione

I tre ricorsi presentano struttura sostanzialmente simile e dunque possono essere esaminati congiuntamente.

Essi si articolano su due censure: con la prima si sostiene che la CdA ha erroneamente applicato la legge e ha fatto cattivo uso dei principi della logica nel ritenere certa la colpevolezza dei ricorrenti, atteso che non è rimasta provata la sussistenza dell’elemento psicologico del reato di bancarotta, dal momento che nessuno di essi riveste il ruolo di imprenditore fallito o di amministratore di società fallita, ma – viceversa – quello di semplice extraneus, vale a dire di soggetto con il quale la sas CRISCITINO LUIGI 4 C. e la srl GILIA sono entrati in contatto per cedere beni societari.

Con la seconda (subordinata) si contesta la correttezza del trattamento sanzionatorio, come rideterminato (o ribadito) in secondo grado.

Ebbene la prima censura è infondata (ai limiti della inammissibilità). La sussistenza e la natura dell’elemento psicologico, quando non siano espilatati dall’interessato (es. nel corso di una conversazione intercettata) non possono che essere dedotti, secondo la costante -e anche più risalente- giurisprudenza, dalle modalità dell’azione (es. ASN 198604958-RV172983).

Ebbene, la CdA individua alcuni "indicatori", dai quali deduce, non illogicamente, il convincimento che i tre ricorrenti erano ben consapevoli dello stato di decozione in cui versavano la sas e la srl e intesero collaborare nell’opera di dispersione del patrimonio sociale.

Innanzitutto, deve essere chiarito che, come emerge dal capo di imputazione, i negozi con i quali le due società si spogliarono degli immobili non si collocano affatto in epoca remota rispetto alla dichiarazione di fallimento. Invero, come premesso, essendo stato il fallimento della sas CRISCITINO LUIGI & C. dichiarato il 2.6.2000, la cessione dell’immobile alla IMM0BILPRESTIGE avvenne il 14.1.1999, quella a favore della DECOPRINT meno di un mese prima (18.12.1998);

il fallimento della srl GHIA fu dichiarato in data 11.4.2000 e la cessione dell’immobile avvenne, ancora una volta, il 14.1.1999 (dunque, nello stesso giorno, C.M. concluse con il padre le due "operazioni").

La DECOPRINT ( D.) mutò oggetto sociale – per renderlo congruente con l’operazione che si accingeva a compiere – solo alcuni giorni prima della stipula con la quale la CRISCITINO sas le cedeva ben 30 immobili. Alcuni giorni prima della conclusione del contratto, gran parte delle quote sociali della società acquirente furono intestate a un dipendente di C.L. (tale G. A.).

La INTERPRESS ( L.) venne costituita il giorno prima che la sas CRISCITINO LUIGI & C. cedesse gli immobili alla DECOPRINT. Poco dopo avere acquisito il compendio immobiliare, la DECOPRINT lo cedette, in pratica con un modestissimo ricavo, alla INTERPRESS. La DECOPRINT si accollò il mutuo gravante sugli immobili ceduti dalla CRISCITINO sas (tale accollo rappresentava la parte principale del "pagamento" del prezzo), ma il mutuo non fu mai estinto dall’acquirente. Per di più, L. 100 milioni furono versati formalmente dall’acquirente nelle casse della sas, ma la somma venne imputata alla voce "conto finanziamento C.L.", dunque fin) nelle sue tasche.

Il prezzo nominalmente pagato da C.M. al padre per le due operazioni immobiliari (venditrici sas CRISCITTNO e srl GHIA) non risulta essere stato mai incassato.

Ebbene, muovendo da tali, non contestate, emergenze probatorie, la CdA giunge alla conclusione che le predette operazioni furono ideate e portate a esecuzione per "svuotare" sia la sas che la srl, in vista dell’imminente fallimento, facendo letteralmente "scomparire" le giacenze di cassa e dirottando i beni immobili presso soggetti vicini al C.L., vale a dire la figlia M., il nipote L.A., il dipendente G.A..

Le sopra illustrate modalità delle "operazioni" appena descritte rendono evidente, per la CdA, che tutti i protagonisti delle stesse agirono in base ad accordi precedentemente presi, accordi che comportavano divisone di ruoli e compiti, scansione delle successive fasi, rispetto dei tempi concordati.

Ed è evidente (o almeno dovrebbe esserlo) che, quando c’è previo accordo per il raggiungimento di un comune fine contra legem (anche se non necessariamente per tutti vantaggioso), non può mancare la consapevolezza, il consenso e la condivisione.

L’assunto dei giudici di merito consiste, dunque, nella convinzione che C.L., la figlia, il nipote e il D. avessero cooperato in tale opera di spoliazione.

E l’assunto, per quel che si è appena scritto, non può certo essere tacciato di arbitrarietà.

E, dunque, l’azione dell’extraneus nel delitto di bancarotta distrattiva, anche se – in ipotesi – egli non ricava alcun vantaggio personale dalla distrazione, in tanto è punibile in quanto sia il frutto di un accordo con l’intraneus.

Tale è, per i giudici di merito, il caso in scrutinio.

Quanto alla pena, i ricorrenti (in special modo il D.) sembrano sovrapporre il momento dell’accertamento del dolo con quello della valutazione della sua intensità. Invero, non ha senso invocare un più lieve trattamento sanzionatolo perchè si sostiene di avere agito senza dolo, in presenza della contestazione di un delitto doloso. Se il dolo manca, il soggetto va assolto; pertanto, se si articola una subordinata, partendo – necessariamente – dal presupposto della condanna, non si può "tornare" sull’argomento mancanza (o evanescenza) del dolo. Manifestamente infondata è poi la pretesa di dare una lettura parziale del dettato dell’art. 133 c.p., che, come dovrebbe essere noto, ai nn. 1) e 2) del comma 1, impone al giudice una valutazione di tipo oggettivo, vale a dire una valutazione attinente al reato (e dunque alla sua gravità, includendo, ovviamente, la gravità del danno); al successivo n. 3) e al comma 2 il predetto articolo introduce la valutazione dell’elemento psicologico e sulla personalità dell’imputato.

Dunque, non ha certo violato tale norma il giudice di secondo grado quando, considerando la obiettiva gravità del danno causato dalla cooperazione di L. e D. nella spoliazione della CRISCITINO sas (distrazione di ben 30 immobili per un valore di alcuni miliardi), ritiene siano meritevoli di pena più elevata rispetto a quella (diminuita in appello) applicata a C. M..

Per altro costituisce jus receptum (tra le tante: ASN 199604790-ftV 204768) il principio in base al quale, nella determinazione della pena, il giudice può dare prevalenza a uno dei criteri di valutazione ex art. 133 c.p., subordinando gli altri, atteso che, di volta in volta, può far prevalere quelli che attengono alla personalità del colpevole, ovvero o all’entità del reato e/o alle modalità di esecuzione dello stesso.

Per quanto specificamente riguarda C.M., deve dirsi che, contrariamente a quel che si sostiene nel relativo ricorso, i giudici di appello ne hanno valutato la personalità, il concreto contributo offerto alla consumazione del reato e, in particolare, la natura del rapporto che la legava al C.L.: e per tale motivo hanno ridimensionato il trattamento sanzionatorio.

Fondata è, viceversa, l’ultima argomentazione della seconda censura del D..

La sentenza impugnata da atto (fol. 7, in fine) del fatto che questo imputato ha proceduto a una, sia pur parziale, riparazione del danno.

Correttamente i giudici di appello osservano che, trattandosi di un post factum, tale con dotta non può avere rilievo alcuno per quel che riguarda la colpevolezza; trascurano tuttavia qualsiasi valutazione della condotta medesima ai fini della eventuale rideterminazione della pena.

In altre parole, è la stessa sentenza che attesta la circostanza, ma poi omette di valutarla ai fini sanzionatori.

Conclusivamente: i ricorsi di C.M. e di L. meritano rigetto (con la conseguenza che i predetti vanno singolarmente condannati alle spese del grado), quello del D. deve essere accolto per quel che riguarda il trattamento sanzionzionatorio (con conseguente parziale annullamento con rinvio per nuovo esame, sul punto, della sentenza impugnata): va rigettato nel resto.

Giudice di rinvio è una diversa sezione delle medesima CdA.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.R. limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli; rigetta nel resto il ricorso del D.; rigetta i ricorsi C.M. e L.A. e condanna ciascuno di essi al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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