Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-02-2011) 14-03-2011, n. 10183 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Roma ha confermato, con riferimento ad A.G., la sentenza di primo grado, con la quale il predetto fu condannato alla pena di giustizia, in quanto ritenuto colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, con riferimento al fallimento della srl VILLA CLODIA, dichiarato con sentenza del 26.10.1991.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione degli artt. 516 e 522 c.p.p. e difetto di motivazione, atteso che, nel capo di imputazione, l’ A. è indicato come amministratore della srl dal 17.4.1986 al 29.6.1988, laddove in sentenza si assume che egli abbia rivestito tale carica sino al 29.6.1989.

La CdA, investita della censura, ha replicato che il capo di imputazione conteneva un errore materiale, come desumibile dalla indicazione della data di inizio del mandato del successivo amministratore, T.A., ma così argomentando, la Corte territoriale dimentica che, sempre nel capo di imputazione, il dies a quo del T. viene indicato nel 26 (e non nel 29) giugno. Nè può farsi riferimento, come pure la CdA fa, alle dichiarazioni del curatore che in dibattimento avrebbe indicato il periodo sino al 29.6.1989, con conseguente -per il giudice di secondo grado – possibilità dell’imputato di difendersi nel merito. Così ragionando si potrebbe giungere addirittura a sostenere la inutilità del capo di imputazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e merita rigetto. Il ricorrente va condannato alle spese del grado.

Le sentenze di merito descrivono il ruolo del ricorrente come quello del deus ex machina nell’ambito della srl VILLA CLODIA, società della quale l’ A. fu tra i fondatori, società costituita, per quel che si legge in sentenza e che il ricorrente non nega, per "svuotare" la collegata srl FINLIDO. All’ A. successe, come premesso, il T., pacificamente individuato come "testa di legno" (soggetto, a quanto si legge, molto richiesto da tutte le società in procinto di fallimento).

Pur dopo la cessazione dalla carica, il ricorrente, scrivono i giudici di appello, continuava ad esercitare la sua influenza, era al corrente di tutto e continuava ad essere inserito nella dinamica finanziaria della società.

A suo favore il 16.3.1990 e il 21.3.1990 furono emessi due assegni tratti sul conto della srl, rispettivamente per L. 30 e per 21 milioni. La causale è rimasta ignota, come la destinazione dei fondi.

Così stando le cose, la CdA ha ritenuto irrilevante l’erronea indicazione, nel capo di imputazione, della data della cessazione "formale" dalla carica (29.6.1988, invece che 29.6.1989), anche perchè il suo "successore" (il sopra indicato T.) risulta in carica, come da capo di imputazione, dal 26.6.1989 all’11.11.1989.

L’errore, evidentemente, si estende anche alla sovrapposizione di tre giorni (dal 26 al 29.6.1989, nei quali sembrerebbero essere in carica due amministratori: il ricorrente e il T.).

Sostenere, in presenza del quadro probatorio sopra descritto, che l’ A. abbia visto leso o solo compresso il suo diritto di difesa appare in condivisibile, sia perchè, come premesso, allo stesso è attribuito un ruolo de facto che va ben oltre quello derivante dalla carica formale di amministratore, sia perchè, come osserva la CdA, sulla base delle dichiarazioni del curatore, all’imputato non poteva certamente essere rimasta ignota la sostanza degli addebiti a lui contestati.

Invero, come è noto, il principio di correlazione tra contestazione e sentenza non va inteso in senso meccanicistico e formale, ma in funzione della finalità cui è ispirato, che è quella della tutela del diritto di difesa.

La verifica dell’osservanza di detto principio non può esaurirsi, quindi, in un mero confronto letterale (nel caso in esame, letterale e numerico) tra imputazione e sentenza, ma va condotta sulla base della possibilità assicurata all’imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto (tra le tante: ASN 199208411 – rv 191485).

Ciò non comporta, come scrive il ricorrente per evidente amore di paradosso, l’inutilità del capo di imputazione, che certamente continua a segnate il perimetro entro il quale gli addebiti possono essere utilmente mossi (e, in certa misura, modificati) all’imputato, ma che certo non può trasformarsi in un feticcio processuale, non possibile di interpretazione sulla base degli elementi concretamente emergenti all’esito delle indagini e dell’istruttoria dibattimentale, specie se di natura documentale e, in quanto tali, sempre disponibili per l’interessato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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