Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-02-2011) 14-03-2011, n. 10182 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lucca, giudice di secondo grado, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale L.G. era stato condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in quanto ritenuto colpevole del delitto ex artt. 81, 594 e 612 c.p. in danno di M.E. e G. P., con riferimento ad episodi verificatisi il (OMISSIS).

Con il ricorso, il difensore dell’imputato deduce nullità del ricorso introduttivo della citazione a giudizio per imprecisa indicazione del tempo di consumazione di uno dei due episodi, erronea applicazione dell’art. 612 c.p. e art. 192 c.p.p., con riferimento all’episodio del giorno (OMISSIS) e violazione dell’art. 192 c.p.p., nonchè mancanza di motivazione con riferimento all’episodio del giorno (OMISSIS).

Sostiene il ricorrente che il tempus commissi delicti con riferimento al primo episodio, fissato nel capo di imputazione al giorno 10.6.2006, è indicato in narrativa in maniera approssimativa (pochi giorni prima o dopo il 10). Ciò ha generato incertezza del capo di imputazione, con conseguente lesione del diritto di difesa, atteso che la mancata indicazione del giorno in cui i fatti si sarebbero verificati, impedisce all’imputato di indicare, ad es., un eventuale alibi.

Per quanto poi riguarda specificamente il delitto di minaccia, i giudici del merito non hanno minimamente motivato sulla sussistenza del concreto timore nei destinatari delle frasi asseritamente pronunziate dal L., per altro soggetto settantenne che non poteva far paura a nessuno. Il Tribunale, poi, non ha voluto considerare che le dichiarazioni del teste G. sono sicuramente false, dal momento che lo stesso afferma che l’imputato, al momento del fatto, si sarebbe trovato sul tetto di un edificio, dove sarebbe giunto passando da una finestra. Come dimostrato documentalmente dalla difesa, ciò non era possibile, perchè la finestra era fornita di sbarre. Inoltre, il giudice di appello ha ritenuto infondata la censura con la quale si dubitava della attendibilità di un teste per essere detta persona un dipendete delle presunte PP.OO, laddove è di tutta evidente che un dipendente difficilmente rilascerà dichiarazioni sfavorevoli al suo datore di lavoro.

Infine, rileva il ricorrente, tutte le argomentazioni del giudice di secondo grado riguardano l’episodio del giorno (OMISSIS), nulla risultando nella sentenza di secondo grado circa l’episodio del giorno (OMISSIS), oggetto di specifiche censure nei motivi di appello.
Motivi della decisione

La prima censura è manifestamente infondata. E’ evidente che la indicazione alternativa (e con un limitato grado di approssimazione) della data di commissione del reato non può determinare la genericità del capo di imputazione, quando l’episodio sia sufficientemente indicato nella sua dinamica e non si inserisca in un comportamento "seriale" dell’imputato, il che renderebbe problematica la ricostruzione storica e la memorizzazione dei fatti.

Nè potrebbe parlarsi di una mancanza di corrispondenza tra quanto contestato in imputazione e quanto ritenuto in sentenza, atteso che, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 c.p.p., deve tenersi conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (tra le tante, ASN 200815655 – RV 239866).

Ebbene il tendoni, presente in udienza, ha ricevuto contestazione dei fatti e ha avuto possibilità di ascoltare domande e contestazioni e dunque di difendersi nel merito. La lesione del diritto di difesa, poi, deve essere effettiva e non meramente congetturale, atteso che occorre dimostrare che l’incertezza di data ha effettivamente impedito all’imputato di articolare valida difesa. Tale non è, ad evidenza, il caso di specie, atteso che il L. parla, in via del tutto ipotetica, di alibi che avrebbe potuto far valere.

La seconda censura è del pari manifestamente infondata, atteso che al L. sono attribuite frasi dal significato obiettivamente minaccioso, frasi che, secondo l’id quod prelumque accidit sono atte a destare quantomeno turbamento nell’animo del destinatario. Anche se non sempre le minacce di morte possono essere prese alla lettera, è di tutta evidenza che chi le riceve, in genere, non rimane del tutto impassibile. Poichè le parole hanno un significato obiettivo e una valenza sociale condivisa, competeva, al limite, a chi ne sostiene l’irrilevanza dare un principio di prova di ciò. Nè può valere la considerazione circa l’età del minacciante, perchè non è detto che un uomo anziano non possa agire "per interposta persona" o con strumenti che gli consentano di compensare la scarsa prestanza fisica, conseguenza del declino collegato all’avanzare degli anni.

Le considerazioni sulla attendibilità di un teste legato da rapporto di subordinazione gerarchica con la PO attengono evidentemente al merito e non possono essere proposte in questa sede; quelle sulla scarsa credibilità del G., per altro verso, non sembrano intaccare il nucleo essenziale del suo dictum, come valutato dai giudici del merito, anche perchè congruenti con quelle provenienti da altri protagonisti della vicenda.

La terza censura è ancora una volta generica, in quanto, in ordine al secondo episodio, nulla di decisivo era stato dedotto con le censure dell’atto di appello e dunque il giudice di secondo grado non era tenuto a rielaborare la trama motivazionale della prima decisione.

Conclusivamente il ricorso è da qualificare inammissibile e il ricorrente va condannato alle spese del grado e al versamento di somma a favore della Cassa ammende.

Si stima equo determinare detta somma in Euro 1000.

Il L. va anche condannato al ristoro delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalle PP.CC. spese che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro mille a favore della Cassa delle Ammende, condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parti civili in questo grado di giudizio, spese che liquida in complessivi Euro 1.700,00 oltre accessori, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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