Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-03-2011, n. 1559 Licenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Società C.B.F. a r.l., titolare di una media struttura di vendita al dettaglio di prodotti alimentari e non alimentari, ubicata nel territorio del Comune di Monterotondo, alla Via Salaria, n. 223, ha impugnato davanti al TAR per il Lazio il permesso di costruire n. 3547 del 2 aprile 2007, rilasciato dal Comune di Monterotondo alla S. s.r.l., per la realizzazione di un "Centro commerciale" in Via Nomentana, località Casale Sala, e l’autorizzazione n. 1 del 17 febbraio 2009, rilasciata dal Comune di Monterotondo alla S.P. S.p.A., per l’apertura di una struttura di vendita in forma di centro commerciale nei locali oggetto del suindicato permesso di costruire, nonché (anche con motivi aggiunti) altri atti connessi della sequenza procedimentale.

2.- Il TAR per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza della Sezione II Bis n. 16483 dell’8 giugno 2010, respinte le eccezioni preliminari (riguardanti la tardività del ricorso e la mancanza di legittimazione ad agire della società ricorrente), ha accolto il ricorso ed ha quindi annullato il permesso di costruire n. 3547 del 2 aprile 2007, rilasciato alla S. s.r.l., nonché l’autorizzazione commerciale n. 1 del 17 febbraio 2009, rilasciata in favore della S.P. S.p.A.

In particolare il TAR ha respinto il primo motivo di ricorso riguardante l’affermato contrasto della struttura commerciale assentita con la destinazione urbanistica dell’area, risultante dall’art. 36 del P.R.G. e dalle NTA del Piano di Lottizzazione della Sottozona F3 "Casale Sala", ed ha accolto invece il secondo motivo con il quale la società C.B.F. aveva in sostanza censurato il non consentito aggravio del carico urbanistico determinato dal nuovo insediamento commerciale che era stato assentito in assenza di una modifica della strumentazione urbanistica resa necessaria dalla legge regionale sul commercio n. 33 del 1999.

3.- Avverso l’indicata sentenza ricorrono in appello, con due distinti ricorsi, la S. s.r.l. e la S.P. S.p.A.

All’appello si oppone la società C.B.F. che ha anche proposto appello incidentale in relazione al motivo di censura (riguardante il contrasto della struttura commerciale con la destinazione urbanistica dell’area) che era stato respinto in primo grado.

Anche il Comune di Monterotondo si è costituito in giudizio ed ha proposto appello incidentale insistendo sulla eccezione di difetto di legittimazione ad agire della C.B.F. e sulla tardività del ricorso di primo grado.

4.- I ricorsi in epigrafe devono essere riuniti essendo rivolti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, del nuovo Codice del Processo amministrativo) ed essendo legati dall’evidente vincolo della connessione.

5.- Questo Collegio ritiene di dover preliminarmente esaminare le eccezioni preliminari riproposte in appello (avverso il ricorso di primo grado della società C.B.F.) dal Comune di Monterotondo (nel ricorso n. 5915 del 2010) e dalla società S.P. (nel ricorso n. 6017 del 2010).

6.- Il Comune e la S.P. hanno riproposto in primo luogo l’eccezione riguardante il difetto di legittimazione ad agire della società C.B.F. sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dal TAR, la società C.B.F. non aveva interesse a ricorrere né sotto il profilo urbanisticoedilizio né sotto il profilo commercialeconcorrenziale, in quanto la distanza fra il nuovo centro commerciale e l’edificio dove la società C.B.F. svolge la sua attività è superiore a 4 Km, e in zona del tutto diversa del territorio comunale (perché il centro commerciale in località "Casale Sala" viene a situarsi sull’asse della Via Nomentana mentre la struttura della ricorrente, sita in Monterotondo Scalo, si trova sull’asse della Via Salaria). Inoltre, dal punto di vista commerciale, il Comune di Monterotondo sottolinea che il nuovo centro commerciale è stato autorizzato come grande struttura di vendita mentre diversa è la sfera di attività della società C.B.F. che è stata autorizzata come media struttura di vendita.

6.1- Il motivo di appello avverso la decisione del TAR nella parte è stata respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per il difetto di legittimazione attiva della società C.B.F. non può ritenersi fondato. Occorre tuttavia fare alcune precisazioni in relazione ai diversi profili che l’interesse al ricorso può assumere in casi come quello in esame e valutarne quindi i limiti in ordine agli atti impugnati e all’ammissibilità delle relative censure.

Si deve preliminarmente ricordare che, per l’impugnazione di atti abilitativi all’edificazione, la legittimazione ad agire è riconosciuta ricorrendo al principio della vicinitas che deve essere valutata in relazione alle dimensioni ed alla tipologia delle opere che con il titolo edilizio vengono assentite.

In proposito questo Consiglio ha di recente affermato che il concetto di vicinitas, al quale viene ancorata la valutazione in materia edilizia dell’interesse azionato, ha valore elastico, nel senso che si deve necessariamente estendere in ragione proporzionale all’ampiezza e rilevanza delle aree coinvolte, come nel caso di interventi rilevanti che incidono sulla qualità della vita dei residenti in gran parte del territorio (Consiglio Stato, sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554).

6.2- Analogamente, per quanto riguarda la realizzazione di nuovi insediamenti commerciali, i soggetti titolari di un interesse all’impugnazione sono individuati utilizzando il requisito della vicinitas e del bacino commerciale, tanto più esteso quanto più è grande il nuovo insediamento commerciale che viene assentito con il titolo edilizio e la connessa autorizzazione commerciale.

Questo Consiglio ha di recente, in proposito, affermato che l’apertura di un centro commerciale di notevoli dimensioni, in località caratterizzata dalla presenza di importanti collegamenti stradali e con ampia disponibilità di parcheggi, per effetto del grande richiamo esercitato sui consumatori dalla possibilità di procedere ad acquisti di ogni genere con un solo spostamento verso un unico centro ed a condizioni di prezzo spesso più vantaggiose, è in grado di esercitare un impatto economico che non può essere ristretto ai commercianti siti nell’area nella quale la nuova struttura commerciale è stata autorizzata a collocarsi, ma si riverbera sugli esercenti anche dei Comuni vicini ai quali va di conseguenza riconosciuta la legittimazione ad insorgere avverso il provvedimento che ne ha autorizzato l’apertura, atteso che la vicinitas costituisce, per i titolari e i proprietari di strutture di vendita, un collegamento stabile tra il ricorrente qualificato per l’attività esercitata e la zona interessata dall’intervento assentito e va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell’opera programmata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per la residenza o per l’attività lavorativa sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera, con la conseguenza che il bacino di utenza da prendere in considerazione, ai fini del riconoscimento del pregiudizio che radica l’interesse al ricorso giurisdizionale, può estendersi anche per un raggio di decine di chilometri che può travalicare gli ambiti tracciati ai fini della programmazione degli insediamenti commerciali (Consiglio Stato, sez. V, 20 febbraio 2009, n. 1032).

6.3- Facendo applicazione di tali principi il ricorso proposto in primo grado dalla società C.B.F., sia avverso il titolo edilizio rilasciato per la realizzazione del nuovo centro commerciale in località Casale Sala sia avverso l’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale, deve ritenersi certamente ammissibile e sul punto deve essere quindi confermata l’appellata decisione del TAR Lazio.

Infatti, come affermato dal TAR nell’appellata sentenza, " la posizione della ricorrente è sufficientemente differenziata perché sicuramente pregiudicata dalla prospettata apertura di un’attività commerciale di forte ed evidente valenza attrattiva, avuto riguardo – in particolare – sia alle piccole dimensioni del territorio comunale, sia alle notorie modalità di fruizione automobilistica da parte della clientela dei supermercati e (ancor più) dei centri commerciali". Ed è chiaro, che nella fattispecie in esame, a prescindere da ogni questione sulle dimensioni del Comune di Monterotondo, una distanza di alcuni chilometri (3 o 4 Km. a seconda delle opposte prospettazioni) non rende certamente ininfluente per la società C.B.F. l’avvio di una nuova grande struttura commerciale concorrente.

6.4- Ritiene tuttavia questa Sezione di dover precisare che fra l’ampiezza dell’interesse (qualificato) ad impugnare il rilascio di una abilitazione commerciale e l’ampiezza dell’interesse (qualificato) ad impugnare il connesso (e presupposto) titolo edilizio può non esservi perfetta coincidenza. La vicinitas legata al bacino d’utenza commerciale può infatti coincidere o essere più ampia della vicinitas rilevante per i profili urbanistici dell’intervento assentito ed è quasi certamente più ampia della vicinitas che può legittimare la proposizione di un ricorso in relazione alla caratteristiche di natura più strettamente edilizia dell’intervento. Per tali profili infatti l’interesse al ricorso può essere riconosciuto solo ai soggetti legati da un rapporto di vicinitas effettiva con l’immobile oggetto di un nuovo titolo abilitativo edilizio nel quale dovrà essere poi esercitata la contestata attività commerciale.

Al titolare di un esercizio commerciale posto ad una notevole distanza (anche di alcuni chilometri) da un contestato nuovo esercizio, mentre infatti deve essere riconosciuta una posizione di interesse qualificato a contestare la legittimità del titolo commerciale, se la dimensione del nuovo esercizio è tale da incidere seriamente sul bacino commerciale, può essere riconosciuta una posizione di interesse qualificato ad impugnare anche il titolo edilizio ma solo in relazione ai più generali profili urbanistici dell’intervento riguardanti il possibile contrasto del titolo con la destinazione di zona, che potrebbe non consentire per nulla in quell’area l’immobile assentito (con la relativa destinazione d’uso) o potrebbe consentire la realizzazione di un immobile a destinazione commerciale ma non con le dimensioni o le tipologie di attività assentite (che sono evidentemente rilevanti ai fini del relativo uso commerciale).

Non si può però ritenere che l’interesse al ricorso riconosciuto ai soggetti titolari di un’attività commerciale concorrente possa estendersi fino a consentire l’impugnativa dell’atto di assenso edilizio per profili di natura strettamente edilizia, dovendosi ritenere (per tali aspetti) che la posizione soggettiva del titolare dell’esercizio commerciale non sia diversa da quella di un quisque de populo. Infatti, come questo Consiglio ha di recente ribadito, sussiste la legittimazione a ricorrere avverso i titoli edilizi per coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla costruzione e tale collegamento determina un interesse differenziato rispetto a quella posseduto dal quisque de populo al quale non è consentito contestare la legittimità di un titolo edilizio (Consiglio Stato, sez. VI, 6 luglio 2010, n. 4299).

6.5- Per concludere sul punto si deve ritenere quindi sicuramente ammissibile il ricorso proposto dalla società C.B.F. avverso il rilascio dell’autorizzazione commerciale ad una impresa concorrente e sicuramente ammissibile, almeno per i profili generali di carattere urbanistico, anche il ricorso proposto avverso il permesso di costruire rilasciato per la realizzazione del centro commerciale. Come sarà meglio precisato in seguito, non possono però ritenersi ammissibili alcune delle censure sollevate avverso il rilascio del titolo edilizio.

7.- Occorre ora esaminare una ulteriore questione preliminare. Con il secondo motivo del suo ricorso incidentale il Comune di Monterotondo ha sostenuto infatti che erroneamente il TAR ha rigettato l’eccezione riguardante la tempestività del ricorso di primo grado proposto dalla società C.B.F.

Il Comune aveva, in proposito, sostenuto davanti al TAR che il signor I.I. (vicepresidente della società ricorrente) aveva avuto accesso, nella qualità di amministratore della società Estate 96, al (precedente) permesso di costruire n. 3395 del 26 luglio 2005, riguardante le opere di urbanizzazione previste dalla convenzione di lottizzazione.

7.1- Il TAR ha respinto l’eccezione rilevando che il fatto "che il signor I. abbia ricoperto la carica di amministratore di una società che non è parte del presente giudizio, e poi sia stato vice – presidente della società ricorrente, non è sufficiente ai fini che qui interessano, per l’assorbente considerazione che la difesa comunale non ha provato che il medesimo avesse la veste di rappresentante legale dell’odierna ricorrente, o fosse munito di delega apposita; mentre l’art. 2392 c.c., parimenti invocato dalla difesa comunale, non è pertinente, in quanto esso concerne solamente il generale obbligo di vigilanza degli amministratori sulla gestione della società. E d’altra parte non è possibile far decorrere dalla conoscenza del permesso di costruire del 2005 il termine per l’impugnazione dei provvedimenti ad esso successivi ".

7.2- Il Comune sostiene che il TAR non ha però considerato che già nel permesso di costruire del 2005 si evinceva la circostanza che in quella zona di PRG si sarebbe dovuto procedere alla realizzazione di un centro commerciale ed afferma che, comunque, il TAR avrebbe dovuto dichiarare il ricorso tardivo indipendentemente dalla conoscenza del permesso di costruire del 2005 in quanto, trattandosi di un permesso di costruire per la realizzazione di un centro commerciale doveva avere rilevanza la data di pubblicazione del permesso all’albo pretorio.

7.3- La doglianza è in parte inammissibile e comunque non è fondata.

Si deve, in primo luogo, osservare che il Comune di Monterotondo ha censurato solo in parte le ragioni che hanno indotto il TAR a respingere in primo grado l’eccezione di tardività del ricorso, con la conseguente definitività delle relative statuizioni per quanto non appellate.

In particolare resta non contrastato dal Comune quanto affermato dal TAR circa la mancata dimostrazione delle funzioni di rappresentanza della società C.B.F. del signor I..

Manifestamente infondata risulta poi la tesi secondo cui per l’impugnazione di un permesso di costruire per la realizzazione di un centro commerciale dovrebbe avere (esclusiva) rilevanza la data di pubblicazione del permesso all’albo pretorio, non essendovi alcuna ragione per derogare in materia ai principi riguardanti la conoscenza degli atti amministrativi e i termini per la loro impugnazione.

7.4- In ogni caso, come affermato dal TAR, non è possibile far decorrere dalla conoscenza del permesso di costruire del 2005 il termine per l’impugnazione dei provvedimenti ad esso successivi che di quel permesso non possono considerarsi meramente applicativi.

8.- Passando all’esame del merito dei due appelli, si deve ricordare che il TAR ha respinto la prima censura sollevata dalla C.B.F., riguardante la compatibilità urbanistica dell’intervento, ed ha invece accolto la seconda censura (e quindi il ricorso) avendo ritenuto che, con il progetto assentito con il permesso di costruire impugnato, non solo si sono modificati l’area edificata e l’azzonamento degli standard ma la misura di questi ultimi è stata quasi triplicata. Infatti il Comune di Monterotondo ha inteso adeguare le previsioni del piano di lottizzazione di Casale Sala (approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 45 del 29 maggio 1998) alla normativa sopravvenuta in materia di parcheggi per attività commerciali (art. 19 della l. Reg. n. 33 del 18 novembre 1999), ma in tal modo, secondo il TAR, si è discostato in misura non irrilevante dall’impostazione dell’intervento risultante dall’originario piano di lottizzazione. Con la conseguenza che tali modifiche, "in ragione del loro consistente impatto urbanistico, non possono che presupporre il ricorso a una variante, ovverosia a un provvedimento di rango urbanistico e non meramente edilizio, che si faccia carico della ripianificazione della zona in ossequio alle prescrizioni procedimentali e sostanziali di fonte regionale".

9.- Questa Sezione ritiene di dover esaminare per prima la questione (che risulta pregiudiziale) riguardante la compatibilità urbanistica dell’intervento assentito. Questione che la C.B.F. aveva proposto con il primo motivo del suo ricorso di primo grado, che il TAR ha respinto e che la C.B.F. ha riproposto con il suo appello incidentale.

La C.B.F. sostiene che l’intervento edificatorio oggetto dell’impugnato permesso di costruire non è conforme alla destinazione urbanistica di zona risultante dall’art. 36 del P.R.G. e dalle N.T.A. del Piano di lottizzazione della sottozona F3 – "Casale Sala".

Infatti l’art. 36 del P.R.G. ammette per la Sottozona F3 i "grandi magazzini di vendita" (supermercati, magazzini a prezzo unico, etc.), ossia quelle strutture costituenti ciascuna un singolo esercizio di vendita, ma non anche un centro commerciale intersettoriale, come quello in questione, nel quale è previsto l’insediamento di una grande struttura di vendita per il settore alimentare, di due medie strutture di vendita per il settore non alimentare e di diciotto esercizi per il settore non alimentare.

Inoltre, aggiunge la C.B.F., il piano di lottizzazione di "Casale Sala" ha previsto l’insediamento di un Centro pluriuso in Viale B. Buozzi, e quindi di una struttura che comprende anche attrezzature per uffici, studi professionali e ambulatori, e non di un centro esclusivamente dedicato ad attività commerciali.

10.- Il motivo, come affermato dal TAR per il Lazio, è infondato.

L’insediamento commerciale autorizzato (e poi realizzato) non risulta infatti in contrasto né con l’art. 36 del P.R.G., né con le N.T.A. del Piano di lottizzazione della sottozona F3 – "Casale Sala".

Non è in contrasto con l’art. 36 del P.R.G. perché tale disposizione ammette espressamente per la Sottozona F3 (ove si colloca la struttura in questione) i "grandi magazzini di vendita" fra i quali devono ritenersi pacificamente inclusi i centri commerciali.

Del resto, come sottolineato dal TAR, tale conclusione è confermata "sia dall’espresso riferimento ai "centri commerciali" nel testo della relazione generale del P.R.G., sia dal rilievo che nella Tabella dei Tipi edilizi (Tav. 3 del P.R.G.) la Sottozona F3 è destinata a "Centri commerciali"".

10.1- Anche per quanto riguarda le destinazioni d’uso indicate nel piano di lottizzazione "Casale Sala" deve essere confermata la decisione del TAR che correttamente ha osservato che nella relazione tecnica dell’intervento si fa riferimento a un complesso di cinque livelli, in cui solo al quarto livello sono previste (anche) attività diverse da quelle commerciali, peraltro con una formula che non esclude (anche per tale livello) le attività commerciali.

Infatti la relativa disposizione prevede che tale livello sia "…destinato alle attrezzature per uffici, studi professionali, ambulatori e relativi servizi o ad attrezzature commerciali di piccola e media superficie", con la conseguenza che l’allocazione di uffici, studi, ambulatori e simili su tale livello era meramente facoltativa ed i relativi spazi potevano essere destinati ad attività "commerciali di piccola e media superficie".

10.2- L’assentita realizzazione di un centro commerciale non si pone quindi in contrasto nemmeno con le destinazioni d’uso previste nel Piano di Lottizzazione "Casale Sala".

In conseguenza l’appello incidentale proposto dalla società C.B.F. deve essere respinto e la sentenza del TAR per il Lazio deve essere anche sul punto integralmente confermata.

11.- E’ ora possibile passare all’esame della questione (riguardante principalmente la dimensione della struttura assentita e l’incremento degli standard), sollevata dalla società C.B.F. con il secondo motivo del ricorso di primo grado, che il TAR ha ritenuto fondata.

Secondo le appellanti S. e S.P. la decisione del TAR è errata perché, contrariamente a quanto affermato, l’incontestato incremento degli standard non ha comportato anche un aumento del carico urbanistico.

11.1- Infatti nel Piano di Lottizzazione di Casale Sala (approvato con deliberazione del Consiglio Comunale di Monterotondo n. 45 del 29 maggio 1998) la superficie lorda dell’immobile destinato all’attività commerciale era pari a mq. 9.183 e nel progetto edilizio assentito è pari a mq. 8.632,79 (con una diminuzione di mq. 550); la volumetria nel Piano di Lottizzazione era di mc. 39.060 ed è di 39.058, 63 nel progetto assentito.

Solo gli standard urbanistici sono effettivamente aumentati ma è illogico, secondo le appellanti, collegare l’aggravamento del carico urbanistico ad una maggiore previsione di parcheggi che invece alleggeriscono il carico decongestionando il traffico.

In proposito il Piano di Lottizzazione di Casale Sala prevedeva mq. 7.347 di standard (mq. 4572 destinati a parcheggi, spazi di manovra e rampe di raccordo; mq. 2.775 destinati a verde, con possibilità di reperimento di altri parcheggi (punto 3 della Tavola 4.a – Relazione e N.T.A. del P.d.L.), con localizzazione esterna rispetto alla cd. "area di inviluppo del fabbricato" (indicata con la lettera A nella Tavola 2.a delle N.T.A. del Piano di Lottizzazione). Nel fabbricato dovevano inoltre essere realizzati i parcheggi previsti dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, per mq. 4.268 (punti 3 e 7, secondo periodo della Tavola 4.a delle N.T.A.).

Nel progetto edilizio assentito gli standard sono stati previsti nella misura di mq. 20.614,44 (con 19.987,95 mq. destinati a parcheggi) in misura appena superiore a quella prevista applicando i criteri dettati dalla legge regionale n. 33 del 1999 (20.458,19 mq. di cui almeno 17.005,08 mq. per parcheggi).

11.2- Dall’esame di tali elementi si può rilevare che il Piano di Lottizzazione "Casale Sala" già prevedeva, nell’area in questione, la realizzazione di un insediamento a carattere commerciale e prevedeva anche una determinata volumetria ed una determinata superficie per l’uso commerciale che sostanzialmente risultano rispettate nelle misure che si sono già prima indicate.

Facendo ora applicazione dei principi che si sono prima affermati (al punto 6), in relazione ai limiti che devono essere riconosciuti all’interesse a ricorrere di un esercente un’attività commerciale, avverso il rilascio di un titolo edilizio per la realizzazione di un immobile destinato ad una attività commerciale concorrente, la censura che era stata sollevata in primo grado dalla società C.B.F. avverso la legittimità del titolo edilizio rilasciato alla società S. (una volta verificato che l’insediamento commerciale era previsto e con certe dimensioni dagli strumenti urbanistici) doveva essere dichiarata inammissibile per carenza di interesse e non poteva essere quindi accolta.

Si deve infatti ritenere che la C.B.F. non ha un interesse qualificato (e quindi giuridicamente tutelato) all’impugnazione del permesso di costruire rilasciato in favore della S. (per la realizzazione dell’immobile destinato all’attività commerciale) anche per i profili di tale permesso che investono le modalità con le quali l’immobile destinato ad esercizio commerciale è stato assentito (e poi successivamente realizzato fino all’apertura al pubblico avvenuta il 7 ottobre 2010).

11.3- La società S.P. nel suo appello ha sostenuto, al riguardo, che le contestazioni della C.B.F. avrebbero dovuto essere circoscritte a vizi (nella specie inesistenti) attinenti alla normativa sul commercio ma non anche avverso atti e provvedimenti aventi ad oggetto le trasformazioni urbanisticoedilizie di una porzione del territorio relativamente al quale difettava radicalmente il già citato presupposto della vicinitas.

Questo Collegio, per i motivi che si sono già ampiamente esposti (al punto 6), ritiene che non possa negarsi in assoluto un interesse qualificato della società C.B.F. ad impugnare (anche) il permesso di costruire rilasciato nel 2007 alla società S. per la realizzazione del centro commerciale in questione, ma tale impugnazione può ritenersi ammessa solo entro i limiti ristretti riguardanti la conformità urbanistica della destinazione d’uso dell’intervento assentito.

11.4- Devono quindi ritenersi inammissibili tutte le censure (proposte in primo grado anche con motivi aggiunti e riproposte negli atti del giudizio di appello) riguardanti aspetti di natura prevalentemente edilizia (come l’affermata parziale diversa sagoma dell’immobile e la sua distribuzione sull’area interessata o la diversa dislocazione delle superfici a parcheggio e a verde).

11.5- Ma anche la censura centrale riguardante la realizzazione di parcheggi in misura maggiore di quella prevista dal Piano di Lottizzazione (e nella misura prevista dalla legge regionale n. 33 del 1999), non può ritenersi ammissibile in quanto con essa la C.B.F. fa valere (in modo diretto) un interesse al corretto assetto del territorio rispetto al quale, per le ragioni esposte, deve ritenersi carente di legittimazione.

11.6- Né la legittimazione può essere riconosciuta dando rilievo all’affermato maggior carico urbanistico dell’intervento determinato dall’incremento delle aree destinate a parcheggio.

Sul punto il TAR ha affermato che, nonostante la leggera riduzione della superficie dell’intervento e la sostanziale invarianza del volume destinato all’attività commerciale rispetto a quello previsto nel Piano di Lottizzazione, l’incremento degli standard ha determinato (anche) un incremento del carico urbanistico (che poteva essere realizzato solo attraverso una variante allo strumento urbanistico).

Questo Collegio, ritiene che, nella fattispecie, più che di un incremento del carico urbanistico (che risulta quanto meno dubbio) si debba parlare di un incremento della cubatura edilizia assentita.

Ma risulta, in ogni caso, decisiva la constatazione che resta invariata, rispetto al Piano di lottizzazione (e al PRG), la destinazione d’uso dell’immobile e resta invariato il carico urbanistico determinato dalla dimensione dell’attività commerciale rispetto al quale l’interessato poteva, come si è detto, far valere le sue (eventuali) doglianze.

Mentre la prevista realizzazione di parcheggi, nella misura voluta dalla legge regionale n. 33 del 1999, ha solo reso più agevole l’uso per la collettività della nuova struttura commerciale.

11.7- Né si può giungere a conclusioni diverse in relazione all’asserito eccesso della superficie di vendita (eccesso che sarebbe determinato dall’applicazione dei parametri, sul rapporto fra la superficie complessiva e la superficie destinata alla vendita, introdotti con la legge regionale n. 33 del 1999).

Infatti, a prescindere da ogni questione sulla tempestività della censura, resta fermo che con il permesso di costruire impugnato è stata assentita una superficie commerciale complessiva che, come si è detto, non risulta in eccedenza rispetto a quella consentita dalla strumentazione urbanistica del Comune.

11.8- Per tutte le indicate ragioni l’appellata sentenza del TAR non può sul punto essere condivisa e deve essere quindi riformata.

12.- Tenuto conto che nel giudizio di appello non risultano sollevate (se non in via derivata), censure avverso la legittimità degli atti riguardanti il rilascio dell’autorizzazione commerciale alla società S.P., gli appelli riuniti devono essere quindi accolti e la sentenza appellata deve essere, in conseguenza, annullata.

Considerata la complessità e la parziale novità delle questioni trattate si ritiene di poter disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), riunisce i ricorsi in epigrafe e,

definitivamente pronunciando:

accoglie gli appelli proposti e, per l’effetto, annulla la sentenza del TAR per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II Bis n. 16483 dell’8 giugno 2010.

Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese dei due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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