Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-02-2011) 14-03-2011, n. 10178 Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.M.A. ricorre avverso la sentenza 7.1.10 della Corte di appello di Catania che ha confermato quella, in data 26.1.09, del Tribunale di Siracusa – sezione distaccata di Lentini con la quale è stato condannato alla pena di Euro 2.309,00 di multa per i reati di cui all’art. 81 cpv. c.p., artt. 594 e 595 c.p., riducendo a Euro 5.000,00 l’ammontare della somma riconosciuta, a titolo risarcitorio, alla costituita parte civile.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), ritenendo manifestamente illogica la motivazione della Corte di appello che non aveva dato credito alla tesi dell’imputato secondo cui egli si era recato presso la p.o. I. per chiarire le ragioni per le quali desiderava che la propria moglie B. non frequentasse più la sua amica, ma non per offendere la parte lesa, con l’intento, soprattutto, di evitare traumi alle figlie minori che avevano appreso che la loro madre era stata vista in compagnia della I. nei pressi di un noto "club prive".

Vi era stato un travisamento del fatto – prosegue il ricorrente -, mai avendo l’imputato affermato, come invece ritenuto dai giudici di appello, che la I. prendeva parte ad attività sessuali anche di gruppo, non essendosi mai egli occupato della vita privata della parte civile, ma solo delle conseguenze negative che il coinvolgimento della propria moglie nei pettegolezzi conseguenti poteva avere sulla propria famiglia e, principalmente, sulle figlie.

Mancava pertanto nell’imputato la volontà di offendere la p.o., essendo suo intento solo quello di chiarirsi e scusarsi con la I. di quanto riferitole dalla moglie ed era una semplice congettura ritenere – come aveva fatto la Corte catanese – che la separazione tra i coniugi D.M. era un dato di fatto, in quanto la natura temporanea, provvisoria e soprattutto contestuale della separazione non escludeva che tra i coniugi potesse sopravvenire una conciliazione.

Si chiedeva infine, ai sensi dell’art. 612 c.p.p., la sospensione dell’esecuzione della condanna civile, svolgendo l’imputato l’attività di infermiere che doveva far fronte non soltanto alle esigenze economiche del nuovo nucleo familiare, costituito da quattro persone, ma anche del precedente nucleo familiare comprendente altre due figlie alle quali doveva corrispondere, in seguito alla sentenza di divorzio, la somma di Euro 250,00 mensili, mentre la parte civile, che gestiva un bar, non offriva garanzie di poter recuperare, in caso di accoglimento di ricorso, quanto versato essendo altamente probabile l’impiego della somma per l’esercizio dell’impresa. Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

La Corte etnea, con motivazione congrua ed immune da vizi di illogicità manifesti, ha infatti evidenziato come sia rimasto provato con chiarezza non solo dalle deposizioni testimoniali, ma per averlo ammesso lo stesso imputato, se pure in modo "larvato", che le ripetute affermazioni secondo cui la p.o. I. frequentava "club prive" dove prendeva parte ad attività sessuali anche di gruppo erano state pronunciate dal D.M., il quale aveva inoltre dichiarato di aver invitato la moglie a cessare la frequentazione della I. perchè persona di dubbia moralità. Non certo illogica deve poi considerarsi la motivazione dei giudici catanesi che hanno negato fondamento alla tesi difensiva secondo cui il D. M. aveva inteso solo salvare in tal modo il proprio matrimonio e non ledere la reputazione della p.o., considerato che la separazione tra i coniugi D.M. era, al momento della esternazione delle frasi di cui all’imputazione, già un dato di fatto e che pertanto non era plausibile che l’imputato, esortando la moglie a non frequentare più la I., potesse salvare il proprio matrimonio (circostanza peraltro indicata – osserva questa Corte – dallo stesso ricorrente come meramente possibile), nè era emerso – hanno perspicuamente sottolineato i giudici di secondo grado – che l’imputato avesse mai lasciato intendere che la propria moglie fosse intenzionata a seguire l’amica I. nelle attività che si svolgevano all’interno del "prive", per cui, hanno correttamente concluso i giudici, era evidente la volontà del D.M. di ledere, con le sue espressioni, la reputazione della parte lesa, così integrando gli estremi dei reati ascrittigli. Le superiori considerazioni assorbono ogni profilo di rilevanza della richiesta ex art. 612 c.p.p..

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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