Cons. Stato Sez. VI, Sent., 10-03-2011, n. 1551 Assegnazione di alloggi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. I signori R.I. e S.I., con ricorso n. 7314 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, hanno chiesto l’annullamento della disposizione n. 37 del 25 maggio 2000 del dirigente del "settore alienazioni" dell’Istituto Autonomo Case Popolari (di seguito IACP) di Napoli, con il quale era stata dichiarata la risoluzione del contratto di assegnazione di alloggio, con promessa di vendita futura, in favore del loro defunto genitore, sign. Francesco I..

Il Tribunale amministrativo, con la sentenza n. 13647 del 2003, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento impugnato. La sentenza del Tribunale amministrativo è stata confermata con la decisione del Consiglio di Stato, VI, 4 agosto 2009, n. 4892, con cui è stato respinto l’appello proposto dal sign. R.E..

2. I signori R.I. e S.I., con ricorso n. 4665 del 2010 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, hanno chiesto l’accertamento del silenzio inadempimento dello IACP, con l’ordine al detto Istituto di procedere all’assegnazione ai ricorrenti dell’unità immobiliare sita in Napoli, Ponticelli, via delle Madonelle (ora via Luigi Napolitano, 101), ovvero l’ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4892 del 2009.

Il Tribunale amministrativo, con la sentenza n. 17545 del 2010, ha: a) valutato che "il presente giudizio sebbene introdotto contro il silenziorifiuto della Pubblica Amministrazione, in realtà mira a provocare l’esercizio da parte di questo tribunale dei poteri inerente al giudizio di ottemperanza al giudicato relativamente all’esecuzione delle sentenze non impugnate né sospese" ritenendo sussistere nella fattispecie "i presupposti per la conversione del rito"; b) giudicato il ricorso fondato, poiché "dalla valutazione della documentazione versata in atti, si evince che il giudicato discendente dal provvedimento giurisdizionale di questo Tribunale n. 13647 del 2003 non è stato ancora completamente eseguito, persistendo da parte dell’Amministrazione la mancata determinazione in ordine dall’assegnazione ai ricorrenti di unità immobiliari"; c) dichiarato l’obbligo dello IACP "di porre in essere tutti gli atti necessari ai fini della piena esecuzione del giudicato, con puntuale adozione di un provvedimento di esecuzione della citata sentenza in ordine alla pretesa sostanziale addotta dalla parte privata" e nominato il Commissario ad acta in caso di inutile decorso del termine assegnato per adempiere (sessanta giorni dalla notifica della sentenza).

3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado, con istanza cautelare di sospensione dell’esecutività.

4. I signori R.I. e S.I. hanno presentato appello incidentale avverso la sentenza di primo grado.

5. Alla camera di consiglio dell’8 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Il Collegio ritiene di dover esaminare la preliminare eccezione di tardività dell’appello principale sollevata nella memoria di costituzione degli appellati S.I. e R.I., in cui si afferma:

– l’art. 87, comma 3, del Codice del processo amministrativo (di seguito: Codice), approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 dispone che nei giudizi di ottemperanza e in materia di silenzio "tutti" i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario tranne quelli per la notificazione del "ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti", senza escludere l’appello;

– l’art. 114, comma 9, del Codice, recante la disciplina del procedimento del giudizio di ottemperanza, rinvia, quanto ai termini per la proposizione delle impugnazioni, a "quelli previsti nel Libro III" del Codice: così, in particolare, all’art. 92, che, nello stabilire per la proposizione dell’appello il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, fa però salvo "quanto diversamente previsto da speciali disposizioni di legge";

– la ricordata disposizione dell’art. 87, comma 3, deve intendersi come recante, al riguardo, una "speciale disposizione di legge". Per cui anche alla proposizione dell’appello su giudizio di ottemperanza (come in materia di silenzio) si applica il dimezzamento dei termini;

– ne consegue che l’appello è tardivo, poiché la sentenza impugnata è stata notificata all’appellante il 21 ottobre 2010 e l’appello è stato notificato il 26 novembre 2010 (vale a dire, oltre il termine di sessanta giorni dimezzato a trenta).

2. L’eccezione non può essere accolta.

Il Collegio considera che la previsione del dimezzamento del termine ordinario per la proposizione dell’appello, in quanto restrittiva del diritto di difesa, ha carattere eccezionale e perciò di stretta interpretazione (art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale).

Il dimezzamento, per questo stesso carattere, deve essere previsto in modo espresso dalla legge, o comunque essere da essa univocamente desumibile, poiché soltanto a queste condizioni emerge come prevalente la finalità specifica di accelerazione del processo, propria di alcuni riti speciali, che un tale dimezzamento persegue.

Queste condizioni non risultano presenti per la fattispecie in esame. Nel Codice, infatti, questo dimezzamento non è previsto espressamente, non emerge con chiarezza in via interpretativa e anzi si rinvengono disposizioni che portano alla conclusione contraria, con l’applicazione, quindi, del termine ordinario per la proposizione dell’appello nei giudizi di ottemperanza e per il silenzio.

Infatti, alla luce del ricordato principio generale dell’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale, va considerato che:

– a) la previsione testuale dell’art. 87, comma 3, non è di per sé concludente nel senso del dimezzamento: la sua espressione "ricorso introduttivo" (cui riferisce l’eccezione all’eccezione di dimezzamento del termine) da un lato potrebbe essere intesa come riferita al solo ricorso in primo grado ("introduttivo" del processo); da un altro, non si ravvisano disposizioni puntuali, o interpretazioni sistematiche, che ne escludano la riferibilità anche al ricorso in appello (con cui si "introduce" il secondo grado del giudizio);

– b) l’incertezza testuale, su cui non si può ravvisare una norma di eccezione (e che perciò conduce a considerare che il termine d’appello sia quello ordinario di sessanta giorni), è confermata dall’art. 119 del Codice, relativo ai "riti abbreviati", da cui emerge che quando il legislatore, ai fini dell’esclusione dall’eccezionale dimezzamento del termine per la proposizione dell’azione, ha voluto riferirsi al "ricorso introduttivo" in primo grado, lo ha fatto espressamente, come risulta nel comma 2 dell’articolo, essendo inoltre prevista in modo altresì espresso, ai sensi del comma 7, l’estensione ai giudizi di appello della disciplina speciale disposta con l’articolo stesso;

– c) l’art. 114, recante la disciplina propria del rito dell’ottemperanza, stabilisce, a sua volta espressamente, nel comma 9, che il termine per l’appello è quello ordinario delle impugnazioni previsto nel Libro III, e perciò quello di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, di cui all’art. 92, comma 1, in tema di generali termini per le impugnazioni;

– d) non risulta sufficiente, contro tale conclusione, la previsione del detto comma 1 dell’articolo 92, dove si fanno salve le diverse "speciali disposizioni di legge", non essendo univocamente (come sarebbe necessario) interpretabile in tal senso, come visto, l’art. 87, comma 3, e apparendo il rinvio a speciali disposizioni di "legge" precipuamente quale rinvio esterno al Codice e sussistendo come speciale disposizione quella dell’art. 114, comma 9;

– e) non si rinvengono argomenti contrari all’applicazione di tale conclusione anche alla proposizione dell’appello in materia di silenzio.

Si deve inoltre soggiungere che l’art. 38 (rinvio interno) del Codice, laddove rinvia alle disposizioni del processo di primo grado per la disciplina delle impugnazioni se non diversamente disposto, richiama anche l’eccezionale dimezzamento dei termini ex art. 87 con le relative eccezioni, evidentemente compresa quella relativa al termine per l’introduzione del ricorso di appello.

Ne consegue, nella specie, che l’appello principale non è tardivo essendo stata notificata la sentenza all’appellante il 21 ottobre 2010 e avendo questi proceduto alla notificazione dell’appello in data 26 novembre 2010 (vale a dire, nel termine di sessanta giorni).

3. Deve essere invece accolta l’eccezione di tardività dell’appello incidentale dei signori I. proposta nella memoria depositata dall’appellante principale il 24 gennaio 2011, sia che si ritenga applicabile nella specie l’art. 96, comma 3, del Codice (recante l’obbligo di notificare l’impugnazione incidentale entra sessanta giorni dalla notificazione della sentenza: qui eseguita dagli appellanti incidentali, vittoriosi in primo grado, il 13 ottobre 2010, avendo poi essi provveduto alla notificazione dell’appello incidentale il 20 dicembre 2010, e perciò oltre il sessantesimo giorno), sia che si ritenga di applicare l’art. 96, comma 5, essendosi perfezionata la notificazione dell’appello principale per gli appellanti incidentali il 29 novembre 2010 ed avendo essi depositato l’impugnazione incidentale il 22 dicembre 2010, decorso perciò il termine di dieci giorni per il deposito previsto dalla norma citata.

4. Non può essere ammessa in giudizio, infine, la memoria di costituzione depositata dallo IACP il 31 dicembre 2010, poiché con essa si deducono censure avverso la sentenza di primo grado, dovendosi perciò qualificare la detta memoria, in sostanza, quale gravame della sentenza, di cui è infatti domandata la riforma: gravame che l’Istituto, parte appellata e soccombente in primo grado, avrebbe dovuto proporre come impugnazione nelle forme dell’appello incidentale ritualmente notificato, ciò che non risulta in atti (cfr. Cons. Stato, VI, 23 luglio 2009, n. 4639).

5. Si esamina ora il merito della controversia.

Nell’appello si censura la sentenza impugnata in quanto erronea riguardo alla asserita ottemperanza del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale amministrativo per la Campania n. 13647 del 2003, confermata in appello dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4892 del 2009; da un lato, infatti, il ricorso proposto non avrebbe potuto essere qualificato come volto all’ottemperanza del giudicato, avendo i signori I. provveduto agli atti di diffida (del 16 ottobre 2009 e del 7 gennaio 2010) in date anteriori alla formazione del giudicato, e, dall’altro, i detti atti di diffida non sono idonei ai fini del procedimento per l’ottemperanza, essendo irrituali quanto alle sottoscrizioni e non pertinenti funzionalmente nei contenuti (neppure, per questo aspetto, ai fini del rito sul silenzio inadempimento). La sentenza è errata, inoltre, per avere esercitato in sede di ottemperanza poteri non propri integrando il giudicato.

6. Il Collegio ritiene tali censure infondate, essendo perciò l’appello da respingere, ciò che esime dall’esame delle diverse eccezioni di inammissibilità dell’appello stesso proposte nella memoria di costituzione dei signori I..

6.1. Sono infondate, anzitutto, le censure sulle asserite irritualità degli atti di diffida, che, pur se eventualmente riscontrabili sotto il profilo della mera irregolarità, non sono tali da attingere il grado del vizio di illegittimità degli atti stessi, poiché:

– l’atto del 16 ottobre 2010 notificato dall’ufficiale giudiziario, non sottoscritto dalle parti, è però richiamato espressamente quale parte integrante dell’atto del 7 gennaio 2010, da esse sottoscritto;

– il contenuto degli atti s’intende volto all’ottemperanza del giudicato, essendo le sentenze di primo e secondo grado poste espressamente a premessa della richiesta (direttamente nel primo atto, per relationem nel secondo) ed intimandosi all’ Amministrazione di provvedere secondo quanto ritenuto deciso con il giudicato (immissione nel possesso "materiale e giuridico" dell’alloggio; stipula dell’atto pubblico di trasferimento della proprietà);

– è ammissibile, infine, il ricorso in ottemperanza se la sentenza acquisti efficacia di giudicato prima della definizione del giudizio di ottemperanza, come avvenuto nella specie.

6.2. È infondata anche la censura sull’asserita integrazione del giudicato da parte della sentenza impugnata, essendo corretta la decisione del primo giudice sia nella qualificazione dell’azione come volta all’ottemperanza del giudicato (peraltro così individuata anche dai ricorrenti, pur se in via subordinata), sia quanto al merito.

Dalle pronunce del Tribunale amministrativo per la Campania (n. 13647 del 2003), e del Consiglio di Stato (n. 4892 del 2009), emerge infatti l’obbligo dell’Amministrazione a provvedere di conseguenza, assicurando ai ricorrenti il bene della vita oggetto della loro azione così da garantire l’effettività della tutela giurisdizionale.

In particolare, con il giudicato il provvedimento dello IACP n. 37 del 25 maggio 2000 è stato qualificato come atto di esercizio di un potere amministrativo, poiché recante la decadenza dell’assegnazione dell’alloggio ai sensi della normativa in materia, e dichiarato illegittimo, in quanto viziato per difetto della garanzia della partecipazione procedimentale degli interessati e per vizi di legittimità sostanziale; per questo secondo profilo è stata rilevata l’insufficienza del motivo posto a base del provvedimento di decadenza, indicato nella violazione da parte dell’assegnatario dell’obbligo di abitare e di non cedere a terzi l’alloggio, venendo osservato che "Nella fattispecie in esame un’autorizzazione esiste; gli effetti di tale l’autorizzazione, divenuta ìnoppugnabile, non possono essere messi in discussione allegando l’invalidità della stessa perché non sottoposta a termine, o perché ritenuta non ammissibile nei confronti degli assegnatari di alloggi ex I.N.C.I.S., o per qualsivoglia altro motivo, ivi compresa la non occupazione da parte dell’assegnatario dell’alloggio assegnatogli" (così la ricordata sentenza del T.a.r. Campania, n. 13647 del 2003), e, che perciò, stante la perdurante efficacia dell’atto autorizzatorio alla locazione dell’alloggio, correttamente il primo giudice ha fatto "rifluire ogni questione su presunte illegittimità dello stesso nell’esercizio della potestà di autotutela, e però con le relative garanzie procedimentali ed in osservanza dei principi del consolidamento delle situazioni soggettive e dell’affidamento del destinatario, oltreché delle altre condizioni e presupposti presi in considerazione dall’art. 21 "nonies" della legge n. 241/1990, nel testo introdotto dalla legge n. 15/2005, che ha regolamentato l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio. In presenza, quindi, di un’espressa autorizzazione a locare a terzi, valida ed efficace e restata inoppugnata da parte di soggetti eventualmente interessati, la mancata personale e stabile abitazione dell’alloggio E.R.P. da parte dell’assegnatario non può costituire presupposto per la decadenza dell’assegnazione ai sensi dell’art. 17 del d.P.R. n. 1035/1972 (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 327 del 23.02.1998)" (così la ricordata decisione del Consiglio di Stato, VI, n. 4892 del 2009).

Da tutto ciò consegue il ripristino della posizione di assegnatario in capo ai signori I., per cui, salva la rinnovazione del provvedimento di decadenza a seguito di compiuta partecipazione procedimentale da parte dei destinatari, sostenuto da una rigorosa e adeguata motivazione sui presupposti, diversa da quella posta a supporto dell’atto annullato e idonea a superare l’affidamento consolidatosi, l’Amministrazione deve adottare, come correttamente dettato nella sentenza di primo grado, ogni atto e misura efficace per garantire l’utilità perseguita con l’instaurazione del giudizio e l’effettività dello stesso, e cioè rendere disponibile l’alloggio alla parte vittoriosa.

7. Per quanto considerato l’appello principale deve essere respinto, l’appello incidentale deve essere dichiarato irricevibile, la memoria dell’INPDAP non può essere ammessa.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel dispositivo a favore dei signori I…Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese nei confronti dello IACP.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello principale, dichiara irricevibile l’appello incidentale, dichiara inammissibile la memoria depositata dallo IACP.

Condanna l’appellante principale al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) nel complesso, oltre gli accessori di legge, a favore in solido degli appellati signori S.I. e R.I.. Compensa per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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