Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-05-2011, n. 11022

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 2 aprile – 30 settembre 2008 la Corte d’appello di Lecce confermava la decisione del Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, che aveva accolto la opposizione avverso il precetto di rilascio di porzione di fondo rustico, proposta da V.A., precetto notificato da C.F. in forza del decreto di trasferimento del giudice delegato del fallimento di V.R..

Il Tribunale aveva accertato che C. non aveva titolo per ottenere il rilascio della particella 126, poichè tale particella era stata indicata come facente parte del terreno trasferito all’aggiudicatario C. solo per errore materiale nei dati catastali. Inoltre, con sentenza passata in giudicato, del Pretore di Brindisi- Ceglie Messapica- era stata rigettata la domanda di accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione della porzione di fondo contesa, proposta dalla V., nonchè la domanda di rivendica spiegata in via riconvenzionale dal C. in ordine allo stesso bene.

La Corte territoriale aveva confermato quanto già stabilito dal primo giudice e cioè che il giudicato di cui alla sentenza passata in giudicato si era formato anche sulla qualificazione giuridica (azione di rivendicai) data dal Pretore alla azione proposta dal C. con la spiegata domanda riconvenzionale. Il fatto poi che nel presente giudizio fosse stato posto a base della azione di rilascio il decreto di trasferimento (non depositato nel diverso giudizio svoltosi dinanzi al Pretore di Brindisi – Ceglie Messapica-) non implicava affatto che la seconda azione avesse una diversa "causa petendi" rispetto alla domanda riconvenzionale spiegata nel giudizio pretoriale concluso con una pronuncia di rigetto. Osservava la Corte che "la natura del diritto di proprietà, quale diritto autodeterminato, comporta…che la "causa petendi" delle relative azioni giudiziarie si identifica con il diritto stesso e non con il relativo titolo, che ne costituisce la fonte".

In base alla complessa indagine espletata anche in sede penale, dato atto che C. aveva sporto querela contro V. per il reato di usurpazione, era emerso che il dato catastale non coincideva affatto con il terreno occupato dalla V., per le numerose ragioni indicate nella sentenza del primo giudice (che non era stata espressamente impugnata su questi punti dall’appellante C.).

C. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi – Resiste la V. con controricorso.
Motivi della decisione

Ad avviso del ricorrente (primo motivo di ricorso), la Corte di appello avrebbe omesso ogni indagine in ordine alla dedotta carenza di interesse ad agire in capo alla opponente atteso che la stessa non aveva alcun diritto sul fondo del C.. Donde la violazione dell’art. 100 c.p.c. e numerosi vizi della motivazione.

La decisione del Pretore di Brindisi che aveva rigettato la domanda di usucapione dalla stessa proposta conteneva un unico accertamento, destinato ad assumere efficacia di giudicato tra le parti: esso era costituito proprio dall’accertamento della inesistenza di alcun diritto della V. sul fondo del C., considerato che erano state verificate le condizioni per dichiarare l’avvenuta usucapione nei confronti dell’effettivo proprietario. Le censure poste con il primo motivo sono inammissibili. La carenza di interesse dedotta si fonda su un giudicato relativo ad una decisione di cui non è riprodotta in ricorso il contenuto, almeno per la parte che rileva. Sussiste comunque l’interesse ad agire della V., trovandosi la stessa nel possesso dell’aera sulla quale aveva peraltro edificato.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2909 e 948 c.c..

Il quesito di diritto formulato con questo motivo è del seguente testuale tenore: "Può affermarsi che il giudicato esterno è preclusivo della azione di rivendica di immobile laddove l’abusivo detentore, a fronte del titolo azionato dal proprietario, non abbia dimostrato la sussistenza di alcun suo diritto e la stessa sentenza- fonte del giudicato – non abbia compiuto e non contenga alcun accertamento, in ordine alla effettiva proprietà del bene, quale condizione della rivendica". Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente deduce il carattere illegittimo della detenzione del fondo da parte della V. e sul presupposto che, a fronte di un decreto di trasferimento il convenuto non aveva dimostrato la esistenza di un proprio diritto – assume che il giudicato non si sarebbe formato poichè il Pretore non aveva compiuto alcun accertamento in ordine alla effettiva proprietà del bene.

Sostanzialmente il quesito di diritto posto è inadeguato, poichè esso da per presupposto che non sia stato effettuato alcun accertamento sul titolo – e che sia stata accertata la inesistenza di un diritto in capo al convenuto, mentre non risultano dal ricorso le ragioni del rigetto della domanda di usucapione, rigetto che non pregiudica, peraltro, la posizione della V..

Il giudice di appello ha ritenuto che sulla non titolarità del bene si fosse formato giudicato.

Con il terzo ed ultimo motivo, si denuncia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto controversi decisivo ai fini del giudizio, in ordine alla mancata assunzione della prova testimoniale richiesta dall’attuale ricorrente, con la memoria istruttoria del 24 novembre 1998.

La denuncia di vizi della motivazione peraltro contiene anche un quesito di diritto.

Il motivo è inammissibile sotto vari profili.

Non viene riportato integralmente il capitolo di prova che si deduce non essere stato ammesso dal primo giudice (pag. 8 riga 7 e seguenti).

La mancata ammissione di mezzi di prova, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere denunciata sotto il profilo del vizio di motivazione solo quando la prova, con una prognosi di certezza, possa ritenersi decisiva (Cass. 17 maggio 2006 n. 11501).

Il ricorrente per Cassazione – ove denunci l’esistenza di vizi della sentenza correlati al rifiuto opposto dal giudice di merito di dare ingresso a una prova per testi – ha l’onere sia di dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, sia di indicare specificamente, nel ricorso, anche mediante integrale trascrizione, le circostanze concrete che formavano oggetto dei capitoli di prova o il contenuto esatto del documento asseritamente pretermesso.

Ciò per dar modo al giudice di legittimità di verificare la validità e la decisività delle disattese deduzioni di prova sulla sola base del ricorso per cassazione, stante il principio di autosufficienza di tale atto di impugnazione, senza che si rendano necessarie indagini integrative o che possa, all’uopo, svolgere funzione sostitutiva il richiamo "per relationem" ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale, sottolineando la superfluità e irrilevanza delle circostanze dedotte nei capitoli di prova.

Hanno rilevato sul punto i giudici di appello che "la prova testimoniale dedotta dal C. non ha affatto carattere di decisività rispetto alle sorti del giudizio, posto che quel che rileva non è accertare se e quali attività abbia svolto il geom.

Co. per conto della amministrazione del fallimento Va., per valutare il fondo poi aggiudicato al C., ma se la particella 126 foglio 85 si identifichi, o meno, con il terreno occupato dalla V. ed oggetto della rivendica". Ed hanno ricordato, sotto tale profilo, che la decisione del primo giudice aveva spiegato, indicando le plurime ragioni poste a base delle proprie conclusioni, che il dato catastale -riportato nel decreto di trasferimento del giudice delegato del fallimento -non coincideva affatto con quello relativo al terreno occupato dalla Va., sottolineando che la sentenza impugnata sul punto non era stata sottoposta a specifica censura da parte dell’appellante C..

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 800,00 (ottocento/00) di cui Euro 600,00 (seicento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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