Cons. Stato Sez. VI, Sent., 10-03-2011, n. 1534 Concessioni Demanialità regione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rizi, Magri" e Pafundi;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La società F.I., alla quale in data 14 novembre 2006 è stato conferito il ramo d’azienda immobiliare da parte della s.p.a. C., chiede la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento in data 21 luglio 2005 della Regione Piemonte recante decadenza delle concessioni demaniali in capo alla società C. per la copertura del fiume Dora Riparia e ingiunzione di demolizione dei manufatti di cui alle concessioni stesse, oltre che per l’accertamento del soggetto tenuto ad effettuare tali opere di demolizione.

Espone la ricorrente che il Ministero dei Lavori pubblici ha rilasciato nel 1958 alla F. s.p.a, alla quale è subentrata prima la S. s.p.a. e poi la C. s.p.a., quattro concessioni demaniali in forza delle quali venivano realizzate su un tratto del fiume Dora una soletta in cemento armato e alcuni fabbricati al servizio degli stabilimenti industriali.

Nel corso degli anni la zona ha subito rilevanti trasformazioni urbanistiche ed edilizie, e il Comune di Torino ha perciò provveduto ad adottare piani di recupero tra i quali il Piano di riqualificazione urbana (d’ora in poi: PRIU) denominato Spina 3, poi ricompresso nell’ambito del più ampio Programma di Riqualificazione urbana e Sviluppo sostenibile del Territorio (d’ora in poi: PRUSST), adottato ai sensi della legge 17 febbraio 1992, n. 179 con la denominazione PRUSST Programma Eurotorino. Per l’attuazione di tali piani, finalizzati a nuovi insediamenti industriali, artigianali e commerciali e alla riqualificazione di zone degradate, l’Amministrazione municipale ha previsto un insieme di interventi diretti alla preurbanizzazione delle aree pubbliche attraverso la bonifica ambientale; in particolare, il PRIU Spina 3 prevede, tra l’altro, la realizzazione di un parco affacciato sul fiume Dora, per l’attuazione del quale si è riscontrata la necessità di procedere alla demolizione della soletta di copertura realizzata dalla F., inutilizzata da anni. Per tale intervento di demolizione la Giunta municipale, con la deliberazione 11 agosto 1999, recante approvazione del PRUSST, prevedeva un finanziamento di 9.600.000.000 lire. In attesa di acquisire i fondi necessari per l’attuazione del PRIU, il Comune di Torino ha sottoscritto in data 9 ottobre 1996 un protocollo d’intesa (il cui schema era stato approvato dal Consiglio comunale con deliberazione 23 luglio 1996) con i proprietari di parte delle aree interessate dal suddetto piano, tra cui la S. s.p.a., poi incorporata dalla C. s.p.a.,al fine di consentire l’avvio della realizzazione del parco della Dora e del parco scientifico e tecnologico dell’ambiente, denominato E.P.. In forza di tale protocollo d’intesa la società S. si impegnava a cedere alla Città di Torino che, a sua volta, manifestava la disponibilità ad acquisire nello stato di fatto e di diritto attuale "anticipatamente rispetto all’iter ordinario previsto dalla normativa urbanistica, parte della proprietà immobiliare della società S. s.p.a. nell’ambito Spina 3, pari a circa 140.000 metri quadrati di superficie territoriale e inquadrabile, in base alla normativa vigente, come cessione di aree per servizi" necessarie per la realizzazione del parco della Dora, costituente opera di urbanizzazione a scala urbana a servizio dell’intera città. In tale contesto, la scopertura e il ripristino ambientale del tratto coperto del fiume viene definito come opera di rilevanza urbana di particolare interesse pubblico, in quanto necessario al ripristino ambientale dell’intera zona, per la cui realizzazione la S. si rendeva disponibile a consentire l’utilizzo dei manufatti insistenti sulla predetta copertura, mentre la Città si impegnava a provvedere alle preurbanizzazioni e, "ove ciò fosse richiesto in tutto o in parte", alla realizzazione delle opere necessarie alla scopertura del fiume; inoltre, la società S. si dichiarava disponibile ad individuare, all’interno della zona Valdocco (ricadente nel PRIU Spina 3), un comprensorio che il Comune avrebbe potuto utilizzare "per le edificazioni e per i connessi servizi relativi ai propri diritti edificatori.

La successiva approvazione del PRUSST, che, come detto, comprendeva il PRIU Spina 3, avvenuta in data 11 agosto 1999, ribadiva la necessità di provvedere alla demolizione della soletta e la valutazione della spesa necessaria, e la previsione che "una quota parte della progettazione pari a lire 250 milioni viene richiesta sulle risorse di cui al D.M. 8 ottobre 1998, la restante su ulteriori risorse pubbliche comunali, regionali, ministeriali, comunitarie da individuare"; nella tabella 1 allegata alla relazione del piano si specifica che la demolizione della soletta e la bonifica dei terreni rientra tra gli interventi pubblici dell’ambito Spina 3 con una previsione di spesa di lire 9.600.000.000, mentre nella successiva tabella 2 le opere di bonifica e scopertura della Dora sono comprese tra gli "interventi pubblici".

In data 15 dicembre 2000 il Ministero delle Finanze ha disposto la revoca delle concessioni di copertura del fiume Dora e ha ingiunto alla C. la rimozione dei fabbricati, con riconduzione dell’alveo del fiume Dora al suo assetto originario: tale provvedimento è stato impugnato davanti al Tribunale amministrativo del Piemonte e al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, ma sono stati annullati con nota dell’Agenzia del Demanio del 17 maggio 2001, che contestualmente avvertiva dell’avvenuta scadenza delle concessioni stesse per decorrenza del termine finale, e sottolineava il trasferimento delle competenze in materia di concessioni fluviali alle Regioni in forza dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri attuativi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Il Tribunale Superiore delle Acque pubbliche ha pertanto, dichiarato l’improcedibilità del ricorso con la sentenza 9 ottobre 2002.

In data 10 febbraio 2005 la Direzione regionale delle Opere pubbliche ha invitato la società C. a partecipare al procedimento per la sistemazione dell’alveo della Dora mediante scopertura, indetto dalla Regione Piemonte. Nel prendere visione degli atti relativi al procedimento, la società ha appreso dell’esistenza di una conferenza di servizi preparatoria, attivata dal Comune di Torino il 15 marzo 2003, alla quale non era stata invitata; in ogni caso, ha presentato memoria ai sensi dell’art. 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241; il procedimento si è concluso con determinazione dirigenziale 21 luglio 2005, n. 1088 della Direzione regionale, con la quale sono state dichiarate formalmente decadute le concessioni in capo a C. ed è stato disposto che la stessa società dovesse provvedere alla demolizione dei manufatti di cui alle concessioni stesse, obbligo ribadito dal Comune di Torino con note dell’Assessore all’urbanistica in data 19 agosto 2005 e in data 21 settembre 2005.

Per l’annullamento di tali atti, la C. ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo del Piemonte che, con la sentenza qui impugnata, lo ha respinto, valorizzando l’obbligo del titolare della concessione, alla scadenza della stessa, di provvedere alla rimozione delle opere realizzate, e la competenza della Regione a provvedere in merito di demanio fluviale, in forza del conferimento attuato con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 settembre 2000, 12 ottobre 2000, 16 novembre 2000 in esecuzione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Inoltre, la sentenza ha rilevato che, con il protocollo d’intesa sottoscritto il 9 ottobre 1996 (avente, in ogni caso, valore programmatico), la società concessionaria non ha ceduto al Comune di Torino la soletta di copertura del fiume, ma le aree limitrofe destinate a servizi.

Avverso tale sentenza la società appellante sottolinea, con il primo motivo del gravame, l’incompetenza della Regione, in quanto:

– tale ente, subentrato allo Stato nelle competenze in materia di concessioni demaniali in forza del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, non avrebbe potuto disporre in ordine a concessioni ormai scadute, e dichiarate tali dall’Ufficio del Territorio, che aveva anche revocato le precedenti richieste di pagamento dei canoni pregressi e l’ingiunzione di demolizione della medesima copertura;

– ai sensi degli artt. 1 e 61 della legge della Regione Piemonte 20 giugno 2000, n. 44, di applicazione dell’art. 3 del decreto legislativo sopra citato, la competenza a disporre dell’uso delle aree fluviali è dei Comuni, quali delegati dalla Regione stessa;

– il mancato rinnovo delle concessioni ha comportato che, alla data della scadenza, il bene demaniale è rientrato nella disponibilità dell’Amministrazione, che non ha ingiunto la demolizione dei manufatti: la Regione, subentrata nelle funzioni, non avrebbe pertanto potuto adottare provvedimenti inerenti ad un rapporto concessorio ormai definito, anche in forza del protocollo d’intesa sottoscritto nel 1996 tra la concessionaria C. e il Comune di Torino, con il quale quest’ultimo si è impegnato a demolire le opere realizzate dalla F. s.p.a. sul bene demaniale, al fine dell’attuazione del piano urbanistico Spina 3;

– in ogni caso, anche a voler ammettere la competenza della Regione, i disciplinari allegati alle concessioni prevedono l’onere della demolizione delle opere realizzate solo nell’ipotesi di revoca anticipata della concessione, e non per il caso di scadenza della stessa.

Con il secondo motivo d’appello, la ricorrente deduce l’erroneità della sentenza per la mancata considerazione degli accordi stipulati dalla S. s.p.a. con il Comune di Torino per l’attuazione degli strumenti urbanistici di cui in narrativa, mediante l’intesa del 9 ottobre 1996, in forza della quale le opere di scopertura del fiume avrebbero dovuto essere compiute dall’Amministrazione municipale al fine di realizzare gli interventi di preurbanizzazione necessari per dare attuazione al PRIU Spina 3, quale controprestazione della cessione anticipata di 140.000 mq di aree da parte della predetta società. La Regione, al corrente dell’esistenza del predetto protocollo d’intesa, in quanto comunicato prima all’Ufficio del Territorio e poi con le osservazioni presentate ex art. 10 legge 7 agosto 1990, n. 241 nell’ambito del procedimento per la sistemazione dell’alveo del fiume, non avrebbe potuto ingiungere la rimozione della soletta di copertura alla appellante, che non era più concessionaria delle aree, e non le utilizzava dal 1996; inoltre, i rapporti con l’Ente concedente erano già definiti; le opere erano rientrate nella disponibilità del Comune di Torino che le aveva comprese, destinandole alla realizzazione di opere di pubblica utilità, nella programmazione urbanistica; il Comune aveva assunto l’onere di provvedere alla demolizione dei manufatti, quale controprestazione della cessione delle aree e intervento urbanistico compreso nelle opere di interesse pubblico, attraverso l’assunzione di precisi impegni di spesa e il ricorso a finanziamenti pubblici, attestati nella relazione allegata al PRUSST Programma Eurotorino.

Inoltre, l’appellante contesta la necessità della scopertura della Dora, affermata con la nota impugnata in primo grado sul presupposto della necessità di soddisfare l’interesse pubblico alla sistemazione idraulica dell’area con l’obiettivo del perseguimento di un maggiore livello di sicurezza attraverso il recupero degli alvei fluviali. In ogni caso, la complessità della vicenda avrebbe comportato l’indizione di una conferenza di servizi ai sensi dell’art. 14 della legge n. 241 del 1990, tra tutti i soggetti coinvolti, mentre quella indetta nel 2003, richiamata nel provvedimento impugnato in primo grado, ha visto come partecipanti solo la Regione Piemonte e il Comune di Torino. Infine, la ricorrente contesta la sentenza nella parte in cui ha respinto la censura relativa alla richiesta di pagamento dei canoni pregressi, sul presupposto della competenza della Regione a provvedere in merito, competenza oggetto di critica sotto i profili già esposti e respinti dal primo Giudice.

Si sono costituite nel presente giudizio le Amministrazioni pubbliche intimate, chiedendo il rigetto dell’appello.

I) Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esaminare questioni inerenti la ricevibilità dell’appello e l’ammissibilità di profili dedotti con l’atto introduttivo o con le successive memorie, non prospettati in primo grado o con il ricorso di impugnazione (profili attinenti, in particolare, alla pretesa competenza del Comune a provvedere in materia di aree fluviali, alla convenzione sottoscritta da C. e il Comune di Torino il 19 luglio 2000, all’accordo di programma sottoscritto il 27 giugno 2001 tra il Ministero dei Lavori pubblici, la Regione Piemonte e il Comune e allo schema di protocollo d’intesa approvato con deliberazione consiliare 28 gennaio 2002, n. 201), poiché l’appello è infondato.

II) La società appellante, subentrata a titolo particolare a C. s.p.a., a sua volta subentrata a F. s.p.a., che aveva ottenuto nel 1958 quattro concessioni demaniali a titolo precario per la copertura di un tratto del fiume Dora Riparia e la costruzione di manufatti ad uso industriale, è tenuta, in quanto successore nel rapporto, a tutti gli obblighi derivanti dalla titolarità delle predette concessioni, ed in particolare, per quanto qui interessa, a quelli derivanti dalla scadenza delle stesse, comunicata, per avvenuto decorso del termine finale e per mancato rinnovo, in data 17 maggio 2001 dall’Agenzia del Demanio.

Tale obbligo di rimessa in pristino (che prescinde dalla pericolosità dei manufatti realizzati sul fiume: perciò il motivo d’appello che contesta la pericolosità della copertura, asserita dal provvedimento impugnato in primo grado, è innanzitutto inammissibile) deriva direttamente dai principi generali in materia di concessione di beni pubblici e dalla stessa definizione dell’istituto concessorio, che determina la distrazione di un bene normalmente destinato all’uso generale a beneficio di un soggetto particolare: ne deriva che, a meno di espressa previsione in contrario (nella specie, non contenuta nei disciplinari delle concessioni, che anzi, agli artt. 9 e 10 ribadiscono il principio generale per il caso di revoca), la restituzione alla mano pubblica presuppone la previa rimozione delle opere realizzate per l’interesse del concessionario. Inoltre, nella Regione Piemonte il regolamento approvato con decreto 9 dicembre 2004 del Presidente della Giunta regionale in attuazione della legge regionale 12 maggio 2004, n. 12 specificamente dispone, all’art. 17, che alla scadenza della concessione il concessionario ha l’obbligo di rilasciare l’area occupata e di provvedere a proprie cura e spese alla rimozione dei manufatti, se presenti, e alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

III) A tale obbligo, attinente al rapporto concessorio e costituente presupposto legittimante il provvedimento impugnato, la società appellante oppone una serie di considerazioni che fanno perno su vicende diverse, che hanno interessato nel tempo le relazioni tra la società stessa e le Amministrazioni pubbliche, titolari di funzioni relative al territorio nel quale è inserito l’alveo della Dora interessato dalle concessioni.

In particolare, l’appellante eccepisce:

1) l’incompetenza della Regione a disporre in merito a concessioni demaniali fluviali;

2) l’impossibilità di provvedere in ordine a concessioni già dichiarate decadute;

3) l’obbligo del Comune di Torino di eseguire la scopertura del fiume, obbligo riferito, nel corso del giudizio, a presupposti diversi: a) la funzione programmatoria ed urbanistica esercitata dall’Ente pubblico sull’area in discorso con il piano di riqualificazione urbana Spina 3, poi compreso nel programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio approvato dalla Giunta comunale l’11 agosto 1999 e la connessa definizione di opera di interesse pubblico dell’intervento, anche alla luce del finanziamento previsto; b) il carattere sinallagmatico tra l’assunzione del relativo onere da parte del Comune e la cessione di 140.000 metri quadrati di superficie ricadente nell’ambito territoriale Spina 3 da parte della società S., come stabilito nel protocollo d’intesa sottoscritto tra l’Amministrazione municipale e la società in data 9 ottobre 1996, intesa concretizzata con la cessione avvenuta il 19 luglio 2000, ribadita con l’accordo di programma sottoscritto il 27 giugno 2001 e il protocollo di intesa approvato dal Consiglio comunale il 28 gennaio 2002; c) la circostanza che, essendo le concessioni scadute, i relativi manufatti erano rientrati nella disponibilità dell’Amministrazione concedente e, per essa, del Comune di Torino, che si era assunto l’onere di rimessione in pristino; d) la qualità di proprietario assunta in forza della cessione di aree da parte della S., mediante la stipula del predetto protocollo d’intesa, qualità che avrebbe consentito al Comune stesso di diventare promotore della proposta di PRIU originariamente avanzata dai soli proprietari privati degli immobili ricadenti nell’ambito Spina 3.

IV) Sotto nessuno dei profili sopra esposti l’appello è meritevole di accoglimento.

Quanto al profilo sub 1), relativo alla pretesa incompetenza della Regione, è sufficiente osservarne l’infondatezza alla luce dell’art. 86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, il quale stabilisce che "alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio" e dell’art. 59 lettere c) e d) della legge regionale del Piemonte 20 giugno 2000, n. 44, che riserva alla competenza della Regione stessa le funzioni relative ai corpi idrici potenzialmente pericolosi per gli abitati, le infrastrutture e la pubblica incolumità, tra i quali, secondo la relazione dell’Agenzia regionale di protezione ambientale e della Direzione regionale difesa del suolo, richiamate dal provvedimento impugnato in primo grado, rientra l’area sopra l’alveo della Dora, classificata come III c, a pericolosità elevata nella fascia di inondazione per piena catastrofica. In forza del conferimento di funzioni così operato, la Regione Piemonte era, pertanto, pienamente competente a dichiarare la decadenza delle concessioni di cui trattasi e a trarre, dalla decadenza, la conseguenza ripristinatoria sopra sottolineata. A tale conclusione non vale opporre la circostanza, di cui al profilo sub 2), che il rapporto concessorio, alla data del 21 luglio 2005 non sarebbe stato in vita, in quanto già dichiarato decaduto con nota dell’Agenzia del Demanio in data 17 maggio 2001, poiché tale nota, contrariamente a quanto pretende l’appellante, si limita a annullare le precedenti revoche, a comunicare la scadenza delle concessioni e la possibilità di richiederne il rinnovo alla Regione Piemonte "che ne garantirà la gestione". Come ha rilevato la sentenza impugnata, l’Agenzia del Demanio non ha così espresso alcuna disposizione particolare rispetto al futuro delle concessioni, volendo soltanto significare il passaggio delle competenze alla Regione, alla quale spettava assumere ogni determinazione in merito (e ciò, a prescindere dal fatto che l’onere di rimessa in pristino graverebbe pur sempre sull’ex concessionario anche nel caso di rapporto esaurito in forza della decadenza dichiarata fin dal 17 maggio 2001, ovvero della revoca di cui alle note ministeriali del 15 dicembre 2000).

V) Con le ulteriori argomentazioni la società ricorrente deduce l’assunzione dell’obbligo di rimozione della copertura della Dora da parte del Comune di Torino, innanzitutto per il fatto che l’area interessata (denominata Valdocco e compresa nell’ambito Spina 3 del Piano regolatore generale) è stata compresa nelle programmazione urbanistica (protocollo d’intesa con la società Secosid approvato nel 1996, Progetto di riqualificazione urbana Spina 3 per le zone Valdocco, Vitali e Valdellatorre di cui all’accordo di programma siglato il 30 dicembre 1998 e Programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio di cui alla deliberazione del Consiglio comunale 27 gennaio 1999, come sopra si è specificato).

La tesi non può essere condivisa.

Con la deliberazione consiliare del 23 luglio 1996, il Comune di Torino ha approvato, con valore meramente ed espressamente programmatorio e senza alcun impegno di spesa, lo schema di protocollo d’intesa predisposto dalla società S., con il quale la società stessa, proprietaria di aree ricadenti nell’area interessata dalla realizzazione del parco scientifico e tecnologico per l’ambiente (E.P.), si impegnava a cedere alla Città, anticipatamente rispetto all’iter ordinario previsto dalla disciplina urbanistica, 140.000 mq di superficie di proprietà "corrispondenti alla quota di servizi afferenti i diritti volumetrici comunali che saranno localizzati pro quota entro le aree della stessa società S.. Per la sua parte la Città di Torino si impegna ad avviare…la bonifica delle aree cedute, nonché, con modalità e tempi da determinare, la scopertura e il ripristino ambientale della Dora, nel tratto compreso nell’area S.Valdocco". Il protocollo d’intesa è stato poi siglato in data 9 ottobre 1996; in tale occasione, la società S. manifestava la propria disponibilità a cedere anticipatamente le suddette aree di proprietà, che "rappresentano per la Città una quota di servizi afferente i diritti edificatori di proprietà comunale da utilizzare nell’ambito Spina 3". A fronte della utilizzazione del comprensorio interno alla zona Valdocco, da individuare con successivi atti aventi contenuto obbligatorio, il Comune manifestava la propria disponibilità "a che sulla zona Vitali e sulla zona Valdellatorre, di proprietà della società S….siano realizzate edificazioni riguardanti esclusivamente diritti edificatori di proprietà di tale società". Per quanto riguarda la scopertura della Dora, nel protocollo d’intesa si dà espressamente atto che "il sedime del fiume Dora non è ricompresso nell’ambito Sina 3" e che "la scopertura ed il ripristino ambientale del tratto coperto…costituisce un’opera di rilevanza urbanistica e inoltre riveste un particolare interesse pubblico in quanto consente il ripristino ambientale dell’intera zona; pertanto non rappresenta un’opera di urbanizzazione da porre a carico delle trasformazione delle aree della Spina 3".

Dal tenore letterale del protocollo emerge, innanzitutto, il suo valore programmatico e non vincolante: le previsioni e le disponibilità manifestate dalle parti avrebbero, infatti, dovuto essere formalizzate entro i termini previsti dall’art. 5, mediante successivi adempimenti (per il Comune, le verifiche per l’accertamento della sussistenza dei presupposti per poter ricorrere alla procedura dell’Accordo di programma; per la società S., il perseguimento dell’intesa con gli altri proprietari al fine di dar luogo alla trasformazione urbanistica di tutto l’ambito). In nessuna parte dell’intesa viene stabilito quel rapporto sinallagmantico tra cessione della aree e scopertura della Dora che l’appellante pone quale fondamento delle proprie pretese: anzi, emerge un rapporto, peraltro da formalizzare successivamente, tra cessione delle aree in zona Valdocco e sfruttamento edificatorio esclusivo nelle zone Vitali e Valdellatorre, che la S. avrebbe potuto realizzare anche autonomamente rispetto agli altri proprietari dell’ambito, in caso di mancato accordo con gli stessi. Emerge anche che quanto previsto dal protocollo d’intesa, contrariamente a quanto pretende l’appellante, non attiene all’attuazione del PRIU (per convincersene, è sufficiente confrontare le date: il protocollo è stato siglato nel 1996, mentre l’accordo per il programma di riqualificazione urbana è del 1998), ma all’attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico generale, nell’ambito del quale la zona Spina 3 (articolata in Valdocco, Vitali e Valdellatorre) rappresentava uno degli ambiti territoriali più significativi di trasformazione urbanistica.

Deve infine essere osservato che, dato il carattere dei manufatti, insistenti su area demaniale, nessun accordo avrebbe potuto interessare con efficacia vincolante l’assetto delle obbligazioni concernenti le opere da effettuarsi sulle opere stesse, in assenza di un intervento autorizzatorio da parte dello Stato (all’epoca titolare delle funzioni inerenti la gestione dei beni del demanio idrico), che non si è espresso in merito, né ha preso parte all’intesa: ed in questa luce assume importanza l’espressa puntualizzazione, contenuta nel protocollo d’intesa, che il sedime della Dora non rientra nell’ambito Spina 3 e non rappresenta un’opera di urbanizzazione da porre a carico delle trasformazione delle aree che vi sono comprese.

In questa ottica, condivisibile è l’osservazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la società concessionaria non ha comunque ceduto al Comune la soletta di copertura del fiume, che costituisce uno dei manufatti da rimuovere e che era oggetto delle concessioni demaniali, bensì le aree limitrofe destinate a servizi, come risulta dall’art. 2 del protocollo d’intesa: e, secondo quanto sopra esposto, neppure sotto l’assunzione di un obbligo corrispettivo la rimozione della copertura può ritenersi gravare sull’Amministrazione comunale in forza delle clausole contenute nel predetto protocollo, dato il carattere meramente programmatorio che gli appartiene.

VI) La Regione, divenuta nel frattempo competente in materia di gestione dei beni del demanio idrico in forza delle norma già ricordate, ha preso parte, invece, all’accordo per il programma di riqualificazione urbana poi confluito nel PRUSST del 27 gennaio 1999, adottato con decreto del Presidente della Giunta regionale 7 maggio 1999, n. 31, in forza del quale ha assunto valore di variante urbanistica ai sensi degli artt. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e 81 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Peraltro, neppure in base a tali provvedimenti è dato ricavare la sussistenza dell’obbligo preteso dalla società appellante, non valendo a tanto né la qualificazione della scopertura della Dora in termini di intervento pubblico, né la previsione del finanziamento con risorse pubbliche, elementi entrambi che si rinvengono nell’accordo di programma per la realizzazione del PRIU Spina 3 e nella connessa richiesta ex decreto ministeriale 8 ottobre 1998, avanzata con deliberazione della Giunta in data 11 agosto 1999. L’accordo suddetto, infatti, assume carattere immediatamente cogente per quanto riguarda le variazioni urbanistiche, attraverso l’adozione con decreto del Presidente della Giunta regionale (avvenuta, come detto, in data 7 maggio 1999), mentre conserva valore programmatorio per quanto riguarda, in particolare, la ripartizione degli oneri tra parte pubblica e privati attuatori, per la definizione della quale valgono le specifiche convenzioni stipulate tra gli stessi soggetti e il Comune, ai sensi dell’art. 13 legge 17 febbraio 1992, n. 179.

Assume quindi rilievo quanto stabilito nella convenzione edilizia sottoscritta il 14 luglio 1999 dalla s.p.a. C. nella qualità di proponente e soggetto attuatore per il comprensorio Valdocco, nella quale non solo non è traccia del finanziamento richiesto, ma la stessa società si impegna a realizzare, a scomputo degli oneri di concessione, buona parte degli spazi pubblici del parco della Dora; nell’art. 4 di tale convenzione, dedicato alle opere di preurbanizzazione necessarie per il risanamento e sistemazione del terreno, in particolare per la bonifica ambientale (opere tra le quali rientra la demolizione della soletta, come espressamente prevede l’art. 4.2 della relazione allegata alla deliberazione della Giunta 11 agosto 1999 di approvazione del PRUSST), si prevede inoltre che le risorse pubbliche sarebbero state destinate a finanziare gli interventi sulle aree da cedere al Comune per servizi pubblici e viabilità, mentre per quanto riguarda le superfici fondiarie e quelle da assoggettare all’uso pubblico la bonifica sarebbe stata finanziata con risorse private.

In adempimento delle obbligazioni assunte con la predetta convenzione, e, quindi, delle previsioni del PRIU Spina 3 per il comprensorio Valdocco, in data 19 luglio 2000 la società C. ha poi ceduto al Comune aree per complessivi 94.575 metri quadrati, che vanno ad aggiungersi a quelle già trasferite in data 27 maggio 1999 "in parziale adempimento delle obbligazioni assunte all’articolo 10 della succitata convenzione". Il medesimo atto di cessione di immobili ricorda che l’impegno previsto dall’art. 10 della convenzione riguarda, da parte della società suddetta, il trasferimento delle "aree necessarie per la realizzazione dei pubblici servizi e di viabilità pubblica", e da parte del Comune di Torino, nella qualità di soggetto attuatore del medesimo programma di riqualificazione, la cessione alla C. s.p.a. di "sue aree nelle quali è prevista la localizzazione di diritti edificatori" della predetta società.

Come si evince da quanto sopra riportato, nessun nesso sinallagmatico lega la cessione delle aree di proprietà della C. e la scopertura della Dora, né la cessione stessa con quanto previsto dal protocollo d’intesa del 1996: il trasferimento, che costituisce un obbligo ai sensi dell’art. 45 della legge regionale del Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, è avvenuto per consentire la realizzazione di servizi pubblici, al fine del soddisfacimento degli standard prescritti, e trova la propria causa negoziale, così come l’analoga cessione di immobili da parte del Comune, descritti alla lettera B del medesimo atto, "nel complesso delle prestazioni a carico e a favore della Città di Torino e della C. s.p.a., in esecuzione del programma di riqualificazione urbana Spina 3 al quale i predetti soggetti hanno precedentemente aderito", come espressamente puntualizza l’atto in esame, fermo restando l’obbligo della società di cedere gratuitamente alla Città di Torino le aree di cui alla convenzione del 14 luglio 1999, "compreso il sovrastante edificio su via Livorno, insistente in parte sulla copertura del fiume Dora".

A smentire tale conclusione non valgono i successivi provvedimenti invocati nella memoria depositata dalla società appellante nella memoria depositata nell’imminenza della pubblica udienza del 23 novembre 2010 (accordo di programma adottato con decreto del Presidente della Giunta regionale 9 agosto 2001, n. 77, recante modificazioni al PRIU Spina 3; schema di protocollo d’intesa predisposto dal Comune con deliberazione 28 gennaio 2002, n. 21). A prescindere dalla considerazione che, come si è già sottolineato, tali documenti sono stati prodotti per la prima volta in appello, e non hanno costituito argomento del ricorso al tribunale amministrativo, né del ricorso introduttivo di questo giudizio di secondo grado, nessun conforto alle tesi dell’appellante è dato trarne.

L’accordo di programma del 9 agosto 2001 sconta, infatti la medesima duplice natura già illustrata, propria degli strumenti di questo tipo, che assumono valore cogente nella parte in cui introducono varianti allo strumento urbanistico, ma conservano, per il resto, natura di programma, avendo bisogno di essere attuati mediante successivi adempimenti; e, comunque, l’accordo in discorso non contiene che la conferma delle previsioni di quello originario, per la parte qui rilevante.

Del pari, nessuna obbligazione cogente si ricava dallo schema di protocollo d’intesa, dal quale è comunque dato dedurre che il finanziamento richiesto è relativo alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva dell’intervento di demolizione, e non alla concreta esecuzione dell’intervento.

VII) Deve pertanto essere escluso che il Comune di Torino mai si sia assunto l’obbligo di procedere alla scopertura della Dora, né che tale obbligo gli appartenga sotto altri profili. Al contrario, come si é detto, é sull’ex concessionaria (e, per essa, alla società appellante che le è subentrata) che grava il dovere di restituire il bene demaniale nello stato quo ante; e neanche può ritenersi fondato l’ultimo profilo d’appello, che deduce l’omissione del giusto procedimento, rappresentato, nella prospettazione della ricorrente, dalla conferenza di servizi ex art. 14 legge 7 agosto 1990, n. 241. Tale modulo procedimentale è, infatti, del tutto ultroneo per trarre, dalla conclusione del rapporto concessorio, una semplice conseguenza.

VIII) In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Le spese del doppio grado del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge, e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la società appellante a rifondere alle Amministrazioni pubbliche appellate le spese di lite, nella misura di 4.000,00 (quattromila/00) euro a favore del Comune di Torino, e di 4.000,00 (quattromila/00) euro a favore della Regione Piemonte, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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