Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-01-2011) 14-03-2011, n. 10160

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Il 14.1.10 il Tribunale di Lecce – Gallipoli assolveva M. C.G., Preside dell’Istituto (OMISSIS), per insussistenza dei fatti, da (a) tentata violenza privata aggravata, commessa il (OMISSIS) nei confronti di Ma.Mo. e D.N. G., che minacciava di "sette in condotta" se non avessero sottoscritto che una lettera del 9.10.04, in cui gli alunni della (OMISSIS) avevano chiesto modifica dell’orario delle lezioni, era stata interamente suggerita dalla professoressa di italiano V.E.M. e (b) minaccia di sette in condotta, quale male ingiusto, rivolta alla Me.Ma. in data prossima al (OMISSIS).

Lo condannava invece con generiche prevalenti ad Euro 100 di multa per (c) il delitto di diffamazione aggravata, commesso il (OMISSIS), comunicando con le alunne Me. e Ma., nei confronti della V., cui attribuiva di essersi assentata dalla scuola non per motivi di salute, ma perchè non le andava bene l’orario scolastico.

La Corte di Lecce ha rigettato l’appello di M. e, su appello del P.M., lo ha condannato anche per gli altri due reati (a, b), complessivamente a gg. 15 di reclusione ed al risarcimento dei danni alla P.C. costituita, Me.Ma., liquidati in Euro 1000.

Il ricorso (Avv. V. Messa) denuncia: 1 – violazione art. 192 c.p.p. circa il capo a) e vizio di motivazione nel vaglio di attendibilità delle testimonianze e l’inscindibilità del comportamento di M. dal ruolo della V., a monte della protesta degli studenti.

La Corte ha travisato la provenienza dall’insegnante V. della lettera, come ammesso da Ma. e D.N.. E la V. aveva fatto intervenire poi i Carabinieri perchè constatassero l’agitazione di una delle due ragazze. Ha quindi travisato il contrasto di testimonianze ed il senso di quella del segretario G. e che il Preside non aveva potere di interferire nelle decisioni dei docenti circa profitto e condotta degli studenti.

Ha errato nel riferirsi a principio (Cass., Sez. 5, n. 9075/08 e 13805/05) che concerne contesto delinquenziale e nel non considerare che lo stato di agitazione delle ragazze potesse rapportarsi proprio alla tensione conseguente alla loro ammissione della provenienza della lettera dalla V., laddove l’assunto che abbia convocato solo loro due è smentito dal rilievo che tutti gli alunni della classe lo sono stati consecutivamente; 2 – idem circa il capo b), vuoi perchè il Tribunale aveva rettamente rilevato che l’ammonimento alla Me. era dovuto all’amicizia tra M. ed il padre della ragazza ed alle ripercussioni che gli scioperi e le proteste avrebbero avuto su di lei, che riteneva una studentessa modello, viepiù che il padre era presente al fatto ed aveva detto: "lascia stare, alla fine ragazze sono"; vuoi perchè il fatto era avvenuto subito dopo la protesta studentesca ((OMISSIS)), onde la Corte ha confuso fatti ed implicazioni; 3 – idem circa il capo c), perchè il Preside, alla richiesta di Ma. e Me. di uscire prima, per l’assenza della V., esplicitava la sua convinzione che le assenze prolungate dell’insegnante fossero una forma di protesta per l’orario e la Corte non ha valutato la natura critica della frase in rapporto al suo ruolo e, per contro, che la posizione poi assunta dalle due alunne spiega l’atteggiamento in favore dell’insegnante, travisandone le implicazioni anche circa il delitto di cui al capo a). Al ricorso è seguita memoria d’udienza.

2 – Il ricorso è infondato per le seguenti ragioni.

La sentenza afferma, incontrovertita, che già esisteva risalente dissidio tra il Preside M. e la docente V.. Di fronte rileva che, iniziato l’anno scolastico, la classe (OMISSIS) contestava per lettera l’orario scolastico predisposto, che concentrava nelle stesse giornate le materie più "pesanti", collocandole inoltre al termine di ciascuna. M. rifiutava di ricevere la lettera, indicandone destinatario il prof. P., incaricato di predisporre l’orario. Gli studenti, su indicazioni della V., tentavano invano di far protocollare la lettera, perchè l’addetto, dicendosi oberato, rinviava. La spedivano quindi, con postscriptum in cui lamentavano lo scorretto comportamento della Segreteria, via fax anche ad organi esterni, minacciando adeguate proteste in caso di mancato accoglimento. Subito dopo, tutti gli studenti della scuola proclamavano, per carenza di condizioni igieniche, uno sciopero che diveniva occasione per quelli della classe di divulgare anche le loro rimostranze sull’orario.

Su queste premesse, la Corte di merito rivisita il contesto.

Quanto al reato sub a), sottolinea che M. dopo l’invio del fax, interrompendone la lezione di educazione fisica, convocava gli studenti della classe, insistendo poi con la D.N. e la Me.

(la ripetuta minaccia del 7 in condotta significa eventuale diniego d’ammissione agli esami di diploma) affinchè ammettessero che la lettera era stata redatta o imposta dalla V..

Spiega il malinteso del Tribunale circa la testimonianza del Dirigente di segreteria, G., rilevando che la sua presenza non era occasionale. E, quanto al reato sub b), verifica le testimonianze di T. e m., per indurne che M. non ha formulato meri ammonimenti e spiega perchè proprio la Me., come i suoi genitori, sia stata oggetto di ripetute convocazioni attestate anche dalla V.. Quanto al capo c), ripete che l’asserto di M. attribuiva gratuita valenza fittizia alla stessa certificazione medica prodotta dalla V..

Dall’insieme il Giudice di appello ha tratto implicazione decisiva anche circa i primi due reati, in maniera compiuta e non manifestamente illogica. L’assenza di obiettiva certezza che la V. avesse imposto, se non dettato per ragioni personali la lettera di protesta agli studenti, vuoi dire che M., che lo supponeva, ha agito con le modalità incriminate per ottenere conferma dagli stessi studenti. La questione perciò si incentra esclusivamente sull’interrogativo se, nel farlo, lo stesso M., pur essendo il preside, abbia travalicato la libertà dei singoli studenti. Ed al fine di escludere disvalore alla sua condotta, non interessa minimamente stabilire se la lettera fosse stata realmente dettata dalla V.. Per tal via si travisa il senso evidente della sentenza che il fine non giustifica i mezzi. Nulla escludeva che il Preside facesse certezza di inosservanze e persino di slealtà di docenti o studenti, ma ha percorso una strada che lo ha condotto nel caso di specie a commettere reati.

Non risulta difatti errore nell’aver ritenuto la ripetuta minaccia del sette in condotta agli studenti che non offrivano conferma al suo convincimento a carico dell’insegnante. L’attestazione delle persone offese è dimostrata intrinsecamente attendibile (v. il contesto in cui la sentenza cala i fatti, a partire dall’interruzione della lezione di educazione fisica a finire alle loro reazioni emotive) e trova riscontro, peraltro non necessario, nella lettura delle testimonianze di altri che riferiscono di proprie obiettive percezioni, mentre non ne rilevano i giudizi ( art. 197 c.p.p., comma 4), viepiù che la sentenza ne spiega il perchè in rapporto alla posizione di ciascuno nel tempo e nel luogo, a fronte di quella di primo grado.

Oltre, sotto questo profilo, il ricorso si pone al di là del consentito ( art. 606 c.p.p., comma 3), frammentando le prove poste a base della condanna ed offrendone alternative letture, senza peraltro dimostrarle per tal via decisive in senso inverso e ribadisce quelle ritenute inattendibili dalla motivazione, travisando l’economia dell’esame devoluto in questa sede.

La sentenza rende infine evidente il senso della minaccia: il Capo dell’Istituto prospettava il rifiuto degli studenti, di attribuire all’insegnante quanto da lui ritenuto, disvalore decisivo del voto in condotta al di sotto della soglia di ammissione agli esami. Il confinamento, nel ricorso, della decisione al collegio dei docenti risulta gratuito, posto che all’evidenza il preside può bene addurre il comportamento complessivo dell’alunno in quanto tale.

Lo stesso ricorso è infine manifestamente infondato circa l’attribuzione sub e (ritenuta offensiva in entrambe le sentenze).

Essa consiste all’evidenza nell’attribuzione apodittica di disvalore di comportamento all’insegnante, per ragioni che investono le qualità della persona, sicchè il ruolo di chi l’ha operata meno ancora può essere ritenuto scriminante.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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