Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-01-2011) 14-03-2011, n. 10159 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza del 13 gennaio 2006, con la quale il Tribunale di quella stessa città aveva dichiarato B.A. e P.A. colpevoli del reato di cui agli artt. 110, 582 e 585 c.p. e art. 81 c.p., n. 9 e, per l’effetto, con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia, nonchè al risarcimento dei danni in favore della persona offesa T. F., costituitosi parte civile.

Il fatto ascritto agli imputati era così rubricato: perchè in concorso tra loro e……..abusando della loro qualifica di pubblici ufficiali in quanto appartenenti alla Polizia di Stato, all’atto di eseguirne l’arresto, cagionavano a T.F. lesioni personali dichiarate guaribili in giorni 10 e consistite in traumi contusivi multipli; condotta consistita nel picchiarlo, anche con l’uso del manganello con cui, in particolare, lo colpivano al volto, nel prenderlo a calci e nello sbatterlo contro il muro. La vicenda si era svolta al termine della partita di calcio Triestina-Livorno, quando, dopo uno scontro tra forze dell’ordine e tifoseria della squadra ospitante, preceduto da lancio di pietre da parte degli ultras, la polizia si era posta alla ricerca degli aggressori e, nell’occasione, aveva tratto in arresto il T., che – pur avendo assistito all’incontro – era del tutto estraneo agli scontri, tant’è l’arresto non era stato, poi, convalidato, siccome del tutto illegittimo.

Nell’occasione, il T. era stato ripetutamente colpito, anche con manganelli, da parte degli agenti, due dei quali poi identificati negli odierni ricorrenti; ed anche durante il trasporto, a bordo del furgone della polizia, il giovane era stato colpito con una manganellata in pieno volto da personale di polizia, rimasto non identificato.

Avverso la sentenza anzidetta il difensore degli imputati ha proposto distinti ricorsi per Cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Con nota del 27.2.2010, il T. comunicava a questa Corte Suprema di rinunciare alla costituzione di parte civile, ai sensi dell’art. 82 c.p.p..

Con altra comunicazione in pari data lo stesso dichiarava di aver rimesso la querela nei confronti degli imputati, che, con dichiarazione raccolta con verbale del 31 marzo 2010, presso la Questura di Roma, avevano accettato l’anzidetta remissione. Allegata agli atti era anche la scrittura privata intercorsa tra le parti nella quale gli stessi imputati dichiaravano di aver già corrisposto parte della somma concordata a titolo di ristoro dei danni fisici subiti dal T..
Motivi della decisione

1. – Il primo motivo del ricorso in favore del B. lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 53 c.p., in relazione al mancato riconoscimento della scriminante dell’uso legittimo di armi, nella specie il manganello, stante l’aggressività e la resistenza attiva opposta dal T..

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza od erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 53 e 59 c.p., stante l’incolpevole errore degli agenti nel ritenere esistente la causa di giustificazione anzidetta.

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza od erronea applicazione della legge penale, in rapporto all’art. 55 c.p., in ragione del mancato riconoscimento, in subordine, dell’eccesso colposo e conseguente derubricazione del reato di lesioni dolose in quello di lesioni colpose.

Il quarto motivo eccepisce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà od illogicità manifesta della motivazione, con particolare riferimento alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, alle quali era stato accordato ingiusto credito e per erronea valutazione delle altre risultanze processuali, con particolare riferimento alle trascrizioni dell’udienza 12.10.2006 e 16.12.2005.

Del tutto identico è il ricorso proposto in favore del P..

2. – Alla stregua della documentazione offerta dai ricorrenti, in merito all’intervenuta remissione di querela da parte del demandante e di rituale, loro, accettazione, si pone il pregiudiziale quesito dell’efficacia estintiva del fatto sopravvenuto in ordine al reato in questione.

La risposta è negativa, posto che dalla formulazione del capo d’imputazione, come riportato in narrativa, emerge chiaramente che le lesioni personali sono state poste in essere con uso di manganello, che, pacificamente, rientra nel novero delle armi, siccome strumento atto all’offesa alla persona. Come correttamente contestato, il reato era dunque aggravato ai sensi dell’art. 585 c.p., comma 2, n. 2, e in quanto tale – in forza del richiamo contenuto nella norma di cui all’art. 582 c.p., comma 2 – è perseguibile d’ufficio ed è, dunque, insuscettivo di estinzione per remissione di querela. Nell’ottica di siffatta delibazione è certamente ininfluente il rilievo che gli imputati abbiano beneficiato di attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, in quanto il giudizio di equivalenza – con conseguente neutralizzazione degli effetti dell’aggravante – attiene solo al regime sanzionatorio, senza poter spiegare influenza alcuna sulla procedibilità del reato ex officio e non già a querela di parte.

D’altro canto, l’esame della complessiva vicenda, come plausibilmente ricostruita dai giudici di merito, in piena aderenza alle risultanze di causa, mostra chiaramente che la relativa fattispecie si è articolata in due distinti segmenti: la condotta lesiva posta in essere in danno del T. al momento in cui, intento a parlare al cellulare con un amico, lontano dal teatro degli scontri, era stato bloccato dagli agenti, che lo avevano colpito anche con manganelli (cfr. f. 2 sentenza impugnata), oltrechè che con calci e pugni (a tale fase, secondo la ricostruzione dei giudici di merito avevano partecipato gli imputati); il secondo segmento della vicenda si è, invece, svolto all’interno del cellulare della polizia, a bordo del quale il T. era tradotto in compagnia di altri fermati: anche nell’occasione era stato percosso con una manganellata da un agente rimasto non identificato.

Ora, se – relativamente a tale seconda fase – non v’è certezza alcuna in ordine alla partecipazione degli odierni ricorrenti, è nondimeno sufficiente il primo frammento del fatto a dimostrare l’uso dell’arma e, dunque, l’elemento fattuale ontologicamente ostativo alla remittibilità della querela.

2. – Passando, ora, al merito della presente vicenda, è agevole cogliere l’infondatezza della prima censura del ricorso in favore del B., posto che la dinamica dei fatti, quale ricostruita dai giudici di merito, con argomentazione logica e del tutto plausibile, ha escluso che il T. abbia tenuto, nell’occasione, una condotta aggressiva o abbia opposto resistenza attiva. E’, invece, emerso che lo stesso, pur avendo assistito all’incontro di calcio, non aveva preso parte agli scontri con la polizia nè, pacificamente, faceva parte del tifo organizzato resosi responsabile dei disordini. Si trovava, infatti, lontano dal luogo in cui vi era stato il lancio di sassi all’indirizzo degli agenti in atteggiamento che non consentiva in alcun modo di ritenere che fosse uno dei facinorosi: stava da solo, in disparte, a parlare al cellulare, continuando tranquillamente nella conversazione anche all’arrivo degli agenti in assetto antisommossa, senza alcun accenno di fuga da parte sua.

D’altro canto, è certo in processo che l’ordinanza di convalida dell’arresto sia stata poi annullata senza rinvio da questa Corte di Cassazione e, successivamente, il GIP abbia archiviato il procedimento a carico del T. per i reati di resistenza e lesioni personali, sul rilievo della mancanza di indizi di colpevolezza a suo carico.

In una parola, era pacifico in processo che il T. fosse stato ingiustamente arrestato e, altrettanto ingiustamente, coinvolto in un procedimento penale.

Correttamente, pertanto, è stata esclusa, nel caso di specie, l’efficacia scriminante dell’uso legittimo di armi, non essendo stata ravvisata alcuna necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità secondo quanto previsto dal richiamato art. 53 c.p., comma 1. In tutta evidenza, la carica degli agenti si era indirizzata, ingiustamente, contro persona che nulla c’entrava con gli scontri e che non aveva opposto resistenza di sorta ovvero usato violenza.

La condotta aggressiva degli agenti era, verosimilmente, dovuta a quella che, in gergo sportivo, si direbbe condotta da frustrazione ossia reazione inconsulta ed ingiustificata in danno di persona estranea, indotta dal clima di tensione dovuto ai precedenti scontri con facinorosi.

Il secondo motivo, che lamenta la mancata applicazione dell’esimente quanto meno nella forma putativa, è pur esso infondato, posto che la riferita ricostruzione della vicenda, nei termini ritenuti dal giudice di merito, esclude recisamente la configurabilità di un errore scusabile o, comunque, determinato da colpa che possa, comunque, giustificare l’operatività della scriminante in chiave putativa. Ed infatti, in rapporto al riferito contesto spazio- temporale, gli agenti di p.s. non potevano nutrire alcun giustificato sospetto che il T. potesse essere in alcun modo coinvolto negli scontri, al punto da sottoporlo a violento pestaggio, anzichè – a tutto concedere – fermarlo e portarlo in Questura per accertamenti.

L’errore sull’esistenza delle circostanze di esclusione della pena perchè possa spiega efficacia scriminante deve, infatti, essere scusabile, ossia deve trovare plausibile giustificazione in qualunque fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di versare in situazione di necessità tale da rendere inevitabile il ricorso alla reazione violenta (cfr., in tema di legittima difesa, Cass. sez. 1, 24,11,2009, n. 3464, rv. 245634; e con riferimento proprio all’uso legittimo di armi, Cass. sez. 4, 5.6.1991, n. 12137, rv. 188684).

L’infondatezza del terzo motivo, che reclama il mancato riconoscimento dell’eccesso colposo di cui all’art. 55 c.p., è consequenziale all’identico giudizio espresso in ordine alle superiori censure. E’ di tutta evidenza, infatti, che l’esclusione dell’operatività dell’esimente di cui all’art. 53 c.p. precluda, eo ipso, la possibilità di configurare il pur colposo travalicamento dei limiti immanenti ad una scriminante, che, per quanto si è detto, era inesistente nel caso di specie.

La quarta ragione di censura, relativa alla valutazione delle risultanze di causa, si colloca, invece, in area di inammissibilità, siccome afferente a questione squisitamente di merito che, come è risaputo, si sottrae allo scrutinio di legittimità, ogni qual volta, come nel caso di specie, sia assistita da motivazione congrua ed affatto adeguata. Tale deve giudicarsi, infatti, il processo giustificativo della Corte di merito che ha, compiutamente, spiegato le ragioni per le quali le dichiarazioni della persona offesa erano da ritenere attendibili, anche alla luce delle conferme offerte dalle indicate risultanze probatorie (certificati sanitari, testimonianze e, soprattutto, esiti del procedimento penale a suo carico).

Il ricorso in favore del P., in quanto affidato a censure affatto identiche a quelle oggetto del ricorso del B., non può che condividerne le sorti in termini di infondatezza.

3. – Per quanto precede entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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