Cons. Stato Sez. VI, Sent., 10-03-2011, n. 1530 Atti amministrativi confermativi o non

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza gravata il T.A.R. per il Lazio, pronunciandosi sul ricorso proposto dall’odierno appellato avverso il provvedimento adottato dalla Commissione centrale ex art. 10, l. 15 marzo 1991, n. 82, in data 18 marzo 2004, ha dichiarato inammissibili i motivi dedotti in relazione alla statuizione con cui, a conferma della precedente delibera del 17 luglio 2003, si è qualificato lo stesso ricorrente non più quale testimone ma quale collaboratore di giustizia ai fini dell’attribuzione del relativo programma di protezione; ha invece accolto le censure dedotte con riferimento alla determinazione, pure contenuta nel citato provvedimento, avente ad oggetto la mancata proroga del programma di protezione già adottato in favore del ricorrente e della sua famiglia, con conseguente capitalizzazione delle misure di assistenza percepite.

Avverso la indicata declaratoria di inammissibilità propone gravame il ricorrente ritenendo l’erroneità della sentenza di cui chiede, in parte qua, la riforma.

All’udienza del 15 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso va respinto.

Come osservato, il primo giudice ha dichiarato in parte qua inammissibile il ricorso sul presupposto della natura di atto meramente confermativo riconosciuta alla delibera impugnata in primo grado rispetto a quella, adottata in data 17 luglio 2003, con cui al ricorrente è stata attribuita la qualifica di collaboratore di giustizia, anziché di testimone, ai fini dell’attribuzione del relativo programma di protezione: delibera, quest’ultima, peraltro impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato, respinto in data 24 febbraio 2005.

Giova, al riguardo, considerare che si suole da sempre distinguere due categorie di atti confermativi, contrapponendo la conferma propria all’atto meramente confermativo (o conferma impropria).

Nel dettaglio, la conferma propria si connota perché adottata all’esito di una nuova istruttoria e di una riponderazione dei presupposti di fatto e di diritto sottesi all’emanazione del provvedimento originario.

Si ha, quindi, conferma in senso proprio quando l’amministrazione entra nel merito della nuova istanza e, dopo aver riconsiderato i fatti e i motivi prospettati dal richiedente, si esprima in senso negativo.

In tale ipotesi, infatti, la P.A., anziché limitarsi ad una constatazione di fatto circa l’esistenza di un precedente provvedimento, dà luogo ad un vero e proprio procedimento di riesame, esaminando nuovamente la situazione di fatto e di diritto.

La conferma in senso proprio, sebbene pervenga alle stesse conclusioni contenute nel precedente provvedimento reiterandone le statuizioni, è comunque un atto che si sostituisce al precedente, come fonte di disciplina del rapporto amministrativo. Il precedente provvedimento è, quindi, assorbito dal nuovo che, con efficacia ex tunc, opera in sostituzione di quello.

Sul versante processuale, ciò comporta che il nuovo provvedimento dovrà considerarsi pienamente impugnabile con riferimento ad ogni aspetto, e dunque anche per tutto ciò che in esso possa risultare recepito dal primo rifiuto; comporta, inoltre, che l’eventuale annullamento giurisdizionale dell’atto di conferma propria implica anche il travolgimento dell’atto confermato (ormai assorbito), in disparte la circostanza che questo sia stato autonomamente impugnato.

È quanto ribadito da Cons. St., sez. V, 4 marzo 2008, n. 797, secondo cui un atto amministrativo non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un precedente, quando la sua formulazione è preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure attraverso la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dar luogo ad un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dar vita ad un provvedimento diverso dal precedente e, quindi, suscettibile di autonoma impugnazione.

Ricorre, invece, l’atto meramente confermativo (c.d. conferma impropria) quando l’amministrazione, a fronte di una istanza di riesame, si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione. L’amministrazione si esime quindi dal prendere posizione sulle questioni sollevate con la nuova istanza, limitandosi ad un rifiuto pregiudiziale di riesame, con il quale nega, anche implicitamente, l’esistenza delle condizioni per passare alla valutazione del merito dell’istanza stessa.

Così configurato, l’atto meramente confermativo non costituisce un’autonoma determinazione dell’amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione della P.A. di non ritornare sulle scelte già effettuate (Cons. St., sez VI, 11 maggio 2007, n. 2315).

Detto altrimenti, l’atto meramente confermativo non è impugnabile perché non integra un’autonoma determinazione dell’amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione dell’amministrazione di non ritornare sulle scelte già effettuate.

Ebbene, nel caso di specie, correttamente il primo giudice ha ravvisato nella delibera del 18 marzo 2004 un atto meramente confermativo di quella adottata in data 17 luglio 2003, non registrandosi nella prima alcun riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, né alcuna rivalutazione degli interessi in gioco e degli elementi di fatto e di diritto.

La Commissione si è limitata, invero, ad una ricognizione della situazione giuridica del ricorrente, condotta tuttavia sulla scorta di presupposti già apprezzati in sede di adozione della delibera del 17 luglio 2003.

E’ quanto testualmente emerge, del resto, dallo stesso tenore letterale della delibera impugnata in primo grado laddove si statuisce che va confermata la " delibera del 17 luglio 2003, posto che non sono stati acquisiti nuovi e differenti elementi, atti a modificare la determinazione già adottata".

Va peraltro osservato che, ferma la inammissibilità del ricorso proposto in primo grado, lo stesso appare al Collegio comunque non fondato.

Invero, la contestata qualificazione del ricorrente non più quale testimone ma quale collaboratore di giustizia ai fini dell’attribuzione del relativo programma di protezione risulta ragionevolmente fondata su talune incontestate circostanze, in specie costituite dalla ripetuta escussione dello stesso FABBRIS, in diversi procedimenti penali, con l’assistenza del difensore dallo stesso odierno appellante richiesta, oltre che dal pure ripetuto esercizio della facoltà di non rispondere: facoltà prospettatagli in considerazione della possibilità, ancorché solo eventuale e del tutto ipotetica, di una sua corresponsabilità.

Alla stregua delle esposte ragioni va dunque respinto il gravame.

Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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