Cons. Stato Sez. VI, Sent., 10-03-2011, n. 1528 Esercizi pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Ministero dell’Interno chiede la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo della Toscana ha accolto il ricorso proposto dalla signora N.M. avverso l’ordine di cassazione dell’attività di commercio al dettaglio di oggetti preziosi, intimato dal Questore di Lucca a causa della falsità dell’attestazione, contenuta nella dichiarazione di inizio di attività, di non avere riportato condanne né di avere precedenti penali in corso.

Era infatti emerso che la ricorrente è stata condannata con sentenza della Corte d’Appello di Firenze, divenuta irrevocabile il 2 aprile 1989, per i reati di emissione di assegni a vuoto, uniti dal vincolo della continuazione.

La sentenza qui impugnata ha accolto il ricorso sul presupposto della depenalizzazione del reato, disposta dal decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507.

Con l’appello in esame, l’Amministrazione oppone l’oggettiva mendacità della dichiarazione, poiché, nel momento in cui la stessa è stata resa ai sensi e per gli effetti dell’art. 19 legge 7 agosto 1990, n. 241, la sentenza di condanna non era stata revocata dal giudice dell’esecuzione.

L’appello è fondato.

Come osserva l’Amministrazione, infatti, la dichiarazione sostitutiva di cui è causa sconta la fiducia dell’ordinamento che, nel permettere l’immediato svolgimento di una attività prima soggetta ad autorizzazione preventiva, in un settore, quale quello del commercio di oggetti preziosi, la cui delicatezza ne determina la sottoposizione alla disciplina speciale del Testo unico di pubblica sicurezza ( r.d. 18 giugno 1931, n. 773), deve necessariamente fare affidamento nell’assoluta attendibilità delle attestazioni della parte interessata.

Nella fattispecie, la ricorrente, come detto, non ha riferito la condanna riportata con la sentenza sopra citata, all’epoca dei fatti non revocata dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 667, comma 4, del Codice di procedura penale, secondo quanto dispone l’art. 101 d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, e non ha neppure dichiarato la pendenza del procedimento penale per il reato di truffa, comunicatale in data 21 giugno 2002 e attestato nella relazione della Questura di Lucca del 3 luglio 2004, richiamata nella stessa sentenza impugnata. Questa omissione concretizza senza dubbio un illecito di condotta, e vale a elidere il rapporto di fiducia che, come si è detto, costituisce il presupposto e il fondamento della semplificazione consentita dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990: di conseguenza, pienamente giustificata, e conforme a quanto prevede l’art. 21 della medesima legge, appare la reazione concretizzatasi con l’ordine di cessazione dell’attività.

In conclusione, l’appello deve essere accolto, con riforma della sentenza impugnata.

Le spese del doppio grado del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellata a rifondere all’Amministrazione appellante le spese del doppio grado del giudizio, nella misura complessiva di 4.000 (quattromila) euro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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