Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14-12-2010) 14-03-2011, n. 10148

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 10-2-2010 la Corte di Appello di Lecce pronunziava la riforma della sentenza emessa in data 29-5-2008 dal Tribunale di Lecce, nei confronti di C.A., (ritenuto responsabile in ordine ai reati di ingiurie e minacce nei confronti di Co.Ma.) riducendo la pena inflitta dal primo giudice a Euro 500,00 di multa previa valutazione di equivalenza delle attenuanti generiche, concesse dal Tribunale, alla contestata aggravante. Confermava nel resto la sentenza, in tal senso rigettando l’appello proposto dall’imputato C.D., che era stato condannato, per reati analoghi alla pena di mesi uno e giorni dodici di reclusione,con le generiche e la continuazione.

Entrambi gli imputati erano stati altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Nella specie la Corte territoriale aveva rilevato che non risultava fondata la tesi dell’appellante C.A., secondo cui si sarebbe potuta ritenere non punibile la condotta minacciosa, perchè realizzata come "minaccia condizionata" avendo la difesa rilevato che l’imputato aveva reagito legittimamente ad un comportamento ritenuto illegittimo della persona offesa (allo scopo di impedire ulteriori comportamenti lesivi della tranquillità della famiglia e a tutela del diritto di proprietà, che al momento veniva espresso facendo eseguire lavori a cura dell’ENEL (e per tali lavori si era verificata secondo la difesa una condotta ostruzionistica della parte offesa, Co., che era vicino di casa dell’imputato). Inoltre si era ritenuta infondata la tesi difensiva relative alla configurabilità, per il delitto di ingiurie,della esimente di cui all’art. 599 c.p..

Anche l’applicazione di tale esimente era stata esclusa dalla Corte di merito,come da motivazione a fl.2 della sentenza, rilevando che non ricorrevano i requisiti per considerare non punibile la condotta contestata, non ravvisandosi la illegittimità della condotta della parte lesa e d’altra parte non sussistendo la legittimità della reazione prospettata dall’imputato (avendo costui – a fronte di una presunta interruzione dei lavori – prospettato al Co. di sparare a tutti i vicini di casa ,o di incendiargli l’abitazione,o di mandare gente per "creparlo di botte"),come rilevato in sentenza.

In ordine alla fattispecie di ingiurie si era analogamente disattesa la richiesta di ritenere applicabile l’esimente di cui all’art. 599 c.p. (v. Fl. 3 della sentenza)osservando che era da escludere anche l’esimente putativa, poichè "nel contesto in cui il fatto è maturato, l’opinione (errata) degli imputati che il Co. stesse fermando i lavori non è nè ragionevole,nè plausibile,non essendo stato posto in essere alcun comportamento che autorizzasse una siffatta conclusione".

Avverso tale sentenza proponeva ricorso il difensore di C. A. e C.D. deducendo:

1- la nullità della sentenza per violazione di legge nonchè per carenza,illogicità e contraddittorietà della motivazione.

A riguardo la difesa riteneva che la motivazione della sentenza fosse viziata dalla erronea interpretazione dell’art. 612 c.p., comma 2 che sarebbe stata in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità,avendo la Corte territoriale valutato solo le frasi pronunziate nei confronti della persona offesa,senza tener conto del contesto nel quale le stesse espressioni erano state usate,esistendo tra i protagonisti dell’episodio un clima di alta litigiosità, e non ricorrendo gli estremi per ritenere realmente dotate di forza intimidatrice le frasi riportate in rubrica. A sostegno del gravame la difesa rilevava di aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5 26-1-2009, n. 3492) secondo cui "la prospettazione di un male ingiusto proferita nell’ambito di un conflittuale rapporto di vicinato,contrassegnato da reciproche condotte lesive dell’altrui proprietà,non ha rilevanza penale".(v. Fl. 2 dei motivi di ricorso).

Con ulteriore motivo deduceva la illogicità della motivazione e la nullità della sentenza per violazione di legge inerente agli artt. 612 c.p., art. 125 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett. e).

Rilevava a riguardo che non era da ritenersi congrua la motivazione della sentenza relativa al dolo del delitto di minaccia, ritenendo che fossero stati trascurati elementi idonei a fare escludere tale volontà dell’imputato,e che non potessero condividersi le argomentazioni della corte relative alla esclusione della minaccia condizionata.

Sul punto la difesa rilevava che era emerso da una relazione di servizio redatta dalla P.S. di Lecce,il cui intervento era stato richiesto dagli imputati, che la persona offesa aveva illegittimamente interrotto i lavori degli operai dell’ENEL, che si stavano eseguendo nella proprietà degli imputati ricorrenti).

Pertanto la difesa riteneva che la Corte avesse travisato la prova in modo arbitrario,omettendo di dare risalto ad una circostanza rilevante ai fini del deciderle stravolgendo il significato delle risultanze processuali.(v. Quanto si desume dai motivi di ricorso a fl.4).

Inoltre si rilevava l’incompletezza argomentativi della motivazione, da considerare contrastante con la giurisprudenza relativa alla minaccia condizionata.

2- In secondo luogo si deduceva,ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

La nullità per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla esclusione della esimete prevista dall’art. 599 e 59 c.p..

Tale censura riguardava la esclusione che la Corte aveva ritenuto per l’esimente putativa,ritenendosi sul punto illogica la motivazione.

Il vizio della motivazione rilevato riguardava la interpretazione delle disposizioni di legge incompatibile con l’art. 59 c.p., u.c. (v. F1.5 del ricorso) ritenendo che il Giudice di appello avesse fondato la valutazione di esclusione dell’esimente sul presupposto della inesistenza di un errore scusabile del soggetto agente.

Diversamente la difesa rilevava che non è configurarle alcun onere della prova a carico dell’imputato per dimostrare di essersi trovato nella situazione di errore scusabile, al fine di poter beneficiare dell’esimente richiesta,dato che tale onere sarebbe contrastante con il testo dell’art. 530 c.p.p., comma 2.

Che impone al giudice di pronunziare, nell’incertezza degli elementi di prova,l’assoluzione dell’imputato.

In conclusione la difesa censurava a riguardo la motivazione per essersi basata su una interpretazione erronea delle richiamate disposizioni di legge.

Infine concludeva, come da motivi chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva che il ricorso risulta privo di fondamento.

1 – In ordine al primo motivo,deve rilevarsi che le censure inerenti alla nullità della sentenza per violazione di legge,ed erronea applicazione dell’art. 612 c.p., comma 2, si rivelano prive di fondamento alla stregua della compiuta analisi del fatto e della condotta tenuta da C.A.,al quale si addebitava di avere minacciato Co.Ma., come descritto in rubrica, con frasi dirette a evidenziare il pericolo per l’incolumità personale del soggetto passivo (quali "ti mando altra gente a creparti di botte").

Invero deve rilevarsi che la Corte territoriale, pur consapevole dell’indirizzo giurisprudenziale di legittimità che la difesa aveva menzionato ipotizzando che potesse ritenersi nella specie la legittimità della condotta contestata nella quale si ravvisava una reazione all’altrui comportamento, evidenziando lo stato di litigiosità esistente tra vicini di casa, ha correttamente escluso la legittimità dell’azione ascritta all’imputato, avendo rilevato che nella specie, la condotta tenuta dalla parte lesa non poteva ritenersi illegittima.

Nè è dato ravvisare nella specie l’ipotesi di minaccia condizionata,alla quale fa richiamo il difensore nei motivi di gravame,non sussistendo alcun riferimento ad un male prospettato in modo da prevenire azioni illecite da parte del destinatario delle espressioni contestate -vale richiamare sul punto sentenza di questa Corte, Sez. 5, in data 20.7.2007,n. 29390,Montorsi-RV237436 sub art. 612 c.p., che stabilisce che "Non integrano il delitto di minaccia le locuzioni intimidatrici espresse in forma condizionata quando siano dirette, non già a restringere la libertà psichica del soggetto passivo,ma a prevenirne un’azione illecita o inopportuna e siano rappresentative della reazione legittima determinata dall’eventuale realizzazione di dette azioni".

In tal senso deve infatti ritenersi che correttamente la Corte territoriale ha evidenziato l’assenza della condotta illegittima della persona offesa, che avrebbe solo in teoria ostacolato il pieno esercizio del diritto di proprietà,onde non è dato ravvisare la legittimità della condotta contestata.

Tali rilievi valgono altresì a far escludere l’applicabilità dell’indirizzo giurisprudenziale richiamato dalla difesa nei motivi di ricorso, riguardante contrasti tra vicini di casa, mancando nella specie una antigiuridicità della condotta tenuta dal soggetto passivo del reato ex art. 612 c.p., attestata dai giudici di merito.

-In riferimento alla sussistenza del dolo del delitto ex art. 612 c.p. deve ugualmente rilevarsi che tale elemento viene sia pure in modo implicito palesato dalla motivazione della Corte territoriale, essendo chiarito dalla sentenza che il comportamento dell’imputato,non consentiva di ipotizzare alcuna reazione ad altra attività illecita,e non avendo l’appellante addotto di non aver pronunziato le frasi che vengono contestatele rendono evidente la consapevolezza di prospettare la realizzazione di atti lesivi dell’altrui incolumità o della integrità della abitazione della persona offesa (essendo contestate anche minacce di fare incendiare la casa). Dunque non si ravvisano i vizi di carenza e illogicità o contraddittorietà della motivazione sui punti innanzi richiamati.

Nè è dato ritenere sussistente alcun travisamento degli elementi di prova alla stregua delle censure della difesa,che non pongono in luce alcun dato idoneo a palesare che la Corte abbia trascurato l’esame di elementi favorevoli all’imputato.

2- Analogamente devono ritenersi prive di fondamento le deduzioni difensive relative alla mancata applicazione della esimente prevista dall’art. 599 c.p., in senso putativo. Invero la sentenza impugnata ha affermato che nella specie non vi era stata alcuna attività illecita posta in essere dalla persona offesa(come da motivazione a fl.3, in cui si precisa che il soggetto parte lesa non aveva bloccato i lavori, essendosi limitato a chiedere agli operai dell’Enel con modi corretti, delle informazioni sull’andamento dei lavori) onde si era esclusa da parte dei giudici di appello sia la ipotesi di una "minaccia condizionata" sia l’ipotesi contemplata dall’esimente di cui all’art. 599 c.p.. Evidenziando che anche l’esimente putativa restava esclusa non potendo gli imputati aver percepito una condotta illecita del soggetto passivo dei reati di cui si tratta. Deve dunque rilevarsi che restano al limite della inammissibilità le censure della difesa che attengono alla diversa interpretazione dei dati processuali (avendo la Corte evidenziato che le dichiarazioni della persona offesa restavano avvalorate da quelle di un teste).

D’altra parte non si ravvisa la pertinenza della censura inerente alla violazione dell’art. 599 c.p. e art. 59 c.p., comma 4, nel senso prospettato dalla difesa per la coerente motivazione resa dalla Corte territoriale,in perfetta sintonia con le risultanze dibattimentali, essendo esclusa la violazione delle disposizioni innanzi richiamate.

Peraltro, come sancito da giurisprudenza di questa Corte "La causa di non punibilità prevista dall’art. 599 c.p. è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito che può non esercitarlo anche se ricorrono le condizioni richieste dalla legge;"in tal senso deve ritenersi tale giudizio incensurabile in questa sede.(v. Cass. Sez. 5 – sentenza del 6-6-1988,n.6675,Siano).

Nè sussistono nella specie i presupposti per invocare l’esimente prevista secondo la disposizione di cui all’art. 59 c.p., alla stregua della coerente e logica motivazione della sentenza, dalla quale non viene disattesa la corretta esegesi delle norme, restando come già detto inammissibili i rilievi difensivi che appaiono incentrati sulla contestazione dell’onere addebitato all’imputato di fornire elementi dai quali desumere la configurabilità dell’esimente richiesta.

In conclusione deve rilevarsi che restano ininfluenti le deduzioni difensive attinenti alla erronea applicazione di dette disposizioni anche relativamente alla fattispecie di ingiurie, per la quale risulta pronunziata la conferma della sentenza di condanna a carico di entrambi i ricorrenti, restando del tutto generiche e ripetitive la questioni trattate nei motivi di ricorso sul punto.

La Corte deve dunque rigettare i ricorsi, e ciascun ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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