Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-12-2010) 14-03-2011, n. 10200 Falsità ideologica in atti pubblici commessa da privato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ifesa.
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16-6-2009 il GUP. del Tribunale di Pavia dichiarava non luogo a procedere il difetto di querela nei confronti di V.C. per il reato contestato ai sensi degli artt. 477, 485 e 491 bis c.p., per aver falsificato il verbale di assemblea ordinaria della società "Agata s.r.l." in data 15-4-2005- nell’indicazione della nomina di S.A. come rappresentante legale.

Detto verbale recava la firma telematica del S., e la contestazione riguardava altresì la falsificazione della richiesta di rilascio della firma digitale del predetto. Il GUP aveva rilevato che il falso era perseguibile a querela di parte, e che – nella specie – il S. non aveva proposto querela, onde aveva pronunziato la sentenza di cui si tratta.

Per altri due imputati – la cui posizione risultava stralciata – era stata accolta la richiesta di citazione a giudizio, per delitto di bancarotta fraudolenta documentale, indicato in epigrafe.

Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per cassazione il PM. evidenziando la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) nonchè la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

A riguardo rilevava che al V. si era addebitato il falso inerente al verbale di assemblea recante la designazione del S. quale legale rappresentante, oltre la falsificazione della firma digitale del S., nel verbale che era stato trasmesso in via telematica alla camera di Commercio di Pavia, previa falsificazione della richiesta del rilascio di firma digitale.

Tale falso, secondo quanto rilevato dal PM, doveva ritenersi perseguibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 483 c.p..

Peraltro il requirente evidenziava che il S., venuto a conoscenza della falsificazione della firma digitarsi era recato presso la guardia di Finanza, ed aveva reso dichiarazioni (come da verbale del 6-12-2005), asserendo di non conoscere la società AGATA s.r.l. e di non esserne legale rappresentante, oltre che di non aver preso parte alla gestione della stessa.

Tali dichiarazioni erano state valutate come non idonee a costituire l’istanza di punizione, secondo quanto ritenuto dal GUP. In presenza di tali dati il PM rilevava la violazione della legge penale.

2- In secondo luogo il PM rilevava che la motivazione della pronunzia di improcedibilità era carente per non avere specificato per quali ragioni la denunzia presentata dal S. alla guardia di Finanza non avesse valore di querela.

D’altra parte il GUP non aveva spiegato le ragioni in base alle quali avesse ritenuto la condotta perseguibile come fattispecie di falso in scrittura privata, per il quale si rendeva necessaria la querela.

Concludendo il PM chiedeva per tali motivi l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva il fondamento del ricorso.

Invero deve evidenziarsi l’erronea applicazione della legge penale nella qualificazione giuridica della condotta descritta in epigrafe, limitatamente alla istanza di rilascio della firma digitale.

Al riguardo, infatti, si deve distinguere la falsificazione inerente al verbale di assemblea ordinaria del 15.4.2005, relativo alla nomina di S.A. quale amministratore della "AGATA s.r.l.", verbale recante la falsa firma digitale del predetto, essendo tale falsificazione correttamente contestata in epigrafe ai sensi dell’art. 485 c.p., dalla falsificazione attuata attraverso la richiesta della firma digitale presso la Camera di Commercio competente.

Invero, la condotta relativa alla richiesta del privato per ottenere il rilascio della firma digitale resta disciplinata dal D.L. 7 marzo 2005, n. 82, e appare riconducitele allo schema normativo dell’art. 483 c.p. dato che trattasi di attività diretta alla Pubblica Amministrazione – nella specie alla Camera di Commercio – per ottenere il rilascio della firma digitale, come tale assimilabile alla richiesta di un certificato o autorizzazione amministrativa.

In tale ambito resta da inquadrare la condotta contestata per la falsa richiesta alla Camera di Commercio per ottenere il rilascio della firma digitale del S., e tale fattispecie viene erroneamente riferita all’art. 485 c.p. nella impugnata sentenza. In tal senso deve ritenersi fondato il ricorso formulato dal PM. Peraltro, se si considera l’iter amministrativo susseguente alla richiesta avanzata dal privato, tema questo non espressamente compreso nella contestazione, si potrebbe pervenire all’accertamento di ulteriori violazioni, riconducibili alla ipotesi normativa di cui agli artt. 48 – 479 c.p., ovvero dell’art. 480 c.p., restando da verificare la eventuale induzione in errore del pubblico ufficiale, nella formazione dell’atto falso. Dunque la sequenza fattuale impone di acclarare – ferma restando la natura privatistica del verbale di assemblea della s.r.l. – tutte le fasi della procedura svolta dall’ente camerale, poichè il presumibile svolgimento della stessa induce ad ipotizzare gli estremi di reati perseguibili d’ufficio, quali quelli in precedenza menzionati, attuati a seguito della falsa richiesta di firma digitale rivolta alla PA. Alla stregua di tali rilievi la sentenza va annullata, con rinvio al competente giudice – Tribunale di Pavia – per nuovo esame.

Devono ritenersi infondati gli ulteriori rilievi del ricorrente, e si ritengono assorbite dai predetti rilievi le deduzioni della difesa contenute nella memoria in atti depositata.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Annulla la sentenza impugnata limitatamente al falso concernente il rilascio della autorizzane all’uso della c.d. firma digitale, con rinvio al Tribunale di Pavia per nuovo esame. Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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