Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-03-2011, n. 10143 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 4 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Firenze, in ciò confermando la decisione assunta dal locale Tribunale (invece riformata in ordine ad altro reato), ha riconosciuto M. G.A. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della società Shellco s.r.l., della quale era stato amministratore unico; ha inoltre riconosciuto la penale responsabilità dello stesso M., in concorso con A.G., per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della s.r.l. Le Pietre, della quale il primo era stato amministratore di fatto e il secondo di diritto.

L’ipotesi accusatola, recepita dal giudice di merito, riguardava l’avvenuto pagamento, con denaro della s.r.l. Shellco, dei canoni di locazione inerenti a un appartamento adibito ad abitazione del M. e della sua famiglia; nonchè il pagamento con fondi della società Le Pietre dei canoni di locazione di negozi utilizzati dalla s.r.l. Armeria Centrale; e infine la distrazione di due autovetture della s.r.l. Le Pietre, in uso ai due amministratori e non più rinvenute.

Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione i due imputati, per il tramite del comune difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo i ricorrenti ribadiscono la linea difensiva secondo la quale i canoni di locazione dell’appartamento erano stati corrisposti dal M. con denaro proprio, sebbene il contratto fosse formalmente intestato alla Shellco s.r.l..

Col secondo motivo contestano la responsabilità dell’ A., che solo formalmente aveva assunto la qualità di amministratore della società Le Pietre s.r.l., e in capo al quale assumono non essere provata la consapevolezza di contribuire alla realizzazione di condotte illecite.

Col terzo motivo denunciano omessa disamina del motivo di appello con cui si era chiesta l’applicazione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.

I ricorsi dei due imputati, confluiti nell’unico atto d’impugnazione, sono privi di fondamento e devono essere rigettati.

A confutazione del primo motivo va detto che la Corte d’Appello si è posta il problema di stabilire se i canoni di locazione dell’unità immobiliare destinata dal M. ad abitazione propria e dei genitori fossero stati effettivamente pagati con denaro della società Shellco o se invece, come sostenuto dalla difesa, fosse stato utilizzato a tal fine denaro proprio dell’imputato; ed è pervenuta a decisione conforme all’ipotesi accusatoria, in base alle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare.

A fronte di tale accertamento non giova all’imputato, in sede di legittimità, prospettare una ricostruzione alternativa del fatto, che involgerebbe questioni di merito; nè gli giova farsi portatore dell’assunto secondo cui l’appostazione dei canoni in uscita nella contabilità della Shellco s.r.l. costituirebbe un dato meramente contabile, di neutra valenza e indifferente rispetto al patrimonio sociale: giacchè se con ciò si intende dire che l’uscita delle somme dal patrimonio sociale sarebbe solo apparente, mentre in realtà i fondi utilizzati provenivano dal patrimonio dell’odierno ricorrente, l’assunto – come già osservato – si traduce nella richiesta di un riesame dell’accertamento del fatto, non consentita nel giudizio di cassazione; se invece si intende dire che il distacco di quelle somme dall’attivo sociale sarebbe irrilevante per la sua pochezza, rispetto all’entità del patrimonio, la tesi si pone in contraddizione con la premessa, contenuta nello stesso ricorso, secondo cui "la società aveva un patrimonio assolutamente esiguo, se non inesistente": alla stregua di tale affermazione non si vede come possa definirsi indifferente la distrazione della somma mensile di L. 2.300.000.

Quanto al secondo motivo, si osserva che la linea difensiva adottata dall’ A., col protestare la propria inconsapevolezza circa l’operato dell’amministratore di fatto, s’infrange nell’obiettività del dato irrefutabile costituito dall’uso a titolo personale, da lui stesso effettuato, di una delle due autovetture distratte dal patrimonio della società.

Sotto il profilo del restante addebito, poi, non si vede come egli potrebbe non essersi reso conto di avere effettuato con fondi della società amministrata il pagamento dei canoni di affitto del negozio utilizzato da tutt’altro soggetto, cioè dalla società Armeria Centrale.

Il terzo motivo è inammissibile per carenza del necessario requisito della specificità.

A fronte della provata distrazione, ai danni del patrimonio sociale, di una somma aggirantesi sui 50/60 milioni di lire all’anno (poichè a tanto corrispondeva l’affitto pagato per l’Armeria Centrale, secondo quanto accertato in sede di merito), era onere dei ricorrenti indicare specificamente le basi fattuali sulle quali si sarebbe dovuto fondare l’invocato giudizio di speciale tenuità del danno.

Di ciò non vi è traccia nell’illustrazione del motivo di ricorso, nella quale si coglie soltanto la denuncia di omessa motivazione circa il diniego dell’attenuante.

A questa è agevole contrapporre il principio, da tempo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, a tenore del quale il giudice di appello, pur essendo tenuto in linea di principio a dar conto delle ragioni poste a fondamento del rigetto dei motivi di gravame, non è tuttavia obbligato a motivare in ordine al rigetto di istanze improponibili per genericità o per manifesta infondatezza (Cass. 5 marzo 1999 n. 4415; Cass. 17 maggio 1993 n. 7728).

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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