Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-03-2011, n. 10141 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 30 novembre 2009 la Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto S.S. responsabile del delitto di cui all’art. 474 c.p., per avere detenuto per la vendita delle borse recanti i falsi marchi "Prada", "Fendi", "Gucci" e "Tods".

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, deducendo censure riconducibili a un solo motivo. Con esso, insistendo sulla grossolanità della contraffazione dei marchi, denuncia carenza di motivazione e violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 49 c.p., comma 2.

Il ricorso è inammissibile, stante la sua manifesta infondatezza.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema è costante nel l’afferma re il principio a tenore del quale, in tema di commercio di prodotti aventi marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, non ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana; infatti, tutelando l’art. 474 c.p. non la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, non si può parlare di reato impossibile per il solo fatto che l’asserita grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti vengano tratti in inganno (v., da ultimo, Cass. 17 aprile 2008 n. 33324; Cass. 14 febbraio 2008 n. 11240; Cass. 21 settembre 2006 n. 33543).

Del pari manifestamente infondata è la contestazione mossa dal ricorrente al rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui la norma incriminatrice è posta anche a tutela delle imprese titolari dei marchi e dei segni distintivi, trovando anche tale affermazione pieno conforto nelle enunciazioni giurisprudenziali in materia (v. per tutte Cass. 11 ottobre 2005 n. 44297).

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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