Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-11-2010) 14-03-2011, n. 10193 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Rosario Giovanni, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 11-3-2010 il GIP presso il Tribunale di Bologna convalidava l’arresto nei confronti di L.V., effettuato per il reato di cui all’art. 612 bis c.p., art. 61 c.p., n. 11, in data (OMISSIS).

Nella specie si dava atto che le forze dell’ordine avevano ricevuto una chiamata al "113" alle ore 14, 10 del (OMISSIS) dove erano intervenute presso l’abitazione di T.M., che era stata trovata in stato di shock, avendo il coniuge (che viveva separato da lei da un anno) agito con fare minaccioso ed aggressivo per accedere in casa, nelle prime ore del mattino, manifestando intenti minacciosi e comportamenti reiteratamente aggressivi (cercando di sfondare la porta di casa, dopo essere rientrato, come descritto nel verbale di arresto). Il Giudice aveva ritenuto dunque esistenti i presupposti di legittimità dell’arresto, convalidando il provvedimento, ed aveva disposto la scarcerazione dell’indagato applicando la misura del divieto di dimora nel comune di Bologna, prescrivendo al soggetto di non recarsi in tale comune se non previa autorizzazione del magistrato.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore deducendo l’insussistenza del reato di cui all’art. 612 bis c.p., per carenza dell’elemento materiale della reiterazione della condotta.

Nella specie, la difesa evidenziava – richiamando il fatto descritto nel l’ordinanza – che ai fini della norma incriminatrice si rende necessario l’accertamento di un comportamento abituale, tale da provocare nella persona offesa uno stato di paura, ed il timore per la propria incolumità personale.

Rilevava altresì che trattasi di persone che si erano sposate nel 2004, e tuttora conviventi, nella casa di (OMISSIS), non separati legalmente, o di fatto.

Rilevava anche che i fatti descritti si limitano all’episodio verificatosi in data (OMISSIS), e che le ingiurie ed il danneggiamento non si potevano inquadrare nella figura di reato enunciata nell’ordinanza di convalida dell’arresto.

Con ulteriore motivo la difesa censurava il provvedimento deducendo la mancanza degli elementi costitutivi del reato, e l’insussistenza del dolo.

Nelle more del procedimento veniva comunicata dalla persona offesa la remissione della querela, come da verbale del 7-6-2010.

Il PG. in Sede con requisitoria in atti ha formulato conclusioni chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

La Corte rileva preliminarmente che nella specie, trattandosi di impugnazione avverso il provvedimento di convalida dell’arresto, deve ritenersi ininfluente l’intervenuta remissione di querela, dato che il ricorso riguarda provvedimento che attiene alla verifica della ritualità dell’arresto eseguitoci sensi dell’art. 391 c.p.p., comma 4. Orbene, i motivi di ricorso devono ritenersi inammissibili, secondo quanto dedotto dal PG. in requisitoria, avendo il difensore articolato censure essenzialmente riferibili alla pretesa assenza dei presupposti che integrano la figura di reato prevista dall’art. 612 bis c.p., negando l’abitualità del comportamento definito molesto, nonchè richiamando elementi ulteriori estranei alla fattispecie de qua, con riferimento ai rapporti di convivenza dei coniugi e alle condizioni familiari dei predetti. In tal senso la difesa rilevava che i fatti si riferivano ad un solo episodio verificatosi in data (OMISSIS).

Parimenti, il secondo motivo di ricorso risulta articolato trattando la insussistenza del grave stato di ansia e paura che la vittima del reato ex art. 612 bis c.p. riscontra, concludendo nel senso di negare l’esistenza di tale situazione tra le parti. Infine si è dedotta la mancanza di dolo da parte dell’indagato. Deve dunque rilevarsi che il ricorso risulta inammissibile, atteso che la convalida dell’arresto, ai sensi dell’art. 391 c.p.p. impone al Giudice di verificare: 1- l’osservanza dei termini di cui all’art. 386 c.p.p., comma 3, e art. 390 c.p.p., comma 1; 2- la sussistenza dei presupposti che legittimano l’arresto ai sensi degli artt. 380, 381 e 382 c.p.p., con riferimento alla flagranza di reato e se la misura dell’arresto sia consentita; 3- la legittimità dell’attività di polizia, e – come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità tale controllo non deve essere indirizzato a valutare la gravità degli indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelarcene viene riservato alla fase di emissione di provvedimento cautelare). Inoltre il controllo del Giudice in tema di convalida dell’arresto non può assumere il significato di valutazione del merito, che caratterizza la fase di cognizione, come specificato dal PG, con richiami alla giurisprudenza di questa Corte, che s’intendono qui recepiti.

L’ordinanza impugnata risulta conforme ai suddetti requisiti, avendo il Giudice dato atto della verifica dei presupposti legittimanti l’arresto.(evidenziando l’intervento in flagranza della Pg., che aveva interrotto l’azione violenta e la condizione di shock in cui si era trovata la vittima. Inoltre risultavano rispettati i termini di cui all’art. 386 c.p.p., comma 3 e art. 390 c.p.p., comma 1).

In conclusione deve dunque essere dichiarata – conformemente alle richieste del PG in Sede – l’inammissibilità del ricorso, ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento di una somma a favore della cassa delle Ammende, che si determina in Euro 1.000.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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